Corte dei conti, sez. II, 25 marzo 2016, n. 304

Professore associato – Danno da tangente – Danno da concorrenza – Danno all’immagine

Data Documento: 2016-03-25
Area: Giurisprudenza
Massima

Il dies a quo della prescrizione decorre dalla richiesta di rinvio a giudizio formulata in sede penale, atteso che solamente con tale determinazione dell’organo pubblico competente, l’ipotesi delittuosa assume la precisione e la concretezza necessarie perché possa aver rilievo in termini di effettiva scoperta del danno, secondo la previsione di cui all’art. 1, comma 2, l. 14 gennaio 1994, n. 20.Il comma 1-sexies dell’art. 1 l. 14 gennaio 1994, n. 20, introdotto dall’art. 62 l. 6 novembre 2012, n. 190, in base al quale “nel giudizio di responsabilità, l’entità del danno all’immagine della pubblica amministrazione derivante dalla commissione di un reato contro la stessa pubblica amministrazione accertato con sentenza passata in giudicato si presume, salva prova contraria, pari al doppio della somma di denaro o del valore patrimoniale di altra utilità illecitamente percepita dal dipendente”, anche qualora non risulti applicabile alla fattispecie ratione temporis, risulta certamente significativa ai fini di una quantificazione del danno all’immagine pur sempre equitativa in applicazione dell’art. 1226 c.c..

Contenuto sentenza

GIUDIZIO DI CONTO
C. Conti Sez. II App., Sent., 25-03-2016, n. 304
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SECONDA SEZIONE GIURISDIZIONALE CENTRALE DI APPELLO
composta dai magistrati:
dott. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] – [#OMISSIS#] relatore
dott.ssa [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] – Consigliere
dott.ssa [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] – Consigliere
dott. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] – Consigliere
dott.ssa [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] – Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio sull’appello n. 39172 del registro di segreteria, proposto dal sig. M.D.S., rappresentato e difeso dagli avvocati [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e [#OMISSIS#] Del Monte, contro la Procura Generale della Corte dei conti e per la riforma della sentenza della Sezione giurisdizionale per il [#OMISSIS#] n. 96 del 16.7.2010.
Visti gli atti del giudizio;
Uditi all’udienza del 22.3.2016 il relatore, l’avv. [#OMISSIS#] Del Monte e il vice procuratore generale dott. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#];
Ritenuto in
Svolgimento del processo
1. Con sentenza n. 96/2010, notificata il 27.7.2010, la Sezione giurisdizionale per il [#OMISSIS#] ha condannato il sig. M.D.S., già professore associato di cardiochirurgia all’Università degli Studi di Torino in servizio presso l’Ospedale San [#OMISSIS#], a pagare 2.426.899,49 Euro – “importo che si arrotonda a Euro 2.400.000,00 comprensivi di rivalutazione monetaria” – per il risarcimento del “danno da tangente” (Euro 951.266,33), del “danno alla concorrenza” (Euro 475.633,16) e del “danno all’identità pubblica” (Euro 1.000.000) causati da illeciti in forniture di valvole cardiache.
Per gli stessi fatti, il prof. D.S. era stato condannato in sede penale a due anni, dieci mesi e venti giorni di reclusione, con risarcimento del danno alle parti civili. Per l’intervenuta prescrizione su alcuni capi di imputazione, la pena era stata ridotta in appello a un anno e undici mesi di reclusione.
2. Con appello notificato il 4.11.2010 e depositato il 25.11.2010, il convenuto ha impugnato la sentenza per i seguenti motivi:
1) “Nullità dell’invito a dedurre, dell’atto di citazione e del pedissequo decreto di citazione a giudizio”. Si tratta di atti proposti in pendenza del ricorso per Cassazione avverso la condanna penale, in violazione dell’art. 17, comma 30 ter, del D.L. n. 78 del 2009, inserito dalla L. n. 102 del 2009 e modificato dal D.L. n. 103 del 2009 convertito [#OMISSIS#] L. n. 141 del 2009.
2) Prescrizione dell'”azione di responsabilità e del relativo diritto al risarcimento del danno”, in applicazione dell’art. 1, comma 2, della L. n. 20 del 1994. Il prof. D.S. era stato arrestato il 4.11.2002, con immediata sospensione dal servizio, e l’invito a dedurre e l’atto di citazione erano stati poi notificati, rispettivamente, solo il 3.2.2009 e il 15.7.2009.
3) Insussistenza e comunque eccessiva ed erronea quantificazione del “danno da tangente”, “frutto di ragionamenti meramente logici e presuntivi” e quantificato, “aprioristicamente ed acriticamente”, “in misura corrispondente alle dazioni accertate in giudizio, ovvero Euro 951.266,33”.
4) Insussistenza del “danno alla concorrenza”. Si tratta di un danno al più “rilevante nei rapporti tra i privati (ovvero tra gli imprenditori), ma non [#OMISSIS#] nei confronti dell’Amministrazione pubblica”, che avrebbe dovuto comunque “acquisire le forniture da terzi” riconoscendo “al fornitore l’utile di impresa”.
5) Quantificazione “apodittica e arbitraria” del danno all’immagine. Il [#OMISSIS#] ha assunto “quale suo unico ed effettivo parametro quello dell’entità delle presunte dazioni”, non ha considerato l’infondatezza delle notizie di stampa sulla “[#OMISSIS#] di svariati pazienti” e non ha nemmeno considerato la riduzione del “danno da tangente ipotizzato in atto di citazione”.
L’appellante ha chiesto in conclusione: “in via pregiudiziale e preliminare”, la dichiarazione della nullità dell’invito a dedurre e dell’atto di citazione con il pedissequo decreto di fissazione d’udienza; “sempre in via pregiudiziale e preliminare”, la dichiarazione di prescrizione dell’azione di responsabilità; “in ogni [#OMISSIS#] e nel merito”, il rigetto della domanda di risarcimento dei danni da tangente, alla concorrenza e all’identità pubblica.
3. Con conclusioni depositate il 27.1.2016, la Procura Generale ha affermato: “per quanto riguarda i fatti costituenti reato e l’affermazione del loro assoggettamento a sanzione si era in presenza, già all’atto dell’emissione della citazione, di una statuizione immodificabile, evidentemente accettata dal condannato che non aveva ritenuto di gravarla di ricorso in cassazione”; ai fini della decorrenza della prescrizione dell’azione di responsabilità, “nel [#OMISSIS#] del prof. D.S. non poteva [#OMISSIS#] ritenersi sufficiente la mera notizia giornalistica del suo arresto per poter far avviare un’istruttoria da parte del P.M. contabile”; il pagamento delle cosiddette tangenti comporta “un ritorno economico almeno pari al maggior aggravio di spesa rappresentato dal pagamento della tangente”; in ragione dell'”ampia risonanza e diffusione mediatica” si è avuta “la sicura lesione dell’immagine dell’Ospedale San [#OMISSIS#] di Torino e dell’Università degli Studi di quella città”; non sussiste un “danno da mancata concorrenza” ulteriore rispetto all’aumento del prezzo di aggiudicazione per effetto del pagamento delle tangenti.
Ha chiesto in conclusione di “confermare la sentenza appellata, riformandola solo in punto di condanna del c.d. “danno da concorrenza”, condannando l’appellante al pagamento delle spese di giudizio.
4. All’udienza del 22.3.2016, le parti hanno ribadito le argomentazioni e richieste scritte.
L’avv. [#OMISSIS#] Del Monte ha in particolare affermato che il giudizio è stato instaurato prima della comunicazione della sentenza della Cassazione che ha definito il giudizio penale nei confronti del dott. D.S.; ha sostenuto che una qualificata notitia damni si era già avuta con l’arresto dell’appellante nel 2002; ha condiviso la richiesta della Procura Generale di esclusione del “danno alla concorrenza”.
Il vice procuratore generale dott. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] ha invece ribadito che il ricorso per Cassazione era stato proposto solamente per le statuizioni civili; ha affermato che nell’art. 17, comma 30 ter, del D.L. n. 78 del 2009 non c’è alcun riferimento alla “comunicazione” della sentenza penale di condanna; ha aggiunto che il dies a quo della prescrizione dell’azione di responsabilità non può [#OMISSIS#] fattispecie decorrere da un momento anteriore alla comunicazione del Pubblico Ministero penale prevista dall’art. 129 delle disposizioni d’attuazione al codice di procedura penale.
Considerato in
Motivi della decisione
1. Il primo motivo di appello è infondato.
Come ha ricordato la Procura Generale nelle sue conclusioni, la sentenza impugnata ha già correttamente osservato:
“Alla data della notifica dell’atto di citazione, era sì pendente procedimento avanti alla Corte di Cassazione, ma tale giudizio era stato azionato avverso le sole statuizioni civili della sentenza di secondo grado. Non avendo il ricorso per Cassazione investito le disposizioni di carattere penale contenute [#OMISSIS#] sentenza n. 3909 in data 30.10.2008 della Corte d’Appello di Torino (che confermava la pronuncia di primo grado [#OMISSIS#] dichiarare le prescrizioni medio tempore intervenute, rideterminando, conseguentemente, la pena inflitta in anni 1 e mesi 11 di reclusione), queste ultime sono divenute definitive”. Per l’art. 585 del c.p.p., “le statuizioni penali di cui alla sentenza di secondo grado del 30.10.2008” erano “ormai divenute definitive alla data della notifica dell’atto di citazione (15 luglio 2009) e anche alla data di notifica dell’invito a dedurre (3 febbraio 2009)”.
2. Anche il secondo motivo d’appello è infondato.
Infatti, sul punto la sentenza impugnata ha giustamente affermato:
“[#OMISSIS#] fattispecie, il danno è derivato da specifici fatti delittuosi dei quali il D.S. è stato ritenuto responsabile in via penale”. E secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, “il dies a quo della prescrizione decorre dalla richiesta di rinvio a giudizio formulata in sede penale, atteso che solamente con tale determinazione dell’organo pubblico competente, l’ipotesi delittuosa assume la precisione e la concretezza necessarie perché possa aver rilievo in termini di effettiva scoperta del danno, secondo la previsione di cui all’art. 1 comma 2 della L. 14 gennaio 1994, n. 20. Nel [#OMISSIS#] all’esame la richiesta di rinvio a giudizio da parte del Pubblico Ministero penale è stata formulata il 3 marzo 2004, mentre l’invito a dedurre è stato notificato al convenuto in data 3 febbraio 2009, quindi anteriormente allo spirare del quinquennio”.
La Sezione piemontese ha poi già precisato:
“Il [#OMISSIS#] di prescrizione deve considerarsi interrotto anche per effetto della costituzione di parte civile dell’Amministrazione nel processo penale. L’Amministrazione, infatti, risulta essersi costituita parte civile nel processo penale ed aver mantenuto tale qualità anche nel procedimento relativo al ricorso per Cassazione (tant’è che nelle premesse della sentenza della Cassazione n. 1550 del 25.9.2009 si dà atto dell’arringa dei difensori di parte civile, avv. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] per l’Università degli Studi di Torino e avv. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] per l’Azienda O.S.). Il suddetto atto dell’Amministrazione ha pertanto prodotto l’effetto interruttivo permanente di cui all’art. 2945 comma 2 del c.c.”. E in effetti, la giurisprudenza “per decenni ha riconosciuto e continua a riconoscere all’Amministrazione” la possibilità di “porre in essere atti interruttivi della prescrizione sulla base del secondo comma dell’art. 2943 del codice civile”.
3. Nemmeno il terzo motivo d’appello può essere accolto.
Nelle sue conclusioni, la Procura Generale ha correttamente rilevato che “sotto un profilo logico, prima ancora che giuridico, si deve ragionevolmente supporre che, in casi, come questo, avvenga una [#OMISSIS#] e propria “traslazione” dell’importo delle tangenti sui prezzi di aggiudicazione dei contratti ad evidenza pubblica, secondo il principio dell’accadimento ragionevole e notorio>”. E in effetti, la c.d. tangente è sempre un costo aggiuntivo per l’impresa, che comporta sempre un aumento del corrispettivo che, in sua assenza, l’impresa avrebbe potuto accettare.
4. E’ invece fondato il quarto motivo d’appello.
Come ha rilevato la Procura Generale, si tratta di “una duplicazione del danno rappresentato dalla percezione delle tangenti che si sono riverberate, come detto, sul prezzo di aggiudicazione e che ora, sotto diversa veste, vengono nuovamente contestate”.
5. Infine, è infondato il [#OMISSIS#] motivo di appello.
In effetti, la Procura Generale ha giustamente evidenziato come, “al di là di taluni aspetti che la stampa ha ritenuto, più o meno correttamente e giustificatamente, mettere in risalto, la lesione dell’immagine della P.A., latamente intesa, sia stata gravissima, soprattutto perché legata ad un settore, quale quello della sanità, in cui i soggetti direttamente interessati sono persone che vivono già uno stato di debolezza fisica e psichica, dettata dalla gravità delle malattie cardiovascolari e che vedono irrimediabilmente travolto quel rapporto di fiducia con il loro medico che rappresentava, in quel momento, sicuro e affidabile appiglio”.
Peraltro, va anche rilevato che il comma 1 sexies dell’art. 1 della L. n. 20 del 1994, introdotto dall’art. 62 della L. n. 190 del 2012, ha disposto che “nel giudizio di responsabilità, l’entità del danno all’immagine della pubblica amministrazione derivante dalla commissione di un reato contro la stessa pubblica amministrazione accertato con sentenza passata in giudicato si presume, salva prova contraria, pari al doppio della somma di denaro o del valore patrimoniale di altra utilità illecitamente percepita dal dipendente”.
Si tratta di una disposizione non applicabile alla fattispecie ratione temporis, ma comunque [#OMISSIS#] significativa ai fini di una quantificazione del danno all’immagine pur sempre equitativa in applicazione dell’art. 1226 c.c.. Anche su questo punto, va pertanto confermata la sentenza impugnata.
6. In conclusione, l’appello in esame va solo parzialmente accolto.
La conferma in massima parte della sentenza impugnata induce ad addebitare all’appellante anche le spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M. 
la Corte dei conti, Seconda Sezione giurisdizionale centrale d’appello,
accoglie parzialmente l’appello del sig. M.D.S. avverso la sentenza della Sezione giurisdizionale per il [#OMISSIS#] n. 96 del 6.7.2010 e per l’effetto, in riforma della sentenza stessa, lo condanna a pagare 1.451.266,30 (unmilionequattrocentocinquantunomiladuecentosessantasei/30) Euro alla Azienda S.O. e 500.000,00 (cinquecentomila/00) Euro all’Università degli Studi di Torino, in ambedue i casi con gli interessi legali dalla pubblicazione della sentenza impugnata. Condanna altresì l’appellante al pagamento delle spese del secondo grado, che sono complessivamente liquidate in Euro 96,00 (NOVANTASEI/00)
Così deciso in Roma, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] di consiglio del 22 marzo 2016.
Depositata in Cancelleria 25 marzo 2016.