Corte dei conti, sez. II, 7 agosto 2015, n. 518

Professore – Riliquidazione trattamento pensionistico – Indennità ospedaliera – Base pensionabile

Data Documento: 2015-08-07
Area: Giurisprudenza
Massima

Il professore fuori ruolo, in quanto non gode della posizione tipica del docente in servizio attivo pleno iure, non è ammesso allo svolgimento di funzioni assistenziali in posizione strutturata rispetto al servizio sanitario nazionale, non potendo di conseguenza godere della equiparazione degli emolumenti corrispettivi del rapporto di lavoro a quelli del personale medico del S.S.N. prevista dall’art. 102 d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382.Nell’ipotesi in cui si debba applicare al trattamento pensionistico di un professore ordinario la normativa vigente precedentemente alla data del 1 gennaio 1993, esso viene determinato sulla base dell’art. 43 d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, a tenore del quale, ai fini della determinazione della misura del trattamento di quiescenza, la base pensionabile è costituita dall’ultimo stipendio o dall’ultima paga o retribuzione (nonché da una serie tassativa di assegni o indennità ivi elencati) integralmente percepiti. Ciò posto, considerato come il docente non avrebbe potuto percepire l’indennità ospedaliera in relazione al proprio ultimo stipendio, in quanto collocato fuori ruolo, detta indennità non può essere computata nella base pensionabile.

Contenuto sentenza

PENSIONI
C. Conti Sez. II App., Sent., 07-08-2015, n. 518
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE II GIURISDIZIONALE CENTRALE DI APPELLO
composta dai seguenti magistrati
dott. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] – [#OMISSIS#]
dott.ssa [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] – Consigliere
dott. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] – Consigliere
dott.ssa [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] – Consigliere-rel.
dott.ssa [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] – Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio d’appello iscritto al n.25793 del registro di segreteria, depositato in data 19 aprile 2006 dalla Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, rappresentata e difesa ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato ed elettivamente domiciliata presso la sua sede in Roma, alla via dei Portoghesi n.12,
contro
il prof. M.G., nato a L. il (…), deceduto in data 20 settembre 2009, riassunto nei confronti degli eredi:
– B.G., in proprio e quale erede dei figli M.R. (deceduto in data 11 marzo 2013) e M.F. (deceduta in data 2 marzo 2013), anch’essi eredi del prof. M.G.;
– B.P., in qualità di erede di M.F.;
– M.F., M.C., M.F., eredi del prof. G.M., rappresentati e difesi dall’avv. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] ed elettivamente domiciliati in Roma al viale Ippocrate n.33 presso lo studio dell’avv. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#];
con integrazione del contraddittorio nei confronti dell’INPS – Direzione Centrale Pensioni – Area Contenzioso Gestioni Esclusive – rappresentato e difeso dal dirigente p.t. dott.ssa [#OMISSIS#] [#OMISSIS#]
avverso
la sentenza della Sezione Giurisdizionale per la Regione Lazio n. 229/06, depositata in data 24 gennaio 2006.
Esaminati gli atti ed i documenti tutti della causa.
Uditi nell’udienza pubblica del giorno 9 luglio 2015 il relatore cons. [#OMISSIS#] e l’avv. [#OMISSIS#], in rappresentanza degli eredi M.F., [#OMISSIS#] e F..
Svolgimento del processo
Dalla documentazione amministrativa acquisita [#OMISSIS#] atti del fascicolo processuale di primo grado, risulta che il prof. M., già professore ordinario presso la facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, Policlinico Universitario “[#OMISSIS#] I”, in qualità di [#OMISSIS#], a decorrere dal 1 novembre 1999 venne collocato fuori ruolo (decreto rettorale n.632 datato 8 aprile 1999), ai sensi del decreto legislativo C.P.S. 26 ottobre 1947 n.1251, dopo essere stato mantenuto in servizio attivo per un biennio ex art.16 del D.Lgs. n. 503 del 1992 per il periodo 1 novembre 1997-31 ottobre 1999 (D.R.n.537 del 10 luglio 1997); fu, infine, collocato definitivamente a riposo dal 1 novembre 2002 (decreto rettorale n.221 del 6 [#OMISSIS#] 2002).
Con D.P.R. n. 11/A del 21 [#OMISSIS#] 1999 era stato nominato, a decorrere dalla stessa data, Consigliere del [#OMISSIS#] della Repubblica, con le funzioni di coordinatore delle strutture sanitarie operanti all’interno del Segretariato generale, nonché di medico personale del [#OMISSIS#].
La pensione definitiva del prof. M. è stata liquidata con D.R. n.998 del 26 marzo 2003 e poi riliquidata con D.R. n.3236 del 1 febbraio 2005 (con il computo delle somme arretrate di retribuzione di posizione per il periodo dal 1996 al 1999 (erogategli nell’ambito del processo liquidatorio previsto dal d.L. n. 341 del 1999 conv.in L. n. 453 del 1999).
Con ricorso proposto alla Sezione Giurisdizionale Lazio il prof. M. chiedeva il riconoscimento del diritto al computo, [#OMISSIS#] base pensionabile, anche della retribuzione di posizione e dell’indennità di esclusività, altrimenti detta indennità “De [#OMISSIS#]”, prevista dall’art.31 del D.P.R. n. 761 del 1979 (” al personale universitario che presta servizio presso i policlinici, le cliniche e gli istituti universitari di ricovero e cura convenzionati con le regioni e con le unita’ sanitarie locali, non utile ai fini previdenziali ed assistenziali (disposizione questa dichiarata costituzionalmente illegittima con la sentenza della Corte Cost. n.126/1981) anche se gestiti direttamente dalle universita‘, e’ corrisposta una indennita’ [#OMISSIS#] misura occorrente per equiparare il relativo trattamento economico complessivo a quello del personale delle unita’ sanitarie locali di pari funzioni, mansioni e anzianita’”) emolumenti che dichiarava di avere percepito fino al 31 ottobre 1999 e poi non più erogatigli nel periodo di collocamento fuori ruolo.
Nel corso del giudizio, il [#OMISSIS#] monocratico delle pensioni emetteva un’ordinanza istruttoria in ordine al seguente quesito “se dopo la sentenza della Corte Costituzionale 16 marzo 2001 n.71 il ricorrente abbia continuato [#OMISSIS#] precedente posizione fuori ruolo e [#OMISSIS#] sola attività di insegnamento, fino al collocamento a riposo, ovvero abbia ripreso, sia pure in parte, l’attività assistenziale”.
L’Università de qua dava riscontro alla predetta (nota n.110731 del 19 aprile 2005) allegando la nota dell’U.O. trattamento economico con cui si dava risposta nei seguenti termini: “a decorrere dall’1.11.99 data di collocamento fuori ruolo, non era più strutturato e quindi non poteva più svolgere attività assistenziale”.
Il predetto ufficio, nelle precedenti note datate 30 dicembre 2004 e 25 febbraio 2002 aveva comunicato all’Ispettorato Pensioni dell’Ateneo che, dal 1 dicembre 1997 al 31 ottobre 1999, non era stata corrisposta alcuna somma a titolo di indennità ex art.31 del D.P.R. n. 761 del 1979.
[#OMISSIS#] sentenza impugnata, in via pregiudiziale, il [#OMISSIS#] monocratico delle pensioni respingeva l’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dall’INPDAP in quanto “tutte le articolazioni della p.a. comunque coinvolte [#OMISSIS#] determinazione dell’importo pensionistico globalmente inteso, devono ritenersi legittimate ….il ricorrente ha espressamente convenuto in giudizio l’INPDAP, in quanto istituto previdenziale competente alla liquidazione del quantum spettante a titolo di pensione definitiva per gli ex dipendenti di amministrazioni pubbliche, oltre che ordinatore secondario di spesa per le stesse materie.”
Nel merito, il decidente motivava l’accoglimento nei seguenti termini:
– la Corte Costituzionale, con la sentenza 16 marzo 2001 n.71, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del predetto art.15 novies, comma 2, [#OMISSIS#] parte in cui dispone la cessazione del personale medico universitario dallo svolgimento delle ordinarie attività assistenziali, in assenza della stipula dei protocolli d’intesa tra Università e Regioni prevista dalla stessa [#OMISSIS#];
– pertanto, essendo il prof. M., anche dopo la predetta pronunzia, stato costretto a cessare, dalla data del raggiungimento dei 70 anni, l’attività assistenziale ed in considerazione della necessaria compenetrazione tra attività didattico-scientifica e attività operativa, le voci retributive remunerative di quest'[#OMISSIS#] devono computarsi in pensione anche per il periodo dalla predetta data di collocamento fuori e fino alla cessazione dal servizio.
Avverso la decisione interponeva appello, ritualmente e tempestivamentenotificato al prof. M. in data 6 aprile 2006, (poi tempestivamente notificato), Università degli Studi di Roma “La Sapienza” eccependo che:
– il collocamento fuori ruolo ha determinato, con la perdita della titolarità dell’insegnamento, automaticamente anche la perdita delle attività assistenziali (richiama la sentenza del C.d.S. n.962/1995) in quanto il professore fuori ruolo non gode della posizione tipica del docente in servizio attivo “pleno iure” e non è ammesso allo svolgimento delle funzioni assistenziali in posizione strutturata rispetto al servizio sanitario nazionale, ai sensi dell’art.4, comma 7, della L. n. 412 del 1991;
– non è applicabile l’art.15 nonies comma 2, del D.Lgs. n. 502 del 1992 in quanto il prof. M. alla data del collocamento fuori ruolo aveva già compiuto il 72 anno di età;
2) lo svolgimento dell’attività assistenziale sarebbe stata comunque preclusa dal fatto che, a decorrere dal 21 [#OMISSIS#] 1999, il predetto espletava l’incarico di consigliere e medico personale del [#OMISSIS#] della Repubblica (allega il decreto del P.R. di nomina- doc.n.10), incarico questo che peraltro lo stesso prof. M., in una nota del 9 luglio 1999 (doc.n.14), affermava essere preclusivo allo svolgimento delle funzioni primariali chiedendo di essere sostituito;
3) pertanto, a decorrere dal 22 [#OMISSIS#] 1999, non aveva più svolto attività assistenziale, dunque ancora prima del collocamento fuori ruolo, anche se il comando non venne mai formalizzato in quanto ritenuto compatibile con le funzioni di docente (richiama la nota del Direttore del Dipartimento di Scienze Cliniche nota del 12 luglio 1999 (doc.n.15) .
L’appellante invocava, a sostegno delle sue tesi, quanto esposto [#OMISSIS#] nota (prot. n.(…) del 14 marzo 2006) dell’Azienda Policlinico “[#OMISSIS#] I” in cui si fa presente, tra l’altro che “nel periodo di fuori ruolo non possono essere corrisposte – né computate a fini pensionistici – le indennità ospedaliere (di posizione ed esclusività) riferite alla posizione assistenziale ricoperta in regime di servizio attivo” .
Conclusivamente, l’Università degli studi di Roma appellante chiedeva l’accoglimento del ricorso e per l’effetto l’annullamento della sentenza, previa sospensione, con ogni conseguenziale statuizione.
Con una memoria depositata in data 7 novembre 2006, l’appellato si costituiva in giudizio eccependo, in via pregiudiziale, l’inammissibilità ed improcedibilità dell’appello in quanto non è stato notificato all’INPDAP, parte processuale del giudizio di primo grado, nei cui confronti il [#OMISSIS#] aveva respinto l’eccezione di difetto di legittimazione passiva.
Nel merito, deduceva l’infondatezza giuridica dell’appello in quanto, dopo la sentenza della Corte Costituzionale n.71/2001, nel periodo in cui era stato collocato fuori ruolo, non poteva essere privato dello svolgimento delle attività assistenziali, come di fatto avvenuto (citava la sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI n.3183/2004) perché [#OMISSIS#] detto periodo nessun protocollo era stato sottoscritto tra Università e Regione Lazio.
Pertanto, a suo dire, anche nel periodo di collocamento fuori ruolo, in cui aveva svolto regolarmente tutte le attività di natura didattica, gli competevano tutte le voci retributive relative allo svolgimento dell’attività assistenziale e queste dovevano costituire la base di computo della pensione, come affermato ineccepibilmente [#OMISSIS#] sentenza di primo grado.
Il prof. M. affermava, poi, l’infondatezza anche dell’ulteriore motivo in ordine all’incompatibilità tra l’attività assistenziale e l’incarico presso la Presidenza della Repubblica in mancanza di qualsivoglia disposizione che la prevedesse.
Avendo l’appellante avanzato la previa istanza di sospensiva della sentenza impugnata, questa Sezione, con ordinanza n.04/2007/A depositata in data 3 gennaio 2007 la respingeva, non ravvisando né il fumus né il periculum in mora.
Pervenuto il giudizio all’udienza del giorno 3 luglio 2012, veniva dichiarato interrotto ai sensi e per gli effetti dell’art.300 c.p.c. in conseguenza dell’avvenuto decesso del prof. M., in data 20 settembre 2009.
Con un atto depositato in data 11 ottobre 2012, l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” riassumeva il giudizio nei confronti degli eredi sigg. B.G., M.R., M.F., M.F., M.C., M.F..
Con una memoria depositata in data 28 febbraio 2013 si costituivano in giudizio i sigg. F.M., C.M. e F.M., conferendo procura ad litem all’avv. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] ed eccepivano, in via pregiudiziale, l’inammissibilità ed improcedibilità dell’appello in quanto non notificato all’INPDAP, parte processuale del giudizio di primo grado.
Nel merito, l’avv. [#OMISSIS#] ribadiva i motivi di infondatezza, in fatto ed in diritto, del gravame già contenuti [#OMISSIS#] memoria di costituzione in giudizio del prof. M..
Questa Sezione di appello, dopo una nuova udienza di discussione del 21 marzo 2013 (in cui il magistrato relatore aveva rilevato la sussistenza di vizi di notifica [#OMISSIS#] eredi B., R. e F.M.), [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] di consiglio del 21 marzo- 23 aprile 2013, emetteva un’ordinanza (n.23/2013, pubblicata in data 10 [#OMISSIS#] 2013 e comunicata all’appellante a mezzo posta elettronica certificata in data 16 [#OMISSIS#] 2013) con cui disponeva:
– ai sensi e per gli effetti dell’art.331 c.p.c., l’integrazione del contraddittorio nei confronti dell’INPS- Gestione ex INPDAP (punto 2), a cura della parte più diligente;
– ai sensi e per gli effetti del combinato disposto degli artt. 68 del R.D. n. 1038 del 1933, 291 e 307, comma 3, c.p.c., la rinnovazione della notificazione della fissazione dell’udienza nei confronti eredi sigg. B.G., R.M., F.M., con onere a carico dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, entro il [#OMISSIS#] perentorio di 90 (novanta) giorni decorrente dalla data della sua comunicazione, (punto 1);
– infine, fissava la nuova udienza pubblica per la discussione del gravame per il giorno 14 gennaio 2014.
L’Avvocatura Generale dello Stato depositava [#OMISSIS#] segreteria di questa Sezione:
– in data 12 giugno 2013, in esecuzione del punto 2) della predetta ordinanza, la relata, andata a buon fine, della sua notifica, unitamente all’atto di appello ed all’atto di riassunzione, all’INPS- Gestione ex INPDAP- datata 3 giugno 2013;
– in data 19 luglio 2013, in esecuzione del punto 1) dell’ordinanza n.23/2013,la relata, andata a buon fine, della notifica alla sig.ra B.G., datata 9 luglio 2013, nonché le relate della notifica ai sigg. M.R. e M.F., che non risultano andate a buon fine per irreperibilità dei predetti.
[#OMISSIS#] pubblica udienza del 14 gennaio 2014 l’avvocato dello Stato [#OMISSIS#] depositava i certificati di [#OMISSIS#] dei sigg. R.M. (in data 11 marzo 2013) e F.M. (in data 2 marzo 2013) chiedendo che venisse pertanto, disposta l’interruzione del giudizio; l’avv. [#OMISSIS#], presente, prendeva atto di dichiarato dall’avv. [#OMISSIS#].
Pertanto, il Collegio emetteva l’ordinanza n.5/2014, pubblicata in data 28 gennaio 2014, con cui ha si dichiarava interrotto il giudizio ai sensi e per gli effetti di cui all’art.299 c.p.c., per l’avvenuto decesso dei sigg. R.M. e F.M..
In data 16 [#OMISSIS#] 2014 l’avvocato dello Stato [#OMISSIS#] depositava [#OMISSIS#] segreteria di questa Sezione giurisdizionale un atto di riassunzione dell’appello, dichiarando l’interesse dell’Ateneo coltivare il giudizio nei confronti degli eredi viventi del prof. M. e nei confronti degli eredi degli eredi deceduti R. e F.M..
Nel contempo, il predetto faceva presente che dalle verifiche anagrafiche si era accertato che il primo, vedovo, non aveva lasciato figli e che la seconda, parimenti senza figli, era coniugata con il sig. P.B. risultato, come risulta dal certificato di “verifica storico individuo” (avente efficacia ex art.2712 c.c.) del Comune di Roma datato 7 [#OMISSIS#] 2014 “cancellato per irreperibilità accertata in data 9 dicembre 2011 con pratica 2010/013541)”.
L’atto di riassunzione risultava notificato a:
– INPS- in data 8 [#OMISSIS#] 2014;
– B.G., anche in qualità di erede dei sigg. R.M. e F.M. in data 16 [#OMISSIS#] 2014;
-M.F., C. e F., presso il domicilio eletto [#OMISSIS#] studio dell’avv. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], in data 8 [#OMISSIS#] 2014;
– B.P., [#OMISSIS#] qualità di erede di F.M., ex art.143 c.p.c. in data 22 [#OMISSIS#] 2014.
Con una memoria depositata in data 13 febbraio 2015 l’INPS, in veste di interveniente ad adiuvandum ribadiva la richiesta di estromissione dal giudizio per difetto di legittimazione passiva; nel merito, faceva proprie, riportandole testualmente, tutte le argomentazioni dell’appellante e concludeva insistendo affinchè il gravame venga respinto.
Pervenuto il giudizio all’udienza pubblica del giorno 19 febbraio 2015, con un’ordinanza emessa ai sensi dell’art.176, comma 2, c.p.c, è stata disposta la rinnovazione, ai sensi dell’art.291 c.p.c., del d.f.u. al sig. B.P. in quanto non effettuata ai sensi dell’art.143 c.p.c., essendone stata accertata l’irreperibilità, bensì ai sensi dell’art.140 c.p.c.; si è assegnato all’appellante il [#OMISSIS#] perentorio di 60 giorni dalla comunicazione dell’estratto del verbale.
In data 9 aprile 2015 l’avvocato dello Stato [#OMISSIS#] ha depositato [#OMISSIS#] segreteria di questa Sezione la relata di notifica, datata 2 aprile 2015, dell’estratto del verbale della precedente udienza al sig. B., ai sensi dell’art.143 c.p.c, unitamente ai certificati anagrafici, l'[#OMISSIS#] dei quali emesso in data 31 marzo 2015, che ne attestano la cancellazione dai registri anagrafici del Comune di Roma, dal 9 dicembre 2011, per irreperibilità.
[#OMISSIS#] pubblica udienza odierna l’avv. [#OMISSIS#] si è integralmente riportata alla memoria di costituzione in giudizio degli eredi F., C., F.M., ribadendone integralmente le conclusioni, in via pregiudiziale la richiesta di estromissione dal giudizio di prime cure.
La causa è, quindi, passata in decisione.
Motivi della decisione
In via pregiudiziale, il Collegio accerta che si è ritualmente ed integralmente instaurato il contraddittorio processuale sia con gli eredi del prof. M., – sig.ra G.B., F., F. e C.M., sig. P.B., coniuge dell’erede F.M., a sua volta deceduta nelle more del gravame – che dell’INPS, parte processuale nel giudizio di primo grado.
Sempre in via del tutto pregiudiziale, va poi rilevato che la richiesta avanzata dall’INPS, [#OMISSIS#] memoria di costituzione in giudizio, di essere estromesso va dichiarata inammissibile in quanto, avendo il [#OMISSIS#] di prime cure respinto l’eccezione di difetto di legittimazione passiva, sul relativo capo si è oramai formato il giudicato, non avendo l’INPS, soccombente in prime cure, proposto un autonomo atto di appello, né principale, nè incidentale, avverso detta statuizione (ex multis, di questa Sezione di appello, sentt. n.122,146,148 del 2014).
Passando al merito, in materia di determinazione della base pensionabile dei dipendenti civili dello Stato la normativa in vigore alla data della cessazione dal servizio del [#OMISSIS#] causa prof. M. era anzitutto quella contenuta nell’art.13, comma 1, lettere a) e b) del D.Lgs. 30 dicembre 1992 n.503 che prevede una disciplina transitoria per il calcolo dei trattamenti pensionistici dei dipendenti pubblici per cui essi sono dati dalla somma:
– della quota cosiddetta “A” data dalle anzianità contributive maturate al 31 dicembre 1992 calcolata “secondo la normativa vigente precedentemente alla data anzidetta che a tal fine [#OMISSIS#] confermata in via transitoria; per i dipendenti dello Stato, l’art.43 del D.P.R. 23 dicembre 1973 n.1092, nel testo sostituito dall’art.15 della l.29 aprile 1976 n.177 (comma 1, lett.a);
-della quota cosiddetta “B” formata dalle anzianità contributive acquisite a decorrere dal 1 gennaio 1993, calcolata, in applicazione delle norme contenute nel decreto stesso, sulla media degli emolumenti inseriti [#OMISSIS#] base pensionabile, individuata sempre in base alle disposizioni contenute nell’art.43 predetto (comma 1, lett.b).
La legge di riforma del sistema previdenziale n.335 del 1995 (art.1), nell’introdurre il sistema “contributivo” (per i lavoratori assunti dal 1 gennaio 1996) e quello “misto” (per i lavoratori con meno di 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995), al comma 13 ha poi previsto che “Per i lavoratori gia’ iscritti alle forme di previdenza di cui al comma 6 (comprese quelle sostitutive ed esclusive dell’a.g.o.) che alla data del 31 dicembre 1995 possono far valere un’anzianita’ contributiva di almeno diciotto anni, la pensione e’ interamente liquidata secondo la normativa vigente in base al sistema retributivo”.
Orbene, al prof. M., che alla data della cessazione dal servizio aveva maturato la massima anzianità contributiva di 40 anni, la pensione è stata calcolata, come risulta dal provvedimento concessivo acquisito [#OMISSIS#] atti del giudizio di primo grado (decreto n.998 del 26 marzo 2003 e successivo decreto n.3236 del 1 febbraio 2005 di riliquidazione della pensione con l’inclusione delle somme arretrate a titolo di retribuzione di posizione erogate fino al 21 ottobre 1999) secondo il sistema cosiddetto “retributivo”.
Pertanto, al suo trattamento pensionistico si applicava la normativa vigente precedentemente alla data del 1 gennaio 1993, dunque il succitato art.43 del D.P.R. n. 1092 del 1973 , a tenore di cui, “ai fini della determinazione della misura del trattamento di quiescenza”, “la base pensionabile è costituita dall'[#OMISSIS#] stipendio o dall'[#OMISSIS#] paga o retribuzione” (nonché da una serie tassativa di assegni o indennità ivi elencati) “integralmente percepiti”.
Premesso quanto sopra, risulta dimostrato in atti, ma peraltro neanche contestato dal medesimo nel ricorso in prime cure, che il prof. M. non ha percepito gli emolumenti de quibus (retribuzione di posizione ed indennità di esclusività ex art.31 D.P.R. n. 761 del 1979) nel periodo, dal 1 novembre 1999 al 30 ottobre 2002, del collocamento fuori ruolo e quindi, alla data della cessazione definitiva dal servizio, essi non potevano essere computati [#OMISSIS#] base pensionabile in quanto non erano stati “percepiti” con l'[#OMISSIS#] stipendio.
Ma vi è di più: al prof. M. non è stato applicato l’art.15-novies del D.Lgs. n. 502 del 1992 (“il personale medico universitario di cui all’articolo 102 del D.P.R. 11 luglio 1980 n.382 cessa dallo svolgimento delle ordinarie attività assistenziali di cui all’articolo 6, comma 1, nonché dalla direzione delle strutture assistenziali, al raggiungimento del limite [#OMISSIS#] di età di sessantasette anni. Il personale già in servizio cessa dalle predette attività e direzione al compimento dell’età di settanta anni se alla data del 31 dicembre 1999 avrà compiuto sessantasei anni e all’età di sessantotto anni se alla predetta data avrà compiuto sessanta anni. I protocolli d’intesa tra le regioni e le Università e gli accordi attuativi dei medesimi, stipulati tra le Università e le aziende sanitarie ai sensi dell’articolo 6, comma 1, disciplinano le modalità e i limiti per l’utilizzazione del suddetto personale universitario per specifiche attività assistenziali strettamente correlate all’attività didattica e di ricerca”), introdotto dall’art.13 del D.Lgs. 19 giugno 1999 n.229 in quanto aveva già compiuto, alla data della sua entrata in vigore (31 luglio 1999, essendo stato pubblicato sulla G.U. n.165 del 16 luglio 1999), 72 anni di età (al 14 luglio 1999).
Tale circostanza è documentalmente confermata dalle premesse del provvedimento del collocamento fuori ruolo in cui si richiama la normativa recata dal decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 26 ottobre 1947 n.1251(Il professore collocato fuori ruolo è tenuto a svolgere attività scientifica e didattica… omissis…..”) e dall’art.19, comma 3, del D.P.R. n.382 del 1980 (a tenore di cui ” i professori ordinari sono collocati fuori ruolo a decorrere dall’inizio dell’anno accademico successivo al compimento del sessantacinquesimo anno di età e a riposo cinque anni dopo il collocamento fuori ruolo ) poi modificato dall’art.1 della L. n. 239 del 1990 (“Il collocamento fuori ruolo dei professori universitari ordinari di cui all’ articolo 19 del D.P.R. 11 luglio 1980 n.382 è opzionale, [#OMISSIS#] restando il collocamento a riposo dall’inizio dell’anno accademico successivo al compimento del settantesimo anno di età” ) ed ancora dall’art.1, comma 30, della L. n. 549 del 1995 (“La durata del collocamento fuori ruolo dei professori universitari di prima e seconda fascia, che precede il loro collocamento a riposo, prevista dagli articoli 19 e 110 del D.P.R. 11 luglio 1980 n.382 è ridotta a tre anni” ).
Pertanto, la motivazione con cui il [#OMISSIS#] di prime cure ha accolto la pretesa azionata è giuridicamente priva di sostegno giuridico dal momento che si fonda esclusivamente sulla declaratoria d’incostituzionalità della predetta [#OMISSIS#], (con le relative conseguenze che ne ha tratto in termini di disapplicazione della medesima), per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n.71/2001.
Invece il prof. M., trovandosi, alla data della sua entrata in vigore, già in posizione di fuori ruolo in base alla previgente normativa, non poteva più svolgere, dal 1 novembre 1999, le funzioni assistenziali ordinarie e quindi, non essendo più “strutturato”, non aveva goduto in servizio degli emolumenti a queste correlate.
Invero, la giurisprudenza amministrativa, richiamata nel gravame (Cons. Stato, sentenza n.962/1995), formatasi prima dell’entrata in vigore della nuova normativa recata dal D.Lgs. n. 229 del 1999, era pacifica nell’affermare che “il professore fuori ruolo,…in quanto non gode della posizione tipica del docente in servizio attivo “pleno iure”, non è ammesso allo svolgimento di funzioni assistenziali in posizione “strutturata” rispetto al servizio sanitario nazionale” con conseguente equiparazione degli emolumenti corrispettivi del rapporto di lavoro a quelli del personale medico del S.S.N. prevista dall’art.102 della n.n.382/1980 (“Il personale docente universitario, e i ricercatori che esplicano attivita’ assistenziale presso le cliniche e gli istituti universitari di ricovero e cura anche se gestiti direttamente dalle universita‘, convenzionati ai sensi dell’art. 39 della L. 23 dicembre 1978, n. 833 assumono per quanto concerne l’assistenza i diritti e i doveri previsti per il personale di corrispondente qualifica, del ruolo regionale…”).
Per tutti i suesposti motivi, aderendosi ad un recentissimo precedente di questa Sezione di appello relativo ad un’analoga fattispecie (sentenzan.340/2015), il gravame proposto dall’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” va accolto in quanto giuridicamente fondato e per l’effetto, in integrale riforma della sentenza impugnata, si statuisce che non sussiste il diritto del [#OMISSIS#] causa, prof. G.M. (e per lui degli eredi nei cui confronti il giudizio è stato riassunto) al computo, [#OMISSIS#] base pensionabile, della retribuzione di posizione e dell’indennità di esclusività del rapporto di lavoro, come previste dai vigenti CCNL della dirigenza medica e sanitaria, con riferimento al periodo di permanenza [#OMISSIS#] posizione di fuori ruolo e fino al momento della definitiva cessazione dal servizio.
Il Collegio ravvisa nelle notevoli oscillazioni giurisprudenziali in primo grado in merito alla questione giuridica sollevata dal gravame un [#OMISSIS#] motivo, ai sensi dell’art.92, comma 2, c.p.c., (nel testo applicabile ratione temporis), per disporre la compensazione integrale delle spese di questo giudizio.
P.Q.M.
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE II GIURISDIZIONALE CENTRALE DI APPELLO
definitivamente pronunciando, nei termini di cui in motivazione, contrariis reiectis
ACCOGLIE l’appello iscritto al n.25793 del ruolo generale dei giudizi, proposto dalla Università degli Studi di Roma “La Sapienza” e per l’effetto, in integrale riforma della sentenza della Sezione Giurisdizionale per la Regione Lazio n. 229/06, depositata in data 24 gennaio 2006, STATUISCE che non sussiste il diritto del [#OMISSIS#] causa, prof. G.M. (e per lui degli eredi nei cui confronti il giudizio è stato riassunto) al computo, [#OMISSIS#] base pensionabile, della retribuzione di posizione e dell’indennità di esclusività del rapporto di lavoro, come previste dai vigenti CCNL della dirigenza medica e sanitaria, con riferimento al periodo di permanenza [#OMISSIS#] posizione di fuori ruolo e fino al momento della definitiva cessazione dal servizio.
COMPENSA integralmente tra le parti le spese del giudizio.
Così deciso in Roma, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] di consiglio del giorno 9 luglio 2015.
Depositata in Cancelleria 7 agosto 2015.