Corte dei conti, sez. II, 5 dicembre 2016, n. 1274

Illegittimo conferimento incarichi esterni – Azienda ospedaliera universitaria – Direttore generale, del direttore amministrativo e dal direttore sanitario

Data Documento: 2016-12-05
Area: Giurisprudenza
Massima

La regola di giudizio da applicare con riferimento a fattispecie di illeciti inerenti all’adozione di provvedimenti illegittimi comporta l’accertamento di una pluralità di elementi, laddove i profili di illegittimità dell’atto amministrativo compongono il quadro di riferimento della condotta o dell’azione; sicché il giudice investito della relativa controversia non deve procedere ad un sindacato incidentale in ordine alla validità dell’atto, quasi dovesse procedere alla sua disapplicazione, atteso che la sua cognizione investe l’atto in via principale, non certo al fine di una statuizione inerente alla sua legittimità, bensì per accertare l’illiceità del fatto, rispetto al quale i vizi dell’atto possono acquistare rilevanza quali elementi costitutivi della fattispecie.L’accertamento in ordine alla ritenuta legittimità di un atto acquista rilevanza in termini di negazione circa l’avvenuta violazione di obblighi di servizio da parte del suo autore, determinando l’elisione dell’antigiuridicità della condotta, ma non comporta né un’affermazione di mancanza di danno, né una conclusione assoluta circa l’illiceità laddove sia dato rinvenire elementi a sostegno di una più complessa valutazione della fattispecie che faccia emergere violazioni di obblighi da parte di soggetti diversi o la mancanza di imputabilità. Per converso, la mera illegittimità di un atto non integra di per sé gli estremi dell’illiceità le volte in cui non possa ritenersi integrata la fattispecie costitutiva della responsabilità amministrativa.Pur essendo il conferimento degli incarichi esterni preordinato a realizzare finalità di interesse strategico dell’azienda ospedaliera universitaria, tale conferimento risulta illegittimo qualora la caratterizzazione dell’oggetto non consente di individuare una sostanziale sua determinatezza, non aderendo pertanto all’art. 7, comma 6, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, che fa riferimento ad obiettivi e progetti specifici e determinati. La latitudine impressa alla disposta collaborazione, induce a considerare come gli incarichi, non collegati ad una progettualità predeterminata, ma consistenti in larga misura in un apporto di tipo generale, in realtà ponessero in evidenza lo svolgimento di un’attività di tipo sostitutivo di quella propria della direzione generale e della struttura stessa, della cui impossibilità ad offrire le professionalità al riguardo non solo non è stata data alcuna prova, ma è consentito dubitare tenendo conto dell’ampiezza dimensionale dell’azienda e dell’università.L’ampiezza e l’incidenza strategica sull’organizzazione dell’Azienda ospedaliera universitaria dell’incarico conferito a un soggetto esterno all’amministrazione consentono di ritenere particolarmente coinvolgente il ruolo dei direttori amministrativo e sanitario nella scelta effettuata, la quale da un lato indubbiamente trova nella persona del direttore generale il principale responsabile al quale collegare l’intuitus personae, ma, dall’altro, qualora si consideri il necessario apprezzamento in termini di requisiti di legittimità richiesti o di ricaduta organizzativa, ovvero l’indiscutibile valorizzazione delle capacità organizzative in ambito più strettamente scientifico e sanitario con riferimento all’oggetto degli incarichi (rapporti con l’università; organizzazione dei dipartimenti; area di chirurgia generale; procedure medico-chirurgiche innovative), attiene ad un ambito decisionale di competenza proprio anche di questi dirigenti, la cui responsabilità non è quindi correlata al fatto del mero concorso all’adozione degli atti di conferimento, bensì assume i caratteri della vera e propria condivisione.Il ruolo di supporto e di ausilio dei direttori amministrativo e sanitario comporta l’acquisizione del loro parere obbligatorio sui provvedimenti del direttore generale, il quale è tenuto a fornire specifica motivazione qualora ritenga di adottare provvedimenti in difformità dal parere del direttore amministrativo e sanitario. I suddetti funzionari sono nominati dal direttore generale; in ogni caso, essi partecipano, unitamente al direttore generale, che ne ha la responsabilità, alla direzione dell’azienda, ed assumono diretta responsabilità delle funzioni attribuite alla loro competenza e concorrono, con la formulazione di proposte e di pareri, alla formazione delle decisioni della direzione generale.

Contenuto sentenza

GIUDIZIO DI CONTO
C. Conti Sez. II App., Sent., (ud. 07-06-2016) 05-12-2016, n. 1274
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE SECONDA GIURISDIZIONALE CENTRALE D’APPELLO
composta dai seguenti magistrati:
[#OMISSIS#] IMPERIALI – Presidente
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#] – Consigliere
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#] – Consigliere relatore
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#] – Consigliere
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#] – Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio sugli appelli iscritti ai nn. 42223 e 42684 del registro di segreteria proposti, rispettivamente da:
U.M., rappresentato e difeso dall’avv. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#],
– appellante principale –
contro
il Procuratore generale presso la Corte dei conti, e dallo stesso
Procuratore generale presso la Corte dei conti
– appellante incidentale –
contro
U.M., rappresentato e difeso dall’avv. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#],
G.P.P., rappresentato e difeso dagli avv. Marina [#OMISSIS#] e [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#],
M.D.M., rappresentato e difeso dagli avv. [#OMISSIS#] Matteini e [#OMISSIS#] Petrucci,
[#OMISSIS#] M., rappresentato e difeso dagli avv. [#OMISSIS#] Viola, [#OMISSIS#] Salvatore e [#OMISSIS#] [#OMISSIS#],
avverso la decisione della Sezione giurisdizionale per il Lazio 25 luglio 2011 n. 1139;
Visti gli atti introduttivi e le conclusioni del Procuratore generale rassegnate con atto del 18 aprile 2012,
Visti gli altri atti e documenti di causa;
Uditi, all’udienza pubblica del 7 giugno 2016, il consigliere relatore [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], il Pubblico Ministero in persona del vice procuratore generale [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e gli avv. Marina [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] Petrucci e [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] per le parti private,
Ritenuto in
Svolgimento del processo
La Sezione per il Lazio, con la sentenza in epigrafe, si è pronunciata in ordine all’azione di danno proposta in confronto del direttore generale, del direttore amministrativo e dal direttore sanitario dell’Azienda Policlinico Umberto I di Roma, per aver conferito incarichi reiterati e continuativi di supporto e consulenza al prof. M., docente universitario, in violazione delle disposizioni di legge in materia, nonché in confronto di quest’ultimo per non aver reso le prestazioni idonee a far ritenere che le consulenze fossero state regolarmente prestate ed indebita percezione di somme; il giudice di primo grado ha accertato la responsabilità amministrativa del solo convenuto M., condannandolo al risarcimento del danno in favore dell’Azienda ed al pagamento della somma di Euro 30.000, oltre agli interessi dal deposito della sentenza.
Il direttore generale M., con atto notificato a tutti gli interessati in primo grado e depositato il 25 novembre 2011, ha appellato la sentenza sulla base di distinti motivi:
1) deduce in primo luogo l’erroneità e l’illogicità della sentenza poiché avrebbe motivato l’illegittimità delle disposte proroghe dell’incarico conferito al prof. M. – retrostante alla deliberazione 653 del 23 novembre 2007, avente ad oggetto: a) l’azione di raccordo tra il direttore generale ed il rettore dell’Università La sapienza; b) il coordinamento di gruppi di lavoro operanti per progetti di riorganizzazione delle attività chirurgiche; c) il supporto agli interventi di razionalizzazione dell’uso delle risorse cliniche – senza considerare che, nella motivazione, il giudice stesso aveva valutato siccome legittimi i pregressi conferimenti d’incarico, in un contesto acclarato di straordinarietà della situazione, legata a particolari difficoltà organizzative e gestionali dell’azienda;
2) erroneità ed illogicità della sentenza sotto il profilo soggettivo, stante la palese mancanza di dolo, ma anche della colpa grave, se si consideri il parere positivo dato dal direttore amministrativo P. e la particolare qualificazione del destinatario dell’incarico;
3) erroneità ed illogicità della sentenza quanto alla sussistenza del danno, stante il rilievo che il finanziamento dei contratti di collaborazione derivava a sua volta da finanziamenti a fondo perduto concessi da U.B. di Roma, istituto che, privato affidatario del servizio di cassa, convenzionalmente erogava un contributo all’azienda per il perseguimento delle finalità istituzionali, sicché non vi sarebbe danno alle finanze pubbliche; sotto diverso profilo, il riconosciuto vantaggio delle prestazioni rese dal prof. M. si porrebbe in logica contraddizione con l’elemento oggettivo di danno accertato in capo al direttore generale nonostante una lieve riduzione. Al riguardo sintetizza l’opera professionale svolta dal consulente dei cui risultati l’azienda si era avvantaggiata, senza avvalersi di una figura dirigenziale ulteriore, con riguardo ad aspetti di merito che sfuggono, a suo avviso, alla cognizione del giudice per essere questi riservati alla Pubblica Amministrazione;
4) col quarto motivo, deduce, infine, l’erroneità e l’illogicità della pronuncia per quanto attiene alla quantificazione del danno, poiché il parametro di riferimento dovrebbe essere l’importo netto percepito dal consulente, non quello calcolato al lordo delle imposte e degli oneri sociali; nondimeno, il vizio della pronuncia riguarda anche il fatto che gli altri convenuti sono stati assolti da ogni addebito, stante la loro marginale posizione nella vicenda, smentita, in particolare, dal fatto che fu proprio il direttore amministrativo a stimolare la prosecuzione del rapporto di collaborazione ed a redigere i nulla osta in calce alle note redatte per la proroga del contratto in questione.
Conclude pertanto per l’assoluzione ed, in subordine, per la riduzione dell’addebito.
Con atto notificato a tutti i convenuti nel giudizio di primo grado – e depositato il 24 gennaio 2012 -, la Procura generale ha impugnato la sentenza, formulando conclusioni di condanna corrispondenti alla richiesta effettuata dinanzi alla Sezione per il Lazio e deducendo cinque distinti motivi d’appello:
1) l’insufficienza, l’illogicità, l’erroneità e la totale carenza della motivazione su punti decisivi della controversia quali: a) non è stato indicato il capoverso di riferimento circa l’applicabilità dell’art. 15, comma 1 septies, del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502; b) la predetta disposizione richiede un contratto viceversa non concluso poiché le deliberazioni hanno valore meramente interno; c) l’oggetto delle delibere e dei contratti è indeterminato; d) la motivazione in ordine all’art. 7, sesto comma, del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 è incongrua ed insufficiente; e) la mancata esternazione dei criteri utilizzati per la scelta del consulente, oggetto dell’incarico e compenso; f) gli incarichi non possono essere prorogati se non in casi eccezionali; g) l’amministrazione non ha posto in essere alcun accertamento teso a verificare se erano necessari, in quanto il personale dipendente non avrebbe potuto svolgere le attività commissionate dal consulente; h) i contratti sono inefficaci perché non approvati; i) l’omessa verifica dell’elemento soggettivo in capo ai dipendenti dell’Amministrazione e del consulente;
2) l’insufficienza, l’illogicità, l’erroneità e la totale carenza della motivazione con riferimento al rigetto della domanda avanzata in confronto del direttore amministrativo e del direttore sanitario, i quali hanno reso parere favorevole agli atti deliberativi;
3) l’insufficienza, l’illogicità, l’erroneità e la totale carenza della motivazione con riferimento alla valutazione equitativa dei vantaggi ottenuti dall’Amministrazione, poiché prende in considerazione fatti non correlati all’oggetto degli incarichi conferiti;
4) l’insufficienza, l’illogicità, l’erroneità e la totale carenza della motivazione con riferimento alla determinazione del danno, illegittima in quanto il giudice non ha specificato come è pervenuto alla quantificazione dell’addebito;
5) l’insufficienza, l’illogicità, l’erroneità e la totale carenza della motivazione con riguardo ai vantaggi conseguiti, atteso che non è possibile stabilire come e se i documenti depositati e valutati siano stati acquisiti ed utilizzati dall’azienda.
La Procura generale ha depositato proprie conclusioni scritte il 19 aprile 2012, chiedendo il rigetto dell’appello proposto da U.M. e l’accoglimento del proprio. Precisa l’organo requirente che la doglianza di controparte circa la riconosciuta legittimità delle delibere di conferimento degli incarichi sino al 2007 è condivisa dalla stessa Procura generale, la quale sottolinea come la Corte territoriale abbia giustificato comportamenti illeciti e produttivi di gravi danni all’ente amministrato.
Il direttore amministrativo G.P.P. si è costituito in entrambi i giudizi d’appello, con memorie depositate il 18 maggio 2016.
In relazione all’impugnazione esperita dal direttore generale, sostiene la bontà del proprio operato e la correttezza ed esaustività della sentenza impugnata, concludendo per il rigetto dell’appello. In via subordinata, tuttavia, per l’ipotesi in cui la propria posizione dovesse essere riveduta, si rimette alla determinazione della Corte circa il criterio di ripartizione dell’addebito tra le persone del direttore generale e dei direttori amministrativo e sanitario e richiede, altresì, che la Sezione faccia uso del potere di riduzione dell’addebito.
Con riguardo all’appello del Pubblico Ministero, deduce la contraddittorietà della sentenza per il fatto di aver dichiarato la responsabilità amministrativa del direttore sanitario, quantunque alcune deliberazioni di conferimento siano state ritenute legittime; sostiene l’assenza di danno a carico dell’erario e la mancanza di colpa grave in capo a sé ed al direttore sanitario per aver coadiuvato il direttore generale nella realizzazione dell’obiettivo di raccordo tra l’Azienda e l’Università.
Il direttore sanitario D.M. si è costituito nel giudizio d’appello instaurato dalla Procura generale, con atto depositato il 16 maggio 2016, nel quale ha osservato che l’attribuzione degli incarichi era esclusiva prerogativa del direttore generale e che, tenuto conto dell’ambito della sua specifica competenza in materia sanitaria, ogni irregolarità avrebbe dovuto essere eccepita dal direttore amministrativo nel corso del carteggio intervenuto con il direttore generale. Sicché la sua adesione non era altro che un atto dovuto. Ha, inoltre, rilevato che non sussiste alcun profilo di colpa nella condotta tenuta e l’insussistenza di danno erariale. Ha concluso pertanto per il rigetto dell’impugnazione.
[#OMISSIS#] M., con atto depositato il 22 febbraio 2012, si è costituito nel giudizio d’appello della Procura generale. Nella memoria pervenuta il 17 maggio 2016 resiste alle censure dell’organo del Pubblico Ministero, osservando che l’incarico a lui conferito è in linea con le norme richiamate nella sentenza (artt. 15, comma 1 septies, D.Lgs. n. 502 del 1992 e 7, sesto comma, D.Lgs. 165 del 2001), che i vantaggi sono stati indubbiamente ritratti dall’Amministrazione e che il danno non sussiste. Ha concluso pertanto per il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza impugnata.
All’udienza, il Pubblico Ministero ha osservato che gli aspetti organizzativi curati dal consulente erano di contorno e non avevano a che fare con l’oggetto dell’incarico, il quale stride per la sua durata, tenuto conto che la deliberazione n. 43 del 2005, quanto ai requisiti per il conferimento di incarichi, anticipava, per così dire, la riforma intervenuta con il D.L. n. 223 del 2006. La contestazione dell’illecito al consulente M., inoltre, deriva dalla circostanza che non aveva eseguito l’incarico conferitogli.
L’avv. [#OMISSIS#] per il direttore amministrativo P. ha sottolineato la regolarità svolta dal consulente, il quale aveva svolto la sua attività nei locali dell’amministrazione; Ha precisato anche che la prestazione concernente il coordinamento degli interventi di conservazione della Cappella maggiore costituiva una parte minima del suo lavoro. Ha chiesto la conferma della sentenza di primo grado.
L’avv. Petrucci per il direttore sanitario D.M. ha rilevato di condividere la sentenza appellata e, rilevata, la sostanziale mancanza di danno, si è riportato alla memoria di costituzione.
L’avv. [#OMISSIS#] per il consulente M. si è parimenti riportato alla memoria ed ha rilevato che l’attività svolta è stata ampiamente dimostrata in ogni sua parte, concludendo anch’egli per la conferma dell’impugnata decisione.
Considerato in
Motivi della decisione
L’appello promosso dalla Procura regionale di questa Corte mira all’accertamento della responsabilità, secondo la latitudine esposta nell’originario atto di citazione, in relazione al danno cagionato all’Azienda sanitaria-universitaria Policlinico Umberto I dall’adozione di atti di conferimento di incarichi esterni per attività di consulenza e supporto della direzione aziendale e di collegamento con la I Facoltà di medicina e chirurgia, danno addebitato in primo grado allo stesso consulente ed ai dirigenti che hanno autonomamente proceduto ad impugnazione.
Poiché gli appelli sono stati proposti contro la stessa sentenza, va disposta la riunione dei relativi procedimenti ai sensi dell’art. 335 c.p.c.
L’oggetto dell’attività dedotta nella convenzione con il privato consulente muoveva dalla premessa che era in atto un complesso processo di riorganizzazione aziendale con la previsione in ordine alla predisposizione dell’atto aziendale preordinato alla determinazione del definitivo assetto aziendale; l’incarico riguardava, in particolare e nei suoi aspetti più rilevanti, il contributo da offrirsi da parte del prof. M. alla ridefinizione del predetto atto aziendale, all’organizzazione dell’Azienda sanitaria nello specifico quadro di riferimento dei Policlinici universitari, all’avvio dell’organizzazione dei Dipartimenti ad attività integrata – con particolare riferimento all’Area della chirurgia generale e specialistica -, nonché funzioni di consulenza e coordinamento per patologie di interesse chirurgico complesse, rare e per procedure medico-chirurgiche innovative necessarie per l’espletamento di compiti di ricerca e degli insegnamenti, oltre che di promozione dello studio e di proposte in ordine ad innovazioni gestionali e tecnologiche richieste dai processi formativi stabiliti dalla facoltà.
La Sezione territoriale ha ritenuto legittimo il conferimento dell’incarico, successivamente prorogato per due volte e seguito da un contratto di collaborazione continuata e continuativa per il periodo 1 novembre 2007-31 ottobre 2008 avente oggetto sostanzialmente analogo, negli aspetti fondamentali, agli incarichi precedenti. Ha considerato, invece, in contrasto con la sopravvenuta disposizione modificativa dell’art. 7del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 – modificato dall’art. 32 del D.L. 4 luglio 2006, n. 223 conv. con L. 4 agosto 2006, n. 248 – le proroghe successive disposte con le deliberazioni del 2008 e del 2009, pervenendo ad una valutazione di illiceità in relazione al comportamento di solo direttore generale che le aveva adottate.
In linea generale, la regola di giudizio da applicare con riferimento a fattispecie di illeciti inerenti all’adozione di provvedimenti illegittimi comporta, ad avviso di questa Sezione, l’accertamento di una pluralità di elementi, laddove i profili di illegittimità dell’atto amministrativo compongono il quadro di riferimento della condotta o dell’azione; sicché il giudice investito della relativa controversia non deve procedere ad un sindacato incidentale in ordine alla validità dell’atto, quasi dovesse procedere alla sua disapplicazione, atteso che la cognizione investe l’atto in via principale, non certo al fine di una statuizione inerente alla sua legittimità, bensì di accertare l’illiceità del fatto, rispetto al quale i vizi dell’atto possono acquistare rilevanza quali elementi costitutivi della fattispecie (cfr. SS.RR. 28 aprile 1998 n. 18/A; 23 giugno 1992 n. 792).
L’accertamento, in via di valutazione del relativo punto pregiudiziale, in ordine alla ritenuta legittimità di un atto acquista rilevanza in termini di negazione circa l’avvenuta violazione di obblighi di servizio da parte del suo autore, determinando l’elisione dell’antigiuridicità della condotta di riferimento da parte del suo autore, ma non comporta né un’affermazione di mancanza di danno, né una conclusione assoluta circa l’illiceità laddove sia dato rinvenire elementi a sostegno di una più complessa valutazione della fattispecie che faccia emergere violazioni di obblighi da parte di soggetti diversi o la mancanza di imputabilità. Per converso, la mera illegittimità di un atto non integra di per sé gli estremi dell’illiceità le volte in cui non possa ritenersi integrata la fattispecie costitutiva della responsabilità amministrativa.
In questo ordine di idee, non hanno pregio le argomentazioni addotte dalla Procura a sostegno dell’illegittimità degli atti di conferimento e di proroga degli incarichi o dei contratti di collaborazione, ancorché attengano a profili di rilievo circa la mancata adozione di forme richieste, o l’utile esperimento dei controlli previsti. La valutazione di illiceità offerta dal giudice di primo grado attiene ad un sindacato più ampio, nel quale hanno assunto rilievo non soltanto la sopravvenienza normativa modificativa del ricordato art. 7, ma le finalità di pubblica amministrazione perseguite e la dimensione temporale assunta dalla sostanziale collaborazione richiesta al consulente.
Da questo punto di vista, mentre si è rivelato agevole superare il dubbio circa la riconducibilità a legge dell’incarico conferito in applicazione dell’art. 15 septies, del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 – nel testo modificato dal D.Lgs. 19 giugno 1999, n. 229 -, il giudice ha ritenuto non coerente con la più restrittiva disciplina derivante dal D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 la stipula di ulteriori contratti continuativi.
La sentenza di primo grado va sostanzialmente condivisa.
Non c’è dubbio che il conferimento degli incarichi in questione fosse preordinata a realizzare finalità di interesse strategico dell’azienda, in quanto ritenute coerenti con la premessa relativa alla predisposizione dell’atto aziendale ed alla ridefinizione dell’assetto organizzativo complessivo. Ma la caratterizzazione dell’oggetto quale attività idonea a contribuire ad aspetti organizzativi, nonché di coordinamento, di consulenza, di propulsione e promozione consente di individuare una sostanziale sua indeterminatezza, non aderente al sesto comma dell’art. 7 del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, che fa riferimento ad obiettivi e progetti specifici e determinati. La latitudine impressa alla disposta collaborazione, confermata dalla produzione documentale che ha dato conto dell’ampiezza e dell’eterogeneità della materia trattata dal consulente, induce a considerare come gli incarichi, non collegati ad una progettualità predeterminata ma consistenti in larga misura in un apporto di tipo generale, in realtà ponessero in evidenza lo svolgimento di un’attività di tipo sostitutivo di quella propria della direzione generale e della struttura stessa, della cui impossibilità ad offrire le professionalità al riguardo non solo non è stata data alcuna prova, ma è consentito dubitare tenendo conto dell’ampiezza dimensionale dell’Azienda e dell’Università La Sapienza (cfr. regolamento di cui alla Delib. 43 del 23 settembre 2005). La limitatezza nel tempo è sicuramente venuta meno in ragione delle plurime proroghe adottate, poiché ad esse corrisponde, quantomeno, un’erronea previsione circa gli obbiettivi previsti se non la natura stessa delle finalità ragionevolmente da conseguire.
Per quanto riguarda la quantificazione dell’elemento oggettivo, questa Sezione condivide la tesi del primo giudice e considera di dover condividere la determinazione del danno in Euro 50.000, con la precisazione che non hanno pregio le deduzioni preordinate ad escludere il pregiudizio in ragione del fatto che la spesa sostenuta gravava su un fondo la cui provvista era derivato da un contributo di U.B. S.p.A., stante l’indiscutibile carattere di denaro pubblico proprio di detto fondo. La riduzione dell’addebito sensibilmente operata su detta somma (Euro 20.000) va parimenti condivisa.
Per quanto attiene alla valutazione dei vantaggi conseguiti per effetto dell’attività di illecito conferimento degli incarichi, va tenuto presente che le considerazioni sopra esposte in merito alla valutazione complessiva della condotte poste in essere nel tempo e l’emersione dell’illecito soltanto con riferimento alla protrazione dell’incarico siccome prorogato danno conto che sia il giudice di primo grado sia questa Sezione hanno effettivamente tenuto conto in termini apprezzabili dell’apporto della collaborazione prestata.
Dal punto di vista dell’attribuzione soggettiva, l’essenziale riferimento della condotta illecita ad aspetti genetici del rapporto di collaborazione, indicati nella contrarietà a legge dei contratti siccome prorogati e che hanno assunto un’inadeguata dimensione oggettiva e cronologica, esclude la riferibilità del danno cagionato alla persona del consulente, nei confronti del quale la statuizione di infondatezza della domanda va confermata.
Diversamente, con riguardo alle figure del direttore amministrativo e sanitario, la sentenza va riformata.
Ed infatti, proprio l’ampiezza dell’incarico e l’incidenza strategica sull’organizzazione dell’Azienda inducono a ritenere particolarmente coinvolgente il ruolo di questi funzionari nella scelta effettuata, la quale da un lato indubbiamente trova nella persona del direttore generale il principale responsabile al quale collegare l’intuitus personae, ma, dall’altro, qualora si consideri il necessario apprezzamento in termini di requisiti di legittimità richiesti o di ricaduta organizzativa (atto aziendale), ovvero l’indiscutibile valorizzazione delle capacità organizzative in ambito più strettamente scientifico e sanitario con riferimento all’oggetto degli incarichi (rapporti con l’Università; organizzazione dei dipartimenti; area di chirurgia generale; procedure medico-chirurgiche innovative), attiene ad un ambito decisionale di competenza proprio anche di questi dirigenti, la cui responsabilità non è quindi correlata al fatto del mero concorso all’adozione degli atti di conferimento – anche da loro sottoscritti -, sì da profilarsi marginale, bensì assume i caratteri della vera e propria condivisione.
D’altra parte, il ruolo di supporto e di ausilio di quei funzionari comporta l’acquisizione del loro parere obbligatorio sui provvedimenti del direttore generale, il quale è tenuto a fornire specifica motivazione qualora ritenga di adottare provvedimenti in difformità dal parere del direttore amministrativo e sanitario Il direttore amministrativo e il direttore sanitario sono nominati dal direttore generale; in ogni caso, essi partecipano, unitamente al direttore generale, che ne ha la responsabilità, alla direzione dell’azienda, ed assumono diretta responsabilità delle funzioni attribuite alla loro competenza e concorrono, con la formulazione di proposte e di pareri, alla formazione delle decisioni della direzione generale (cfr. art. 3, commi 1 quater e 1 quinquies, del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502). Sicché la loro condivisione deriva dal fatto di non aver fatto in alcun modo constare il loro dissenso in merito ai conferimenti che si considerano, incorrendo nell’assunzione di responsabilità configurata dalla stessa normativa di riferimento.
In definitiva, considera il collegio di dover rideterminare le quote di ripartizione dell’addebito, già quantificato nella misura di Euro 30.000 dalla sentenza di primo grado, che vanno poste a carico di U.M. per il settanta per cento, di G.P.P. per il venti per cento e di M.D.M. per il dieci per cento.
I predetti appellati vanno altresì condannati alle spese del giudizio, liquidate in dispositivo, in proporzione alle quote di addebito.
Le spese difensive di [#OMISSIS#] M. sono liquidate nell’importo di Euro 2.000.
P.Q.M.
la Corte dei conti, Sezione seconda giurisdizionale centrale d’appello, riuniti i procedimenti, accoglie parzialmente entrambi gli appelli in epigrafe e, per l’effetto:
1) riforma la sentenza e ridetermina le quote della condanna in favore dell’Azienda Policlinico Umberto I di Roma, già quantificata in Euro 30.000 dalla sentenza di primo grado, da porre a carico di U.M. per il settanta per cento, di G.P.P. per il venti per cento e di M.D.M. per il dieci per cento;
2) conferma la sentenza impugnata per quanto riguarda l’assoluzione di [#OMISSIS#] M..
Condanna le parti appellate U.M., G.P.P. e M.D.M. al pagamento delle spese del giudizio, in proporzione alle quote dell’addebito a loro carico, liquidate nell’importo di Euro 1232,08 (milleduecentotrentadue/08).
Liquida le spese difensive di [#OMISSIS#] M. nell’importo di Euro 2.000.
Manda alla Segreteria per gli adempimenti di competenza.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 7 giugno 2016.
Depositata in Cancelleria 5 dicembre 2016.