Corte dei conti, sez. II, 30 giugno 2015, n. 340

Professore – Riliquidazione trattamento pensionistico – Indennità ospedaliera – Base pensionabile

Data Documento: 2015-06-30
Area: Giurisprudenza
Massima

Il professore fuori ruolo, in quanto non gode della posizione tipica del docente in servizio attivo pleno iure, non è ammesso allo svolgimento di funzioni assistenziali in posizione strutturata rispetto al servizio sanitario nazionale, non potendo di conseguenza godere della equiparazione degli emolumenti corrispettivi del rapporto di lavoro a quelli del personale medico del S.S.N. prevista dall’art. 102 d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382. Pertanto, considerato come il docente non avrebbe potuto percepire l’indennità ospedaliera in relazione al proprio ultimo stipendio, in quanto collocato fuori ruolo, detta indennità non può essere computata nella base pensionabile.

Contenuto sentenza

PENSIONI
C. Conti Sez. II App., Sent., 30-06-2015, n. 340
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE SECONDA GIURISDIZIONALE CENTRALE
composta dai magistrati:
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#] – [#OMISSIS#]
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#] – Consigliere relatore
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#] – Consigliere
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#] – Consigliere
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#] – Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sull’appello proposto dal prof. R.C., rappresentato e difeso dall’Avv. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e con questi elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] in Roma, Viale Ippocrate n. 33,
contro
– l’INPDAP (ora INPS), costituitosi in giudizio a mezzo del dirigente dott.ssa [#OMISSIS#] [#OMISSIS#],
– l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, costituitasi in giudizio a mezzo del Rettore pro tempore dr. G. [#OMISSIS#],
avverso
la sentenza della Sezione giurisdizionale per la Regione Lazio n. 382/12 del 9 aprile 2012.
Visto l’appello, iscritto al n. 44368 del registro generale.
Esaminati gli atti e i documenti di causa.
Uditi [#OMISSIS#] pubblica udienza del 21 aprile 2015 il relatore, Consigliere [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], l’Avv. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] per l’appellante e la dott.ssa [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] per l’INPS.
Svolgimento del processo
Con la sentenza indicata in epigrafe la Sezione giurisdizionale per la Regione Lazio ha respinto il ricorso con il quale il prof. C.R. lamentava che la pensione ordinaria fosse stata liquidata senza tener conto dell’indennità di posizione prevista dagli artt. 1 e 2 della L. n. 334 del 1997 e dell’indennità c.d. “De [#OMISSIS#]” prevista dall’art. 31 del D.P.R. n. 761 del 1979. Il primo [#OMISSIS#] ha, innanzitutto, respinto l’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dall’INPDAP. Nel merito ha evidenziato che: il prof. R. aveva percepito le indennità di cui trattasi fino al 31 dicembre 1997 e non oltre, poiché da quel momento e fino alla cessazione dal servizio (31 ottobre 2000), venne collocato fuori ruolo continuando [#OMISSIS#] sola attività didattica universitaria ai sensi dell’art. 15-novies, comma 2, del D.Lgs. n. 502 del 1992; tale [#OMISSIS#] era stata dichiarata incostituzionale con sentenza della Consulta n. 71 del 2001; la declaratoria di incostituzionalità non poteva avere effetto nei confronti del ricorrente, tenuto conto che la sentenza era stata pubblicata quando il rapporto di servizio si era già concluso; quindi, secondo i principi fissati dagli artt. 43 e 53 del D.P.R. n. 1092 del 1973, le indennità non potevano entrare [#OMISSIS#] base pensionabile non essendo percepite all’atto del collocamento a riposo; ha dichiarato infondata la subordinata richiesta di sollevare ulteriore questione di legittimità costituzionale.
La sentenza è stata impugnata dal prof. R. con appello notificato sia all’INPDAP (ora INPS) sia all’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” e depositato nei termini di legge
Nell’appello si deduce:
1) violazione o falsa applicazione di norme di diritto, con riguardo [#OMISSIS#] effetti della declaratoria di incostituzionalità; l’appellante osserva sul punto che, “nonostante il rapporto di servizio fosse già esaurito al tempo della pubblicazione della sentenza della Corte Costituzionale”, a quella data (marzo 2001) non era stato ancora emesso il decreto di liquidazione della pensione, intervenuto il 6 dicembre 2001; in ogni [#OMISSIS#], osserva l’appellante che la sentenza della Corte costituzionale non ha fatto altro che recepire un principio già sancito dalle precedenti disposizioni della “stretta inscindibilità tra l’attività assistenziale con quella didattica” (art. 101 del D.P.R. n. 382 del 1980), cui consegue l’equiparazione del trattamento economico complessivo spettante al personale docente universitario rispetto a quello delle unità sanitarie locali di pari funzione (art. 31 del D.P.R. n. 761 del 1979); le indennità in parola, delle quali il primo [#OMISSIS#] ha riconosciuto la pensionabilità in astratto, dovevano quindi “costituire la base di calcolo per la determinazione della pensione”;
2) insufficiente e contraddittoria motivazione sulla richiesta di sollevare questione di legittimità costituzionale per disparità di trattamento tra docenti universitari e dirigenti medici; sul punto osserva che – diversamente da quanto evidenziato dal primo [#OMISSIS#] – la sentenza della Corte Costituzionale n. 71 del 2001 aveva deciso su altri aspetti e, comunque, vi è contraddittorietà con l’esigenza istruttoria avvertita dal [#OMISSIS#] territoriale;
3) omessa motivazione sulla corresponsione di somme a titolo di indennità di posizione [#OMISSIS#] il periodo del fuori ruolo, non conteggiate in pensione e sulla rilevanza degli emolumenti percepiti [#OMISSIS#] il periodo di ruolo; applicabilità del D.Lgs. n. 503 del 1992 e della successiva L. n. 335 del 1995; sul punto osserva che: quando era già fuori ruolo, gli sono stati corrisposti arretrati per indennità di posizione riferibili al periodo 1 gennaio 1996-31 ottobre 1999 (doc. 7 del fascicolo di primo grado); osserva, altresì, che la più recente normativa pensionistica ha superato “la stretta relazione stabilita dagli artt. 43 e 53del D.P.R. n. 1092 del 1973, tra [#OMISSIS#] stipendio e trattamento di quiescenza”, essendo stato valorizzato il concetto della “retribuzione media pensionabile” da ricavarsi “in base alla media delle retribuzioni riscosse nel corso di un ampio periodo”; sostiene, in sostanza, che al prof. R. già in servizio al 31.12.1992 la pensione doveva essere liquidata tenendo conto, in quota A, del trattamento economico aggiuntivo determinato dalle funzioni svolte, che deve contenere l’indennità di posizione e le altre indennità connesse ai vari tipi di incarichi, da determinarsi “in analogia con gli importi previsti per il personale del SSN dei CCNL dell’area della Dirigenza medica e sanitaria non medica”. Quindi, ripercorse le vicende amministrative e giudiziarie di primo grado, ha chiesto conclusivamente che sia accolta la domanda di riliquidazione della pensione con inclusione delle invocate indennità e che, in subordine, sia sollevata questione di legittimità costituzionale nei sensi sopra indicati.
L’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” si è costituita in giudizio con memoria depositata il 20 marzo 2015, con la quale si chiede il rigetto del ricorso, osservando in sintesi che: la posizione di fuori ruolo ha comportato il venir meno della titolarità delle funzioni assistenziali ordinarie e la cessazione del trattamento economico equiparativo connesso a tale attività (indennità De [#OMISSIS#] e indennità di posizione); [#OMISSIS#] fattispecie è stato applicato l’art. 110 del D.P.R. n. 382 del 1980, tenuto conto che l’art. 15 nonies, comma 2, non era applicabile al prof. R. che alla data di collocamento in fuori ruolo aveva già compiuto il 72 anno di età; avendo maturato al 31.12.1992 l’anzianità contributiva massima di 40 anni, la pensione gli è stata liquidata sulla base della retribuzione spettante al momento della cessazione dal servizio; non essendo destinatario di ulteriore quota di pensione non potevano essere prese in considerazione le indennità percepite fino alla data del collocamento fuori ruolo; non corrisponde al vero che sarebbero stati liquidati importi per indennità di posizione nel periodo di collocamento fuori ruolo; la dedotta equiparazione riguarda il trattamento di attività e non il trattamento di quiescenza; vi sarebbero [#OMISSIS#] di difetto di giurisdizione.
Si è costituito in giudizio anche l’INPS con memoria depositata il 14 aprile 2015, [#OMISSIS#] quale si eccepisce nuovamente la carenza di legittimazione passiva dell’Istituto previdenziale. Nel merito, si richiamano precedenti della Sezione III centrale nonché le disposizioni vigenti in materia e si chiede il rigetto dell’appello.
L’appellante ha depositato memoria illustrativa in data 31 marzo 2015. Insiste, in particolare, sulla sussistenza della giurisdizione e ribadisce di aver percepito l’indennità di posizione anche nel periodo fuori ruolo fino al 31 ottobre 1999, come da certificazione che allega.
Alla pubblica udienza del 21 aprile 2015 l’Avv. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] si è riportata alle argomentazioni esposte negli atti scritti con particolare riferimento a quanto dedotto in memoria. La dott.ssa [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] ha ribadito che, nel [#OMISSIS#] all’esame, l’INPS ha svolto funzioni di ordinatore secondario della spesa; ha, comunque, chiesto il rigetto dell’appello riportandosi a quanto osservato [#OMISSIS#] memoria.
Motivi della decisione
1. L’appellante contesta la sentenza n. 382/12 del 9 aprile 2012, con la quale la Sezione giurisdizionale per il Lazio ha respinto il ricorso volto ad ottenere la riliquidazione della pensione con inclusione [#OMISSIS#] base pensionabile dell’indennità di posizione prevista dagli artt. 1 e 2 della L. n. 334 del 1997 e della c.d. indennità “De [#OMISSIS#]” di cui all’art. 31 del D.P.R. n. 761 del 1979.
L’appello è infondato, dovendosi affermare che al prof. R. non spetta l’invocata riliquidazione.
Valgano le seguenti argomentazioni, in parte diverse e aggiuntive rispetto a quanto enunciato dal primo [#OMISSIS#].
2. Deve, innanzitutto, escludersi che [#OMISSIS#] specie fosse applicabile l’art. 15-novies, comma 2, del D.Lgs. n. 502 del 1992, trattandosi di disciplina aggiunta dall’art. 13 del D.Lgs. n. 229 del 1999 e, quindi, di normativa entrata in vigore quando l’appellante era stato già collocato fuori ruolo, con effetto dal 1 novembre 1997, avendo compiuto i 72 anni di età il 24 febbraio 1925.
Di conseguenza deve escludersi che abbia un qualunque effetto in questo giudizio la sentenza della Corte Costituzionale n. 71 del 2001 che ha dichiarato l’incostituzionalità del menzionato art. 15-novies, comma 2, “[#OMISSIS#] parte in cui dispone la cessazione del personale medico universitario di cui all’art. 102 del decreto del [#OMISSIS#] della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382, dallo svolgimento delle ordinarie attività assistenziali, nonché dalla direzione delle strutture assistenziali, al raggiungimento dei limiti massimi di età ivi indicati, in assenza di stipula dei protocolli d’intesa tra università e regioni previsti dalla stessa [#OMISSIS#] ai fini della disciplina delle modalità e dei limiti per l’utilizzazione del suddetto personale universitario per specifiche attività assistenziali strettamente connesse all’attività didattica e di ricerca”. Tale considerazione rende irrilevante la questione se e in quali limiti la pronuncia di incostituzionalità abbia effetto retroattivo fino a regolamentare – come pretende l’appellante – il trattamento pensionistico decorrente dal 1 novembre 2000.
In effetti, come correttamente dedotto dall’Università degli studi “La Sapienza”, la disciplina del collocamento fuori ruolo applicabile [#OMISSIS#] fattispecie è quella contenuta nell’art. 110 del D.P.R. n. 382 del 1980. E al riguardo – nei limiti in cui la questione può essere delibata ai fini della valutazione di quanto strettamente attiene alle modalità di liquidazione della pensione – si osserva che il collocamento fuori ruolo determina la perdita della titolarità dell’insegnamento e la decadenza dalle attività ordinarie di didattica e di ricerca, essendo il professore fuori ruolo “tenuto a svolgere attività scientifica e didattica secondo modalità che saranno determinate con provvedimento del Ministro per la pubblica istruzione, su proposta delle competenti autorità accademiche, avuto riguardo alle disponibilità degli istituti e dei mezzi, e specialmente in relazione alle esigenze delle ricerche sperimentali” (così l’art. 2 del decreto legislativo C.P.S. n. 1251 del 1947, come ratificato con modificazioni dalla L. n. 498 del 1950, cui fa rinvio, quali “norme attualmente in vigore”, l’art. 19, comma 3, del D.P.R. n. 382 del 1980).
Trattasi, in sostanza, di funzioni (quelle esercitate in posizione di fuori ruolo) limitate e che, proprio in ragione della loro connaturata limitatezza, non possono essere ricondotte alla disciplina generale recata dall’art. 102 del D.P.R. n. 382 del 1980; disciplina secondo cui il personale docente universitario che esplichi attività assistenziale presso gli istituti universitari gestiti direttamente dalle Università è equiparato, con riguardo al trattamento economico complessivo, al personale delle unità sanitarie locali di pari funzione, mansione ed anzianità, secondo “le corrispondenze funzionali tra il personale medico dei ruoli universitari ed il personale medico del servizio sanitario nazionale” stabilite [#OMISSIS#] stesso art. 102. In tal senso è, del resto, la consolidata giurisprudenza del [#OMISSIS#] amministrativo (cfr. Cons. Stato n. 962 del 1995), dovendo quindi conclusivamente rilevarsi – sempre nei limiti in cui la disamina può essere condotta ai fini dell’accertamento della correttezza o meno del procedimento di liquidazione della pensione – che il collocamento fuori ruolo, comportando il venir meno della titolarità delle funzioni assistenziali ordinarie, ha determinato anche la cessazione del trattamento economico equiparativo connesso a dette funzioni con specifico riguardo all’indennità di posizione e all’indennità “De [#OMISSIS#]”.
Sul punto, [#OMISSIS#] solo da precisare che a tali conclusioni deve pervenirsi anche [#OMISSIS#] considerazione che lo stesso appellante dà atto di non aver svolto l’attività assistenziale che costituisce il presupposto dell’equiparazione retributiva, essendosi limitato a lamentare che “in assenza di intese tra Università e Regione, non poteva essere impedito comunque al R. l’espletamento dell’attività assistenziale”, nonchè ad evidenziare che, “seppur limitatamente all’indennità di posizione, … questa è stata corrisposta dalla Gestione Liquidatoria dell’Azienda Policlinico [#OMISSIS#] I al R. sino al 31 ottobre 1999, ossia quando il R. già da almeno due anni era in fuori ruolo” (vedi pag. 6 della memoria depositata il 31 [#OMISSIS#] 2015). Senonchè, le doglianze circa il mancato espletamento dell’attività assistenziale (anche sotto il profilo della ventilata illegittimità costituzionale della norme di riferimento) non possono avere accesso in questa sede contenziosa pensionistica, nell’ambito della quale – pena il travalicamento dell’ambito della giurisdizione – deve solo prendersi atto che tale attività non è stata svolta, con le conseguenze che ne seguono in termini di trattamento retributivo da assumere a base di calcolo per il trattamento pensionistico.
3. Tanto chiarito, deve escludersi che [#OMISSIS#] fattispecie l’indennità di posizione e l’indennità “De [#OMISSIS#]” debbano entrare a far parte della base pensionabile.
Innanzitutto, diversamente da quanto dedotto dall’appellante, non può affermarsi che il trattamento pensionistico dovesse essere liquidato con una differenziazione in quota A) e in quota B) secondo le disposizioni recate dal D.Lgs. n. 503 del 1992 e dalla L. n. 335 del 1995.
Al riguardo si rammenta che, ai sensi dell’art. 13, comma 1, del D.Lgs. n. 503 del 1992, l’importo della pensione è determinato dalla somma di due quote indicate, rispettivamente, nelle lettere a) e b) dello stesso comma e cioè: “a) della quota di pensione corrispondente all’importo relativo alle anzianità contributive acquisite anteriormente al 1 gennaio 1993, calcolato … secondo la normativa vigente precedentemente alla data anzidetta …” (c.d. quota A); “b) della quota di pensione corrispondente all’importo del trattamento pensionistico relativo alle anzianità contributive acquisite a decorrere dal 1 gennaio 1993, calcolato secondo le norme di cui al presente decreto” (c.d. quota B). La distinzione in quote A) e B) è stata recepita dalla L. n. 335 del 1995 che ha introdotto, nel sistema pensionistico, il metodo di calcolo contributivo e ha scaglionato nel tempo l’operatività del nuovo sistema.
Dal complesso delle disposizioni si desume che il sistema contributivo è integralmente applicabile ai lavoratori assunti dal 1 gennaio 1996, mentre è escluso per i dipendenti in possesso – alla stessa data dell’1.1.1996 – di un’anzianità di servizio superiore ad anni 18, la cui pensione [#OMISSIS#] liquidata secondo il sistema retributivo. Nei casi intermedi, il regime transitorio prevede una soluzione pro rata (metodo contributivo per i periodi assicurativi successivi al 1 gennaio 1996 e retributivo per quelli anteriori), con espresso richiamo, in quest'[#OMISSIS#] ipotesi, all’art. 13 del D.Lgs. n. 503 del 1992, che prevede la distinzione della pensione in quota A e quota B.
Orbene, costituisce dato incontroverso che il prof. R. avesse maturato al 31 dicembre 1992 l’anzianità contributiva massima di quaranta anni; quindi, come previsto dal menzionato art. 13, comma 1, del D.Lgs. n. 503 del 1992, il trattamento pensionistico dell’appellante doveva essere integralmente calcolato “secondo la normativa vigente precedentemente alla data” del 1 gennaio 1993, restando regolato – trattandosi di dipendente civile dello Stato – dall’art. 43 del D.P.R. n. 1092 del 1973; disposizione secondo cui, “ai fini della determinazione della misura del trattamento di quiescenza”, “la base pensionabile” è “costituita dall'[#OMISSIS#] stipendio o dall'[#OMISSIS#] paga o retribuzione e dagli assegni o indennità pensionabili … integralmente percepiti”.
[#OMISSIS#] specie, nessuna delle invocate indennità è stata percepita dal prof. R., né era a questi dovuta, nel periodo retributivo immediatamente precedente al collocamento a riposo.
Circa l’indennità “De [#OMISSIS#]” è lo stesso appellante ad affermare di non averla percepita in ragione del mancato espletamento delle attività assistenziali. Circa l’indennità di posizione si osserva che, in effetti, come dedotto dall’appellante, nel provvedimento emesso in data 9 dicembre 2002 dal Commissario dell’Azienda Universitaria Policlinico [#OMISSIS#] I di Roma si fa riferimento ad un “credito lordo di Euro 37.873,50 … per indennità di posizione riguardante il periodo 1 gennaio 1996 – 31 ottobre 1999”; l’Università sostiene che in realtà si trattava di emolumenti liquidati per il periodo 1 gennaio 1996 – 31 ottobre 1997, interamente antecedente al collocamento fuori ruolo; il Collegio ravvisa non necessario un accertamento istruttorio, [#OMISSIS#] considerazione che, in ogni [#OMISSIS#], si tratterebbe di indennità che non è stata percepita nel periodo retributivo immediatamente antecedente al collocamento in quiescenza.
A quest'[#OMISSIS#] proposito deve anche escludersi – a fronte delle specifiche doglianze dell’appellante – che il trattamento pensionistico del prof. [#OMISSIS#] dovesse essere calcolato tenendo conto della “retribuzione media pensionabile” da ricavarsi “in base alla media delle retribuzioni riscosse nel corso di un ampio periodo”. E’ evidente l’equivoco in cui è incorso l’appellante che, probabilmente in ragione della pretesa equiparazione con il personale medico del servizio sanitario nazionale, richiama modalità di calcolo che sono proprie del sistema pensionistico delle ex Casse pensioni gestite dalla Direzione Generale degli Istituti di Previdenza del Ministero del Tesoro, tra le quali era compresa la Cassa Pensioni Sanitari cui erano iscritti, tra l’altro, i dipendenti delle Unità Sanitarie Locali. Senonchè, posto che l’equiparazione – ai sensi dell’art. 102 del D.P.R. n. 382 del 1980 – ha effetto nei riguardi del personale docente universitario che esplichi attività assistenziale presso gli istituti universitari gestiti direttamente dalle Università, deve comunque rilevarsi che si tratta, come chiaramente risulta dal dato normativo, di equiparazione concernente esclusivamente il trattamento retributivo e non anche il trattamento di quiescenza, che – in assenza di espresse disposizioni derogatorie – [#OMISSIS#] regolato dal sistema pensionistico di appartenenza. In sostanza, trattandosi di docente universitario, al prof. [#OMISSIS#] è applicabile la normativa che regola il trattamento di quiescenza dei dipendenti civili dello Stato.
4. Al rigetto dell’appello consegue la condanna dell’appellante al pagamento degli oneri difensivi sostenuti dalle controparti che, in ragione dell’attività svolta, si ritiene equo liquidare in Euro 500,00 a favore di ciascuna di esse.
P.Q.M.
La Corte dei conti, Sezione Seconda Giurisdizionale Centrale
RESPINGE
l’appello, iscritto al n. 44368, proposto dal prof. R.C. avverso la sentenza della Sezione giurisdizionale per la Regione Lazio n. 382/12 del 9 aprile 2012.
Condanna l’appellante al pagamento di Euro 500,00 in favore di ciascuna delle controparti costituite in giudizio.
Così deciso in Roma, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] di consiglio del 21 aprile 2015.
Depositata in Cancelleria 30 giugno 2015.