[X] Qualora il giudice di prime cure abbia dichiarato la prescrizione per l’azione di responsabilità amministrativa, il giudice di appello, in applicazione dell’art. 105 r.d. 13 agosto 1933, n. 1038, deve rimettere gli atti al giudice di primo grado, in ipotesi di accoglimento del gravame del pubblico ministero, per la prosecuzione del giudizio di merito. Il summenzionato art. 105, infatti, introduce una disciplina speciale dell’effetto devolutivo dell’appello contabile rispetto al sistema processuale civilistico di cui agli artt. 342, 345, 346 e, 353 e 354 c.p.c., tant’è che la questione di prescrizione rientra tra quelle di “carattere pregiudiziale”, nell’ambito del processo innanzi alla Corte dei conti. Di conseguenza il giudice di appello che ritenga fondato il motivo di gravame riguardante la prescrizione dell’azione erariale non può decidere sui presupposti sostanziali della responsabilità amministrativa. Gli elementi raccolti in sede di indagini preliminari penali, di per sé, non hanno dignità di piena prova nel processo contabile, non essendo stati verificati in dibattimento concluso con sentenza passata in giudicato; però, una volta transitati, come nel caso di specie, nel fascicolo del procuratore contabile, e depositati in quello di ufficio, essi ben possono essere considerati e valutati, secondo il principio del libero convincimento del giudice, per stabilire la fondatezza o meno della pretesa accusatoria. Non assumono rilievo, nel giudizio contabile, eventuali eccezioni processuali circa la ritualità della formazione delle prove nel previo processo penale, poiché nel processo contabile non vi sono i pregnanti limiti posti dal legislatore per la valutazione degli atti e delle prove, salvo il rispetto del contraddittorio costituzionalmente previsto. La sentenza di patteggiamento pronunciata in un precedente giudizio penale avente ad oggetto i medesimi fatti rilevanti per il giudizio contabile deve essere interpretata, da un lato, in armonia con il principio di separazione dei giudizi e, dall’altro, con quello di economia processuale e di circolazione delle prove, evitando la perdita di acquisizioni processuali, che avrebbe negativamente inciso sulla economia dei giudizi. Pertanto, la sentenza penale deve essere liberamente apprezzata dal giudice, assieme al materiale probatorio ad essa sotteso, ai sensi dell’art. 116 c.p.c. e, attualmente, dell’art. 95 c.g.c. Nel c.d. “danno da tangente” assume rilevanza il maggior costo dell’opera commissionata o della prestazione richiesta, in ragione del maggior onere sopportato dall’imprenditore per somme corrisposte al funzionario infedele per ottenere favoritismi; questi non sono, necessariamente, circoscritti soltanto alla fase di aggiudicazione della gara di appalto, ma si concretizzano anche dopo, per esempio con un’attenuazione del rigore richiesto al funzionario in verifiche e controlli successivi. In altre parole, la tangente non avrebbe ragion d’essere, non giustificandosi in altro modo, esclusa la liberalità tra soggetti tra cui non vi è alcun rapporto pregresso, se non quello dell’esecuzione delle opere di cui al contratto, che nell’ottenimento di vantaggio da parte dell’imprenditore, evidentemente non dovuto. In relazione al danno da tangente è legittima la presunzione della traslazione dell’importo corrisposto al funzionario corrotto da parte del corruttore sul prezzo del bene o servizio, in termini di maggior costo ovvero di minori controlli, con possibili riflessi sulla qualità del servizio e conseguente aggravio di costi sull’amministrazione. In altro modo non può essere giustificata la dazione di somme importanti, quali quelle pacificamente corrisposte da parte degli imprenditori, essendo assolutamente esclusa la causa di liberalità ovvero di riconoscenza per un lavoro “ben fatto”, circostanza che dovrebbe costituire la regola. Non possono condividersi le considerazioni per cui dal comportamento illecito dei dipendenti discende, ex se, il danno all’immagine per l’ente di appartenenza. Tale affermazione è affetta dalla violazione dell’art. 2697 c.c. (onus probandi incumbit ei qui dicit), dovendo l’onere della prova della relativa posta di danno essere assolto dall’accusa. Né può essere accettato l’assioma conseguente, ossia la quantificazione equitativa di un danno che, però, non è stato provato.
Corte dei conti, sez. I, 26 ottobre 2017, n. 428
Danno da tangente – Danno all'immagine – Rapporti processo penale e contabile
REPUBBLICA ITALIANA 428/2017
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
PRIMA SEZIONE GIURISDIZIONALE CENTRALE D’APPELLO
[#OMISSIS#] Rotolo Presidente
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Consigliere
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] La Cava Consigliere
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Consigliere, rel.
[#OMISSIS#] Mignemi Primo Referendario
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sugli appelli riuniti, iscritti ai nn:
51347, presentato dal sig. Gallone [#OMISSIS#], C.F. GLLVTR61BO5D643K, e notificato il 15 settembre 2016, rappresentato e difeso dagli Avvocati [#OMISSIS#] Agosto e [#OMISSIS#] Bove ed elettivamente domiciliato con i Difensori in Roma, alla via [#OMISSIS#] n. 39, presso lo studio dell’Avv. A. [#OMISSIS#], giusta procura a margine dell’appello;
51501 presentato da Carrino [#OMISSIS#], C.F. CRRMRA46P23F795R, notificato il 24 ottobre 2016, rappresentato e difeso, giusta procura a margine dell’appello, dall’Avv. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e con lui elettivamente domiciliato in Roma, via Cosseria n. 2, presso i dr. [#OMISSIS#] e [#OMISSIS#] Placidi;
51541 (incidentale autonomo), notificato il 17.11.2016, presentato dal sig. Fragnito [#OMISSIS#], C.F. FRGRCR47D16C557E, rappresentato e difeso, giusta procura a margine dell’appello, dal Prof. Avv. [#OMISSIS#] Di Lieto e con lui elettivamente domiciliato in Roma, via [#OMISSIS#] I, n. 10, c/o dr.ssa [#OMISSIS#] Murano;
51615 (incidentale autonomo), notificato il 23.11.2016, presentato dal sig. Bove [#OMISSIS#], C.F. BVORNT56C12H703T, rappresentato e difeso, giusta procura speciale a margine dell’appello, dal prof. avv. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Marenghi e con domicilio eletto in Roma, alla Piazza di Pietra n. 63,
avverso la sentenza della Sezione giurisdizionale regionale per la Campania n. 362 /2016, depositata il 28/06/2016 e notificata a Gallone il 23.09.2016, a Carrino il 26.09.2016, a Fragnito il 18.09.2016 e a Bove il 26.09.2016.
Visti gli appelli e tutti gli atti e i documenti di causa;
Uditi, alla pubblica udienza del 18 luglio 2017, con l’assistenza del Segretario dott. [#OMISSIS#] Sauchelli, il relatore consigliere [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], gli Avvocati [#OMISSIS#] Bove e [#OMISSIS#] Agosto per Gallone [#OMISSIS#], e [#OMISSIS#] Agosto anche in sostituzione dell’Avv. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] per Carrino [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] Di Lieto per Fragnito [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Marenghi per Bove [#OMISSIS#] e il Pubblico Ministero nella persona del V.P.G. cons. [#OMISSIS#] Lombardo.
FATTO
La sentenza indicata in epigrafe, emessa a seguito di annullamento con rinvio, con decisione n. 782 del 2013, della III Sezione Centrale di Appello della precedente sentenza di primo grado n. 418/2010, dichiarativa della prescrizione, aveva condannato gli odierni appellanti, nelle qualità il Gallone, il Fragnito e il Bove di membri del Consiglio di amministrazione dell’Opera Universitaria di Salerno, successivamente denominata Ente per il Diritto allo Studio Universitario – EDISU e il Carrino quale capo dell’Ufficio tecnico del predetto ente, a risarcire il danno arrecato allo stesso, quantificato per Bove [#OMISSIS#] in € 440.000,00 (€ 350.000,00 in solido con Gallone e Fragnito e 30.000,00 con il solo Fragnito); il Fragnito a € 380.000,00 (350.000,00 in solido con Bove e Gallone e 30.000,00 in solido con Bove); il Gallone a € 350.000,00 in solido con Bove e Fragnito, a titolo di danno diretto da tangente. Condannava il Bove a € 190.000,00, il Fragnito a € 130.000,00, il Gallone a € 115.000,00 e il Carrino a € 15.000,00 a titolo di danno all’immagine subito dall’EDISU.
La decisione condannava, poi, a titolo di danno diretto da tangente subito dall’ Università di Salerno: Bove a € 170.000,00 (€ 100.000,00 in solido con Gallone e Fragnito e 70.000,00 in solido con Gallone);
Fragnito a € 108.000,00 (€ 100.000,00 in solido con Bove e Gallone);
Gallone a € 170.000,00 (€ 100.000,00 in solido con Bove e Fragnito e € 70.000,00 in solido con Bove), oltre al danno all’immagine, subito dall’ Università di Salerno, quantificato in € 70.000,00 per Bove, 40.000,00 per Fragnito e 35.000,00 per Gallone, somme tutte già comprensive di rivalutazione e a cui erano da aggiungersi gli interessi legali dalla pubblicazione della sentenza sino al soddisfo, nonché alle spese di giustizia in favore dello Stato, liquidate in € 1.500,00 a carico di Bove, Fragnito e Gallone in parti uguali e, per quanto qui interessa, € 400,00 a carico di Carrino e altro convenuto, non appellante in questa sede, in parti uguali.
La decisione, dopo aver respinto le eccezioni preliminari di difetto di regolarità del contraddittorio, di giurisdizione, di duplicazione della pretesa risarcitoria nonché quella di prescrizione, perchè già affrontate e respinte a seguito delle precedenti pronunce, disattendeva, altresì, le istanze di integrazione del contraddittorio (avanzate da convenuti non appellanti in questa sede), l’eccezione di inammissibilità per indeterminatezza dell’atto di citazione, sollevata dal Fragnito e altro soggetto non appellante in questa sede, di indeterminatezza dell’atto di riassunzione del P.M. avanzata dal Gallone, di tardività dell’atto di citazione, avanzata da altro convenuto, di nullità, ex art. 17, comma 30, ter, d.l. n. 78 del 2009 e di inammissibilità dell’azione per consumazione del potere di provvedere da parte del Giudice di secondo grado, avanzate dal Gallone.
Nel merito, riteneva gli odierni appellanti, nelle citate qualità, responsabili per la percezione di tangenti, con conseguente danno per le pubbliche amministrazioni interessate, anche sulla considerazione che, nell’ambito del procedimento penale incardinato presso la Procura della Repubblica di Napoli, era stata applicata, con decisione n. 4465/1999, la pena di anni due di reclusione a Fragnito, uno e mesi undici a Bove e Gallone, per i reati di corruzione in concorso, mentre il Carrino era stato condannato, con sentenza definitiva della Suprema Corte di Cassazione, per il reato di concussione.
Per le altre condotte il Collegio di primo grado, invece, riteneva non raggiunta la prova del comportamento contestato, in assenza di autonome indagini da parte del Requirente contabile.
Avverso la decisione interponevano tempestivo gravame gli odierni appellanti.
Il Gallone proponeva i seguenti motivi:
I Error in iudicando et in procedendo. Erroneità-violazione dell’art. 1, comma 11, della legge n. 20 del 1994.
Trattandosi di fatti relativi agli anni 1988-1992, la Corte era carente di giurisdizione, perché il Gallone non era in rapporto di servizio né con l’EDISU, né con l’ Università di Salerno. Pertanto, in base all’art. 11 della legge n. 20 del 1994, la responsabilità per il danno cagionato a enti diversi da quello di appartenenza sussisteva soltanto dall’entrata in vigore della legge stessa.
II Error in iudicando et in procedendo-erroneità-violazione art. 1, comma 2 ter, l. n. 20 del 1994. Violazione dell’art. 112 c.p.c.
L’appellante riproponeva l’eccezione di prescrizione, trattandosi di fatti anteriori al 15 novembre del 1993, e, pertanto prescritti entro il 31 dicembre del 1998, ovvero nel più breve termine dato dal compiersi del decennio. Al riguardo, la sentenza impugnata era carente di motivazione, avendo fatto riferimento a precedenti decisioni, mentre avrebbe dovuto nuovamente pronunciarsi sull’eccezione preliminare.
Sul divieto del ne bis in idem. III Violazione dell’art. 105 del R.d. n. 1038 del 1933.
La precedente sentenza di primo grado n. 418 del 2010 aveva già statuito in ordine al merito, delibando la sentenza di patteggiamento, nonché le dichiarazioni, le testimonianze e gli altri elementi di prova, e non aveva ritenuto la responsabilità amministrativa del Gallone. Di conseguenza, era inammissibile l’atto di citazione in riassunzione a seguito della sentenza di annullamento in appello n. 782 del 2013, la quale avrebbe dovuto pronunciarsi sul merito della questione, anziché rinviarlo ad una nuova decisione del giudice territoriale. La sentenza appellata non aveva dato conto delle motivazioni di merito, che avrebbe dovuto recepire.
IV Sulla carenza di istruttoria. Violazione art. 1 l. n. 20 del 1994, anche in relazione all’art. 17 del d.l. n. 28 del 2009.
L’azione era inammissibile per indeterminatezza sia in fatto che in diritto, né vi erano prove della condotta dell’appellante, del danno e della colpa grave. Il procedimento penale non era esitato in alcuna condanna in capo al Gallone, per cui l’azione era inammissibile.
V Difetto di motivazione – arbitrarietà – violazione art. 17, comma 30, ter, d.l. n. 78 del 2009. Sull’istanza di nullità.
L’azione erariale non era stata preceduta da una notizia di danno specifica e concreta, e sul punto la sentenza era immotivata, generica e apodittica.
Sull’assenza della prova del dolo e/o della colpa grave e del nesso di causalità.
VI Violazione art. 1 l. n. 20 del 1994 – difetto di istruttoria. Erroneità e inesistenza dei presupposti. Difetto di motivazione. Violazione art. 444 c.p.p. In relazione all’art. 1 della legge n. 20 del 1994, all’art. 445 c.p.p. e all’art. 651 c.p.p. Arbitrarietà – difetto di motivazione. Assenza di prova.
Il Gallone non era mai stato condannato nel processo penale, non aveva ammesso alcun addebito nel relativo processo, né, tantomeno, era stata mai fornita la prova della sua colpevolezza. Al tempo dell’applicazione della pena su richiesta, infatti, il 7.12.1999, non era ancora entrata in vigore la modifica dell’art. 653, comma 1, bis, c.p.p., aggiunto dalla legge 27 marzo 2001, n. 97. Il legislatore non aveva esteso l’efficacia nei giudizi civili e amministrativi della sentenza di patteggiamento, avendo limitato la modifica al giudizio disciplinare. Ma anche a voler accedere alla giurisprudenza richiamata dalla Corte territoriale, riguardante giudizi temporalmente posteriori, la portata della modifica non poteva avere effetto retroattivo, come ritenuto dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 394 del 2002, che aveva escluso l’efficacia retroattiva degli artt. 1 e 2 della legge n. 97 del 2001. Pertanto, il principio dell’affidamento del Gallone, che aveva optato per il [#OMISSIS#] speciale alla luce del quadro normativo esistente e delle conseguenze giuridiche allora vigenti, non poteva essere frustrato applicando principi entrati in vigore successivamente.
Altri profili di erroneità. La Corte territoriale aveva fatto mal governo del principio giurisprudenziale, dalla stessa enunciato, per il quale dalla sentenza di patteggiamento scaturiva un univoco e specifico valore probatorio.
Il confuso procedere del Giudice di primo grado aveva esteso il valore del patteggiamento anche a reati rispetto ai quali il Gallone non aveva optato per il [#OMISSIS#] alternativo, cosicché dal confronto tra le voci di danno per le quali l’appellante era stato condannato nel giudizio contabile e i capi di imputazione del decreto che dispone il giudizio emergeva che soltanto la voce di danno n. 5 trovava corrispondenza con un reato per il quale il procedimento penale era stato definito con la sentenza di patteggiamento (capo n. 11).
In definitiva, quindi, la sentenza era assolutamente immotivata, apodittica e senza alcuna valutazione, nemmeno, degli elementi della sentenza di cui all’art. 444 c.p.p. Inoltre, il Giudice contabile doveva indicare gli elementi probatori ai fini di un’autonoma valutazione dei fatti, che nel caso di specie era del tutto mancata.
Ulteriore motivo di erroneità. Non vi era alcuna prova del nesso eziologico tra la contestazione di reati prescritti e il danno erariale, sia sotto il profilo del danno diretto che del danno all’immagine. La motivazione della decisione era carente circa la sussistenza dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa grave del nesso eziologico tra il comportamento dell’appellante e il danno erariale.
VII Contraddittorietà. Violazione art. 1 l. n. 20 del 1994. Sulla valutazione della prescrizione in sede penale.
Il giudicato appariva contraddittorio, per una differente valutazione in ordine ai vari convenuti. Per alcuni, infatti, l’intervenuta prescrizione era stata considerata elemento per l’assoluzione, a differenza che per l’appellante, al quale era stata comminata un’ingiusta condanna.
Sulla questione di legittimità costituzionale della legge. VIII-Violazione artt. 24 e 3 Cost.
Sul punto la Corte territoriale aveva motivato sull’esistenza del diritto di difesa, a seguito del rinvio al primo giudice del giudizio, il cui oggetto, in sede di appello, era stato circoscritto a questioni pregiudiziali. La questione di legittimità di cui all’art. 105 del r.d. n. 1038 del 1933 imponeva di valutare la violazione del doppio grado di giurisdizione e di eguaglianza sostanziale, nonché della garanzia del diritto di difesa, ex artt. 3, comma 2, e 24 della Costituzione. La precedente sentenza n. 418 del 2010 aveva effettuato valutazioni ed esplicitato motivazioni che concernevano la sostanza dell’insussistenza dei presupposti per integrare la responsabilità amministrativa per danno erariale.
Conclusivamente, l’appellante Gallone chiedeva la dichiarazione del difetto di giurisdizione della Corte dei conti, della prescrizione, dell’inammissibilità e dell’infondatezza dell’azione del requirente contabile, con proscioglimento integrale dell’appellante, della carenza di potere a decidere nuovamente sulla questione, confermandosi la precedente sentenza n. 418 del 2010; di ritenere, infine, l’ammissibilità e la manifesta fondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 105 del R.d. n. 1038 del 1933; di esercitare in misura massima il potere di riduzione dell’addebito.
L’appellante Carrino, dopo un’analitica ricostruzione della storia del giudizio, nell’ambito della quale sottolineava di essere stato definitivamente condannato, in sede penale unicamente per il capo di imputazione n. 13, eccepiva, preliminarmente, la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 105 del R.d. n. 1038 del 1933 e degli artt. 353 e 354 c.p.c.
L’appellante sottolineava, poi, che per le imputazioni (tranne la n. 13) indicate ai nn. 8, 9, 10, 14 e 16, il Giudice penale aveva dichiarato la prescrizione del reato, senza adottare alcuna statuizione irrevocabile di condanna. Pertanto, in contraddizione rispetto alla sua stessa affermazione, per la quale poteva procedersi alla condanna dei convenuti per danno erariale da tangente soltanto nel caso in cui si fosse provata, nel giudizio penale, l’effettiva erogazione delle stesse, il Giudice territoriale aveva condannato anche con riferimento ad episodi (nn. 8, 9, 10, 14 e 16 della decisione impugnata) per la quale non era stata adottata alcuna decisione di condanna. La Corte napoletana, poi, non aveva neppure analizzato gli accertamenti del giudizio penale al fine di un’autonoma valutazione come elementi di prova, in contrasto con le sue stesse statuizioni. Inoltre, la Procura non aveva espletato alcuna autonoma istruttoria, distinta da quella penale, al fine dell’accertamento della responsabilità del Carrino per le poste contabili contestategli. Conseguenzialmente, al più, il Carrino avrebbe potuto essere condannato per l’unica tangente, di € 2.500,00, per la quale vi era stata condanna in sede penale.
L’appellante passava, poi, analiticamente in rassegna le singole contestazioni in relazione alle quali, per i corrispondenti danni erariali, era stato, a suo avviso, erroneamente condannato. Più in particolare, con riguardo alla contestazione di cui al n. 8 della citazione introduttiva del giudizio, con cui si addebitava all’appellante di aver predisposto una relazione favorevole alla ditta “Sotec-Zanussi” in ordine alla fornitura della lavastoviglie per la mensa universitaria di Baronissi (SA), deduceva di aver considerato i vantaggi di utilizzare attrezzature di un unico marchio, non soltanto per l’uniformità dell’arredo ma, altresì, per la manutenzione e la ricambistica, più semplice ed economica. La valutazione del Carrino, di natura squisitamente tecnica, non era neppure vincolante per il C.d.A., al quale, soltanto, poteva attribuirsi la scelta della fornitura. La delibera di affidamento n. 277 del 14.12.1988 riteneva, infatti, la lavastoviglie prescelta meno ingombrante e meno costosa rispetto alle altre. Le valutazioni tecniche successivamente effettuate avevano poi dimostrato il risparmio per spese di ricambi e manutenzione.
Non corrispondeva, poi, a verità che, con riferimento agli anni 1988/1992, il personale dell’Ente fosse sufficiente per effettuare la manutenzione delle apparecchiature di mensa e cucina; al contrario, esso era talmente esiguo che la mancanza di un solo elemento poteva creare un disservizio, ben più grave, attesa la sua delicatezza, del costo di un affidamento all’esterno.
Quanto ai punti 10 e 11, non corrispondeva al vero che l’appellante fosse a conoscenza del presunto collegamento delle ditte invitate alla gara per la fornitura delle apparecchiature da cucina per la mensa di Fisciano, né il geom. Carrino aveva fatto alcuna valutazione in merito, dovendo invitare alle procedure selettive pubbliche le ditte titolari del marchio Zanussi per le menzionate esigenze di uniformità dell’arredo, e per la semplificazione della manutenzione e dei ricambi.
Con riguardo ai punti nn. 13 e 14, poi, l’appellante si era limitato a redigere una relazione relativa all’affidamento a trattativa privata per il servizio di manutenzione della centrale termica, i cui costi erano, comunque, in linea con le tabelle ASSISTAL, mentre per il rinnovo dell’affidamento, per un altro biennio, alla ditta Fontana per la manutenzione, l’appellante, su richiesta del C.d.A., aveva stilato una relazione favorevole per il servizio soddisfacente svolto dalla ditta. In relazione all’esistenza di personale specializzato, rinviava al precedente punto 9.
Per i lavori di manutenzione ordinaria, affidati a trattativa privata alla ditta Sotec, e alla climatizzazione dei locali di cucina della mensa di Fisciano (punti nn. 15 e 16) le contestazioni erano del tutto inconsistenti, non essendo stati evidenziati, da parte del Requirente, né le condotte illecite imputate al Carrino, né individuato il danno erariale e la sua entità, che era stato fatto coincidere con l’importo delle presunte tangenti.
A tale riguardo, era viziata ed apodittica la statuizione della sentenza appellata, per la quale il danno erariale coincideva con l’importo erogato a titolo di tangenti, la cui corresponsione avrebbe fatto corrispondentemente aumentare il prezzo dell’appalto per l’amministrazione. Ad avviso dell’appellante si trattava di mere congetture, e, anche date per provate le erogazioni tangentizie, la Procura avrebbe dovuto fornire la dimostrazione dell’effettiva verificazione del danno erariale, del suo ammontare e della sua entità, nonché del nesso eziologico tra la presunta condotta corruttiva e il danno. Si richiamava, al riguardo, giurisprudenza di questa Corte e di questa Sezione che, se pur risalenti nel tempo, erano più rispettose dei principi dell’ordinamento in tema di accertamento della colpevolezza rispetto alla giurisprudenza più recente.
La decisione era, inoltre, viziata nella parte in cui aveva condannato l’appellante per il danno all’immagine, per voci per le quali la Corte di appello di Napoli, in sede penale, aveva pronunciato la dichiarazione di prescrizione (nn. 8, 9, 10, 14 e 16). Pertanto occorreva “rimodulare” la condanna, considerando che in sede penale al Carrino era stata addebitata la percezione di una tangente di € 2.500,00. In ogni caso, del tutto assente era la valutazione della diminuzione patrimoniale conseguente alla lesione dell’immagine dell’ente.
Conseguenzialmente, si chiedeva la riduzione dell’addebito nel massimo possibile, avuto riguardo al ridottissimo ruolo avuto dal Carrino nella produzione degli eventi per cui è causa.
Il sig. Fragnito, dopo avere anch’egli ripercorso la vicenda processuale, lamentava:
1. Vizio in iudicando: motivazione erronea, carente e contraddittoria. Violazione dei principi in tema di onere della prova, della portata del giudicato e dell’impossibilità di riformare le statuizioni già assunte.
Assoluzione per insussistenza di responsabilità od assenza di essa in capo all’appellante.
A sostegno dell’assenza di responsabilità del Fragnito si richiamava la sentenza della Corte territoriale n. 418 del 2010, che aveva stabilito la mancanza di prova della stessa, così come nulla era dato desumere dalle pronunce di dichiarazione di prescrizione nell’ambito penale, neanche ai fini negativi dei presupposti di cui all’art. 129 c.p.p.
Anche per la sentenza di patteggiamento la Corte ne aveva affermato la genericità, e, comunque, che l’applicazione della pena in sede penale non era idonea a fondare un giudizio di colpevolezza, in assenza di puntuale allegazione e dimostrazione dei fatti da cui potesse desumersi l’esistenza di una fattispecie dannosa. Tali valutazioni negative della responsabilità dell’appellante, affermate dalla citata decisione n. 418 del 2010, non erano state scalfite dalla decisione di appello, per cui la Corte territoriale, in sede di rinvio, non sarebbe potuta tornare su determinazioni già assunte, dovendo affrontare unicamente la statuizione di prescrizione.
II Vizio in iudicando: motivazione erronea, carente e contraddittoria, travisamento dei fatti ed erroneità dei presupposti. Assoluzione per insussistenza di responsabilità od assenza di essa in capo all’appellante. Violazione e falsa applicazione degli artt. 444 e 652 c.p.p.
Il Giudice di I grado aveva erroneamente fondato la condanna del Fragnito sulla supposta, ma inesistente, confessione dell’appellante, e senza considerare che altri coimputati erano stati assolti nel merito, con conseguente prevalenza dell’assoluzione sulla decisione ex art. 444 riguardante il Fragnito. In ogni caso, e nel notare che la decisione di patteggiamento aveva riguardato unicamente alcuni capi di imputazione, si deduceva che in nessun caso le tangenti, pagate, in ipotesi, soltanto dopo l’effettuazione della gara da parte degli aggiudicatari, avevano arrecato danno patrimoniale all’ente, tenuto conto che il prezzo costituiva un elemento fondamentale per l’aggiudicazione, sicchè era interesse per i partecipanti contenerlo il più possibile. Del resto, la scelta dei concorrenti per l’appalto del servizio mensa (affidato con urgenza attesa la necessità di approntare un centro di cottura vicino alla sede della mensa universitaria, trasferita da Salerno a Fisciano) era degli uffici amministrativi, per cui se essi avevano dichiarato il falso nulla avrebbe potuto essere addebitato al Fragnito. Al riguardo, era emerso dal processo penale (pagg. 72 e seguenti della sentenza n. 8229/2005) che l’impresa la cui sede era più vicina rispetto alla prescelta non era ancora attiva all’atto della trattativa privata, sicché nessun danno all’erario era scaturito dall’eventuale falsa attestazione. In ogni caso, la falsità era stata esclusa dalla menzionata decisione, che aveva assolto i coimputati del Fragnito perché il fatto non sussiste con conseguente estensione anche a quest’ultimo del giudicato penale ex art. 652 c.p.p.
Per l’affidamento per l’acquisto della lavastoviglie dalla Sotec (punti 8, 9, 10 e 11 della citazione) secondo la relazione del capo dell’Ufficio tecnico essa era preferibile perché meno ingombrante e costosa delle altre, e più idonea rispetto a quella indicata nella delibera dell’8.5.1988. Stesso riferimento era a farsi per l’appalto alla ditta Fontana (punti 13 e 14 dell’atto di citazione). Anche in relazione ai punti contestati da 15 a 18, da 19 a 20, da 21 a 24 dell’atto di citazione, gli affidamenti erano stati disposti sulla base di apposite relazioni di congruità degli uffici competenti, in seguito a gare effettivamente espletate, ovvero, per i servizi, al [#OMISSIS#] offerente.
Per i servizi culturali dell’EDISU (punti da 26 a 28, 30 e 31 della citazione) essi erano compito precipuo dell’ente medesimo, e in relazione alle imputazioni penali con la sentenza n. 8229/2005 era stata disposta l’assoluzione perché il fatto non sussiste.
L’appellante sosteneva, dunque, che nessun addebito poteva essergli mosso per il “danno diretto da tangente” e, comunque, in via di mero scrupolo, la quantificazione avrebbe dovuto essere molto minore rispetto a quello della condanna. Anche per il danno all’immagine subito dagli enti coinvolti, discendeva dall’assenza del primo anche questa posta, e, comunque, la sua necessaria riduzione.
Si chiedeva, infine, la declaratoria di prescrizione dell’azione ai sensi dell’art. 66 del d. lgs. n. 174 del 2016, medio tempore entrato in vigore, che disponeva un termine complessivo della prescrizione non eccedente i 7 anni dall’esordio.
Concludeva, dunque, l’appellante Fragnito per l’accoglimento dell’appello incidentale autonomo e per la riforma della gravata sentenza con l’assoluzione da qualsiasi addebito; in via gradata, con la dichiarazione di prescrizione dell’azione di responsabilità e, in via ancora subordinata, per la riduzione dell’importo quantificato dal giudice di primo grado, sia in relazione alle fattispecie da considerare causative di danno, sia in virtù dell’esercizio del potere di riduzione dell’addebito.
L’appellante Bove (impugnazione incidentale autonoma), dopo avere anch’egli ripercorso i fatti e le vicende processuali, lamentava:
1. Violazione artt. 24 e 111 Cost., art. 2697 e ss. c.c. Erroneità della sentenza, nella parte in cui ha ritenuto sussistenti fatti rilevanti come ipotesi di responsabilità contabile.
La decisione impugnata, dato atto dell’assenza di un’autonoma attività istruttoria della Procura contabile, aveva, però, fondato la condanna unicamente sulla sentenza di patteggiamento in sede penale, mentre la stessa non aveva, per legge, idoneità a fare stato nei procedimenti civili e amministrativi. Al di là di tale erronea affermazione, non vi era alcuna prova né delle condotte contestate, né del quantum del danno, riferito alle dazioni asseritamente percepite dall’appellante, rispetto a cui non vi era alcuna prova.
2. Violazione artt. 1226 e 2697 c.c.
La decisione aveva calcolato il danno in via equitativa, superando l’onere probatorio circa l’an debeatur, che incombeva sull’Accusa, la quale, però, non l’aveva assolto. Il Giudice contabile non aveva vagliato nessun elemento della responsabilità erariale.
3. Violazione art. 52 del r.d. 1214 del 1934. Erroneità della sentenza. Illegittimità della condanna dell’appellante nei confronti dell’ Università degli Studi di Salerno, al di fuori del rapporto di dipendenza o collaborazione. Carenza di motivazione.
L’appellante era membro dell’ente regionale EDISU e non dell’ Università degli Studi di Salerno, e pertanto, al contrario di quanto apoditticamente affermato dalla Corte territoriale, non vi era alcun rapporto di dipendenza né di impiego o di servizio con l’ Università .
4. Violazione degli artt. 4 e 40 della l.r. n. 3 del 1986, come mod. dalla l.r. nn. 9/1989 e 21/2002. Erroneità della sentenza. Illegittimità della condanna dell’appellante nei confronti dell’Edisu per difetto di danno.
L’Edisu era un ente regionale che aveva autonomia organizzativa e non finanziaria, poiché le somme necessarie per la gestione delle attività affidate e per la stessa struttura dell’ente provenivano da un apposito stanziamento nel bilancio regionale, per cui non era configurabile un danno diretto a tale ente.
5. Prescrizione: i fatti risalivano agli anni 1998-2001 e l’esercizio dell’azione contabile era prescritto per decorso del termine quinquennale. La prescrizione era rilevata ai sensi dell’art. 66 del d. lgs. n. 174 del 2016, per avvenuto decorso del termine complessivo di sette anni dall’inizio del giudizio contabile.
Conclusivamente si chiedeva l’accoglimento dell’appello incidentale autonomo, escludendo la responsabilità e, in via subordinata, con graduazione secondo l’ordine di esposizione, dichiarando insussistenti i presupposti per la condanna nei confronti dell’ Università degli Studi di Salerno per carenza del rapporto di dipendenza e dell’EDISU per insussistenza del presupposto del danno; la prescrizione dell’azione di responsabilità; la riduzione dell’importo nei limiti massimi consentiti, con vittoria di spese, diritti e onorari di giudizio.
La Procura generale, con riferimento all’appello n. 51347 (Gallone) chiedeva la reiezione della questione di giurisdizione e delle eccezioni di prescrizione e di violazione del divieto del ne bis in idem, siccome già affrontate e disattese con le decisioni che avevano preceduto il giudizio di rinvio e, la terza questione, condivisibilmente respinta dal Giudice territoriale, sulla scorta della natura non processuale delle valutazioni di merito di cui alla sentenza n. 418 del 2010.
Non meritavano sorte migliore le eccezioni di genericità e indeterminatezza della citazione in riassunzione del P.M. e di nullità per violazione dell’azione erariale ex art. 17, comma 30-ter del d.l. n. 78 del 2009, tutte già vagliate dal Giudice territoriale.
Per quanto riguardava gli effetti della sentenza ai sensi dell’art. 444 c.p.p., essa non poteva prescindere dall’accertamento, sia pure in negativo, dell’insussistenza delle condizioni per un proscioglimento nel merito, poiché la scelta del [#OMISSIS#] speciale costituiva la rinuncia dell’imputato a contestare le proprie responsabilità. Di qui l’equiparazione alla sentenza di condanna ai sensi dell’art. 445 c.p.p. e ogni deroga in proposito doveva risultare da un’espressa disposizione legislativa. In tale contesto, i vantaggi premiali erano confinati all’ambito penale, non essendovi alcuna preclusione alla [#OMISSIS#] di condanna di detta sentenza in altri giudizi, nei quali si aprivano altri scenari probatori. In fattispecie, peraltro, gli elementi acquisiti al fascicolo processuale consentivano di ritenere accertati i fatti materiali dedotti dal P.M., in assenza di una convincente prova contraria.
Con riguardo all’appello Carrino, per l’asserita violazione dell’art. 105 del R.D. n. 1038 del 1933 si rinviava alle valutazioni del Giudice territoriale.
In ordine alla questione della declaratoria di prescrizione dei reati addebitati all’appellante, si sottolineava che il Carrino era stato condannato per il delitto di concussione in relazione ai rapporti con la ditta appaltatrice Fontana con sentenza definitiva (Cass. Sez. VI penale, n. 35567/2011).
Sul terzo motivo di gravame, sosteneva la Procura che l’appellante aveva partecipato a pieno titolo alla fase istruttoria da cui era scaturito l’affidamento delle forniture e dei servizi di cui è causa.
In ordine alla vexata quaestio del danno da tangente, si deduceva che la percezione della somma indebita era oggetto di traslazione sui costi dell’amministrazione, costituendo, dunque, una presunzione della verificazione di un danno pubblico almeno pari all’importo della dazione illecita. A seguito della commissione del reato, poi, si sostanziava anche il danno all’immagine dell’Amministrazione, la cui prova prescindeva da quella dei costi che l’ente aveva dovuto sostenere per il ripristino dell’immagine medesima. Ad avviso della Procura, detto danno era espressione della perdita dell’efficienza, efficacia ed economicità dell’amministrazione, che perdeva la credibilità e l’affidabilità all’esterno per la condotta illecita dei suoi dipendenti, i quali ingeneravano la convinzione che i comportamenti patologici fossero abituali.
Circa l’appello di Bove, nel riportarsi alle deduzioni svolte per i precedenti gravami, si sosteneva l’assenza di pregio del motivo relativo alla liquidazione equitativa di un danno non provato.
L’appellante era, poi, sicuramente responsabile anche per il danno all’ Università di Salerno, indipendentemente dal rapporto di dipendenza, attesa la latitudine della responsabilità nei confronti della P.A., mentre non aveva neppure pregio l’affermazione per la quale l’EDISU non avrebbe autonomia finanziaria e pertanto non vi sarebbe danno.
Quanto all’appello 51541 di Fragnito [#OMISSIS#], sottolineava che le motivazioni della decisione n. 418 del 2010, se pure ritenute di merito, non si erano tradotte in alcuna statuizione rilevante a livello processuale, avendo accolto l’eccezione preliminare di prescrizione; infatti, la III Sezione di appello aveva rinviato al primo giudice per la decisione sul merito del giudizio.
L’appe