Corte dei conti, sez. III, 16 marzo 2018, n. 89

Riliquidazione pensione definitiva – Base pensionistica – Retribuzione di posizione variabile aziendale

Data Documento: 2018-03-16
Area: Giurisprudenza
Contenuto sentenza

PENSIONI
Corte dei Conti Sez. III App., Sent., (ud. 07-02-2018) 16-03-2018, n. 89
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
III SEZIONE GIURISDIZIONALE CENTRALE D’APPELLO
composta dai seguenti magistrati
dott. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], – Presidente ff
dott.ssa [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], – Consigliere
dott. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], – Consigliere relatore
dott.ssa [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], – Consigliere
dott. Giovanni [#OMISSIS#], – Consigliere
riunita in Camera di consiglio ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di appello iscritto al n. 50367 del registro generale, proposto dal sig. E.C., rappresentato e difeso dall’avv. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] presso il cui studio è elettivamente domiciliato in Roma, viale [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], n. 95 contro l’INPS, in persona del Presidente e rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso rappresentato e difeso dagli avvocati [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] ed elettivamente domiciliati in Roma, via [#OMISSIS#] Beccaria, n. 29, e nei confronti dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, rappresentata e difesa dall’avv. [#OMISSIS#] Pisani, presso il cui studio è elettivamente domiciliata in Roma, Circ.ne [#OMISSIS#], n. 36/A, avverso la sentenza della Sezione giurisdizionale per la regione Lazio n. 301 del 12.06.2015.
Visti tutti gli atti ed i documenti di causa.
Uditi nella pubblica udienza del 07.02.2018 il relatore, Cons. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], l’avv. [#OMISSIS#] per l’appellante; l’avv. [#OMISSIS#] su delega, per l’INPS; l’avv. Pisani per l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1. – Con l’impugnata sentenza la Sezione giurisdizionale per la regione Lazio ha parzialmente accolto il ricorso proposto dal sig. C. volto ad ottenere, in virtù degli artt. 203204 e 205 del D.P.R. n. 1092 del 1973, l’annullamento di un provvedimento del 2013 col quale l’INPS, sulla base di una dichiarazione dell’Università degli Studi “La Sapienza” di Roma relativa alla computabilità nella base pensionistica della retribuzione di posizione variabile aziendale, confluita nell’indennità ex art. 31 del D.P.R. n. 761 del 1979, aveva modificato il decreto di pensione definitiva con iscrizione n. 17726525 adottato nel 2010; la domanda di prime cure concerneva, inoltre, le restituzioni di quanto trattenuto in ragione della riliquidazione con maggiorazione di interessi e rivalutazione.
Il giudice di prime cure, ha applicato al caso oggetto di decisione la disciplina dell’indebito pensionistico; ha in primo luogo accolto un’eccezione di prescrizione e, ritenuti non configurabili i presupposti della buona fede dell’accipiens, in quanto “ben consapevole della possibilità che l’indennità di posizione venisse diversamente qualificata in sede di determinazione del trattamento definitivo”, ha respinto per il resto la domanda.
2. – Con appello notificato in data 08.01.2016 e depositato in data 28.01.2016, il sig. C. ha impugnato la decisione in epigrafe.
Dopo aver ricostruito i fatti di causa, la difesa dell’appellante ha lamentato come il giudice di prime cure si era pronunciato su una domanda e su motivi completamente diversi da quelli presentati dall’odierno appellante in prime cure: diverso è il provvedimento impugnato, il suo contenuto, i motivi di ricorso, le osservazioni difensive. L’errore del giudice di prime cure si era spinto fino a decidere un’eccezione di prescrizione, valorizzata dal giudice di prime cure, ma mai formulata dal ricorrente.
Ciò posto, col primo motivo la difesa eccepisce l’omessa pronuncia sul motivo d’impugnazione proposto in prime cure e lo riedita integralmente: in sintesi, è lamentata la violazione degli artt. 203204 e 205 del D.P.R. n. 1092 del 1973 in quanto il provvedimento impugnato – ossia quello di riliquidazione della pensione adottato nel 2013 – è intervenuto revocando e modificando un precedente provvedimento di pensione definitiva del 2010, non sulla base di una delle ipotesi previste dall’art. 204 del D.P.R. n. 1092 del 1973.
Col secondo motivo è stata eccepita la non corrispondenza tra chiesto e pronunciato e l’ultrapetizione con riferimento al capo della sentenza che ha statuito sulla mancanza della buona fede dell’accipiens.
Col terzo motivo d’appello è stata contestata la motivazione sulla consapevolezza della “incerta qualificazione della retribuzione di posizione”.
Al riguardo, la difesa ha sottolineato che il C. non poteva certo immaginare che detta voce stipendiale, che dai cedolini è sempre risultata quale indennità ex D.P.R. n. 761 del 1979, nel 2010 considerata dall’Università nella base pensionabile e quindi da considerarsi in quota A, poi nel 2013 sarebbe stata giuridicamente riqualificata dall’Università come indennità da computarsi in quota B.
Col quarto motivo di gravame l’appellante ha contestato la pronuncia sul giudicato intervenuto in sede civile secondo cui gli importi in discorso dovevano essere considerati quale indennità ex art. 31 del D.P.R. n. 761 del 1979.
Ha concluso chiedendo l’annullamento del provvedimento di riliquidazione del 2013 e la conferma del trattamento definitivo del 2010, con condanna dell’INPS alle restituzioni delle somme mensili non versate a far tempo dal novembre 2013 con accessori.
Con memoria del 16.01.2018, l’appellante ha depositato la prova della notifica del d.f.u. ed una esposizione riassuntiva dei fatti di causa e delle richieste formulate nel gravame.
3. – Con memoria in data 11.01.2018 si è costituito l’INPS che ha chiesto la conferma dell’impugnata sentenza.
L’Istituto, dopo aver ripercorso i fatti di causa, ha sottolineato che – seppur implicitamente – il giudice di prime cure aveva riconosciuto la legittimità della riliquidazione fondata sull’acquisizione di nuova documentazione ex art. 204 lett. c) del D.P.R. n. 1092 del 1973.
4. – Con memoria del 18.01.2018 si è costituita l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”.
Richiamati i fatti di causa, la difesa dell’Università ha osservato che i primi due motivi d’appello sono contraddetti dalla più recente giurisprudenza di questa Sezione d’appello.
Rilevata l’estraneità dall’ambito applicativo dell’art. 204 del D.P.R. n. 1092 del 1973 dell’annullamento d’ufficio per errore di diritto, ha richiamato un recente orientamento di questa Sezione – sent. n. 581 del 2013 – secondo il quale, nonostante l’art. 203 del D.P.R. n. 1092 del 1973, sussisterebbe comunque un potere d’annullamento dell’amministrazione dei provvedimenti pensionistici illegittimi e pregiudizievoli, fondato essenzialmente sul regime dell’art. 21, nonies della L. n. 241 del 1990 e s.m.i. e quindi sulla tutela dell’interesse pubblico e dell’affidamento del soggetto inciso dal provvedimento amministrativo
Tali principi si attaglierebbero al caso in esame, in cui l’atto di riliquidazione del 2013 è intervenuto su un provvedimento di pensione definitivo per correggere i profili d’illegittimità emersi a seguito di una nuova valutazione ai fini pensionistici della indennità di cui all’art. 31 del D.P.R. n. 761 del 1979.
In questo caso, l’annullamento del provvedimento definitivo si giustificherebbe in ragione del breve lasso di tempo intervenuto tra quest’ultimo ed il provvedimento di annullamento, tale da non far sorgere alcuna affidamento legittimo.
Quanto al terzo e quarto motivo, circa il legittimo affidamento dell’appellante, la difesa dell’Università ha ritenuto che l’esistenza del giudizio civile il cui punto controverso era proprio la computabilità di tale indennità ai fini del trattamento di fine servizio è circostanza che dimostra la piena consapevolezza della modificabilità del trattamento di quiescenza.
Ha concluso chiedendo la conferma dell’impugnata sentenza.
5. – All’udienza del 07.02.2018, udita la relazione, le parti hanno illustrato e confermato le rispettive conclusioni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Preliminarmente il Collegio rileva la mancata corrispondenza tra il chiesto e pronunciato descritta nel primo motivo d’appello, con conseguente violazione dell’art. 112, c.p.c., applicabile al caso in esame ratione temporis (ma vedi ora, art. 101, comma 3, c.g.c.).
La domanda formulata in prime cure, infatti, era volta all’accertamento della invalidità, per violazione degli artt. 203, 204, e 205 del D.P.R. n. 1092 del 1973 di un provvedimento di riliquidazione di pensione definitiva e non a far valere l’irripetibilità di un indebito per buona fede del percipiente.
Risulta, quindi, che sia i fatti sia gli atti oggetto della decisione non hanno alcuna corrispondenza col petitum e con la causa petendi del ricorso introduttivo di primo grado, con conseguente nullità della decisione impugnata per violazione del princpio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato fissato dall’art. 112, c.p.c.
La sentenza deve essere annullata, con conseguente accoglimento del primo motivo d’appello, rimanendo per l’effetto assorbiti gli altri motivi formulati da parte appellante e dalle parti appellate.
Poiché le questioni attinenti alla valutazione del merito del ricorso di prime cure non sono state oggetto di scrutinio giurisdizionale, rappresentando essenzialmente questioni di fatto non conoscibili dal giudice d’appello ex art. 1, comma 5L. n. 19 del 1994 e s.m.i., gli atti vanno rinviati al giudice di primo grado perché proceda, in diversa composizione monocratica, ad un nuovo giudizio nel merito della questione controversa ed alla definizione delle spese del giudizio.
P.Q.M.
la Corte dei conti – III Sezione giurisdizionale centrale d’appello, disattesa ogni contraria istanza, azione, deduzione ed eccezione, definitivamente pronunciando accoglie l’appello in epigrafe e, per l’effetto, annulla la sentenza della Sezione giurisdizionale per la Regione Lazio n. 301 del 12.06.2015, e rinvia gli atti al Giudice di primo grado perché proceda, in diversa composizione monocratica, ad un nuovo giudizio nel merito della questione controversa ed alla definizione delle spese, anche per il presente grado di giudizio.
Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio del 7 febbraio 2018.
Depositata in Cancelleria 16 marzo 2018.