Corte di giustizia UE, sez. VII, sentenza 3 giugno 2021, C-326/19, E.B. contro Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca– MIUR e altri

Rapporto di lavoro dei ricercatori a tempo determinato: la Corte di giustizia UE esclude il contrasto della normativa italiana con il diritto euro-unitario

Data Documento: 2021-06-03
Area: Giurisprudenza
Massima

La clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretata nel senso che essa non osta a una normativa nazionale in forza della quale è prevista, per quanto riguarda l’assunzione dei ricercatori universitari, la stipulazione di un contratto a tempo determinato per un periodo di tre anni, con una sola possibilità di proroga per un periodo massimo di due anni, subordinando, da un lato, la stipulazione di tali contratti alla condizione che siano disponibili  risorse «per la programmazione, al fine di svolgere attività di ricerca, di didattica, di didattica integrativa e di servizio agli studenti», e, dall’altro, la proroga di tali contratti alla «positiva valutazione delle attività didattiche e di ricerca svolte», senza che sia necessario che tale normativa stabilisca i criteri oggettivi e trasparenti che consentano di verificare se la stipulazione e il rinnovo di tali contratti rispondano effettivamente a un’esigenza reale, se essi siano idonei a conseguire l’obiettivo perseguito e siano necessari a tal fine.

Contenuto sentenza

Corte di giustizia dell’Unione Europea
Settima Sezione
Sentenza 3 giugno 2021

«Rinvio pregiudiziale – Politica sociale – Direttiva 1999/70/CE – Accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato – Clausola 5 – Successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato – Utilizzo abusivo – Misure di prevenzione – Contratti di lavoro a tempo determinato nel settore pubblico – Ricercatori universitari».

[#OMISSIS#] causa C-326/19, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (Italia), con ordinanza del 28 novembre 2018, pervenuta in cancelleria il 23 aprile 2019, nel procedimento EB contro Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca − MIUR, Università degli Studi «Roma Tre», con l’intervento di: Federazione Lavoratori della Conoscenza − CGIL (FLC-CGIL), Confederazione Generale Italiana del Lavoro (CGIL), Anief − Associazione Professionale e Sindacale, Confederazione Generale Sindacale, Cipur − Coordinamento Intersedi Professori Universitari di Ruolo.
[…]
1. La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione della clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999 (in prosieguo: l’«accordo quadro»), che figura in allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato (GU 1999, L 175, pag. 43).
2. Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia che oppone EB, ricercatore universitario, alla Presidenza del Consiglio dei Ministri (Italia), al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (Italia) e all’Università degli Studi «Roma Tre» (in prosieguo: l’«Università»), in merito al rifiuto di prorogare il suo contratto di lavoro a tempo determinato oltre il periodo previsto dalla legge, trasformandolo, in tal modo, in contratto a tempo indeterminato, o di ammetterlo alla valutazione ai fini della sua chiamata nel ruolo dei professori associati.
Contesto normativo
Diritto dell’Unione
3. Il considerando 14 della direttiva 1999/70 è del seguente tenore:
«le parti contraenti hanno voluto concludere un accordo quadro sul lavoro a tempo determinato che stabilisce i principi generali e i requisiti minimi per i contratti e i rapporti di lavoro a tempo determinato; hanno espresso l’intenzione di migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato garantendo l’applicazione del principio di non discriminazione, nonché di creare un quadro per la prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato».
4. Il secondo comma del preambolo dell’accordo quadro stabilisce che le parti di tale accordo «riconoscono che i contratti a tempo indeterminato sono e continueranno ad essere la forma comune dei rapporti di lavoro fra i datori di lavoro e i lavoratori [e] che i contratti a tempo determinato rispondono, in alcune circostanze, sia alle esigenze dei datori di lavoro sia a quelle dei lavoratori».
5. Ai sensi della clausola 1 dell’accordo quadro:
«[Il suo] obiettivo è:
a) migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato garantendo il rispetto del principio di non discriminazione;
b) creare un quadro normativo per la prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato».
6. La clausola 3 di tale accordo quadro, intitolata «Definizioni», prevede quanto segue:
«1. Ai fini del presente accordo, il [#OMISSIS#] “lavoratore a tempo determinato” indica una persona con un contratto o un rapporto di lavoro definiti direttamente fra il datore di lavoro e il lavoratore e il cui [#OMISSIS#] è determinato da condizioni oggettive, quali il raggiungimento di una certa data, il completamento di un compito specifico o il verificarsi di un evento specifico.
(…)».
7. La clausola 4 dell’accordo quadro, intitolata «Principio di non discriminazione», al punto 1 così dispone:
«Per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive».
8. La clausola 5 di detto accordo quadro, intitolata «Misure di prevenzione degli abusi», così recita:
«1. Per prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali a [#OMISSIS#] delle leggi, dei contratti collettivi e della prassi nazionali, e/o le parti sociali stesse, dovranno introdurre, in assenza di norme equivalenti per la prevenzione degli abusi e in un modo che tenga conto delle esigenze di settori e/o categorie specifici di lavoratori, una o più misure relative a:
a) ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti;
b) la durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi;
c) il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti.
2. Gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali, e/o le parti sociali stesse dovranno, se del [#OMISSIS#], stabilire a quali condizioni i contratti e i rapporti di lavoro a tempo determinato:
a) devono essere considerati “successivi”;
b) devono essere ritenuti contratti o rapporti a tempo indeterminato».
9. La clausola 8 del medesimo accordo quadro, intitolata «Disposizioni di attuazione», è del seguente tenore:
«1. Gli Stati membri e/o le parti sociali possono mantenere o introdurre disposizioni più favorevoli per i lavoratori di quelle stabilite nel presente [accordo quadro].
(…)».
Diritto italiano
10. L’articolo 24 della legge del 30 dicembre 2010, n. 240 – Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario (supplemento ordinario alla GURI n. 10, del 14 gennaio 2011; in prosieguo: la «legge n. 240/2010»), rubricato «Ricercatori a tempo determinato», prevede quanto segue:
«1. Nell’ambito delle risorse disponibili per la programmazione, al fine di svolgere attività di ricerca, di didattica, di didattica integrativa e di servizio [#OMISSIS#] studenti, le università possono stipulare contratti di lavoro subordinato a tempo determinato. Il contratto stabilisce, sulla base dei regolamenti di ateneo, le modalità di svolgimento delle attività di didattica, di didattica integrativa e di servizio [#OMISSIS#] studenti nonché delle attività di ricerca.
2. I destinatari sono scelti mediante procedure pubbliche di selezione disciplinate dalle università con regolamento ai sensi della legge 9 [#OMISSIS#] 1989, n. 168, nel rispetto dei principi enunciati dalla Carta europea dei ricercatori, di cui alla raccomandazione della Commissione delle Comunità europee n. 251 dell’11 marzo 2005 (…)
3. I contratti hanno le seguenti tipologie:
a) contratti di durata triennale prorogabili per soli due anni, per una sola volta, previa positiva valutazione delle attività didattiche e di ricerca svolte, effettuata sulla base di modalità, criteri e parametri definiti con decreto del Ministro; i predetti contratti possono essere stipulati con il medesimo soggetto anche in sedi diverse;
b) contratti triennali, riservati a candidati che hanno usufruito dei contratti di cui alla lettera a), ovvero che hanno conseguito l’abilitazione scientifica nazionale alle funzioni di professore di prima o di seconda fascia di cui all’articolo 16 della presente legge, ovvero che sono in possesso del titolo di specializzazione medica, ovvero che, per almeno tre anni anche non consecutivi, hanno usufruito di assegni di ricerca ai sensi dell’articolo 51, comma 6, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, o di assegni di ricerca di cui all’articolo 22 della presente legge, o di borse post-dottorato ai sensi dell’articolo 4 della legge 30 novembre 1989, n. 398, ovvero di analoghi contratti, assegni o borse in atenei stranieri.
(…)
5. Nell’ambito delle risorse disponibili per la programmazione, nel terzo anno di contratto di cui al comma 3, lettera b), l’università valuta il titolare del contratto stesso, che abbia conseguito l’abilitazione scientifica di cui all’articolo 16, ai fini della chiamata nel ruolo di professore associato, ai sensi dell’articolo 18, comma 1, lettera e). In [#OMISSIS#] di esito positivo della valutazione, il titolare del contratto, alla scadenza dello stesso, è inquadrato nel ruolo dei professori associati. La valutazione si svolge in conformità [#OMISSIS#] standard qualitativi riconosciuti a livello internazionale individuati con apposito regolamento di ateneo nell’ambito dei criteri fissati con decreto del Ministro. La programmazione di cui all’articolo 18, comma 2, assicura la disponibilità delle risorse necessarie in [#OMISSIS#] di esito positivo della procedura di valutazione. Alla procedura è data pubblicità sul [#OMISSIS#] dell’ateneo.
(…)».
11. L’articolo 20 del decreto legislativo del 25 [#OMISSIS#] 2017, n. 75 – Modifiche e integrazioni al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai sensi degli articoli 16, commi 1, lettera a), e 2, lettere b), c), d) ed e) e 17, comma 1, lettere a), c), e), f), g), h), l) m), n), o), q), r), s) e z), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche (GURI n. 130, del 7 giugno 2017), rubricato «Superamento del precariato nelle pubbliche amministrazioni» (in prosieguo: il «decreto legislativo n. 75/2015»), così dispone:
«1. Le amministrazioni, al fine di superare il precariato, ridurre il ricorso ai contratti a [#OMISSIS#] e valorizzare la professionalità acquisita dal personale con rapporto di lavoro a tempo determinato, possono, nel triennio 2018-2020, in coerenza con il piano triennale dei fabbisogni di cui all’articolo 6, comma 2, e con l’indicazione della relativa copertura finanziaria, assumere a tempo indeterminato personale non dirigenziale che possegga tutti i seguenti requisiti:
a) risulti in servizio successivamente alla data di entrata in vigore della legge n. 124 del 2015 con contratti a tempo determinato presso l’amministrazione che procede all’assunzione o, in [#OMISSIS#] di amministrazioni comunali che esercitino funzioni in forma associata, anche presso le amministrazioni con servizi associati;
b) sia stato reclutato a tempo determinato, in relazione alle medesime attività svolte, con procedure concorsuali anche espletate presso amministrazioni pubbliche diverse da quella che procede all’assunzione;
c) abbia maturato, al 31 dicembre 2017, alle dipendenze dell’amministrazione di cui alla lettera a) che procede all’assunzione, almeno tre anni di servizio, anche non continuativi, negli ultimi otto anni.
2. [#OMISSIS#] stesso triennio 2018-2020, le amministrazioni possono bandire, in coerenza con il piano triennale dei fabbisogni di cui all’articolo 6, comma 2, e [#OMISSIS#] restando la garanzia dell’adeguato accesso dall’esterno, previa indicazione della relativa copertura finanziaria, procedure concorsuali riservate, in misura non superiore al cinquanta per cento dei posti disponibili, al personale non dirigenziale che possegga tutti i seguenti requisiti:
a) risulti titolare, successivamente alla data di entrata in vigore della legge n. 124 del 2015, di un contratto di lavoro flessibile presso l’amministrazione che bandisce il concorso;
b) abbia maturato, alla data del 31 dicembre 2017, almeno tre anni di contratto, anche non continuativi, negli ultimi otto anni, presso l’amministrazione che bandisce il concorso.
(…)
8. Le amministrazioni possono prorogare i corrispondenti rapporti di lavoro flessibile con i soggetti che partecipano alle procedure di cui ai commi 1 e 2, fino alla loro conclusione, nei limiti delle risorse disponibili ai sensi dell’articolo 9, comma 28, del decreto-legge 31 [#OMISSIS#] 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122.
9. Il presente articolo non si applica al reclutamento del personale docente, educativo e amministrativo, tecnico e ausiliario (ATA) presso le istituzioni scolastiche ed educative statali. (…) Il presente articolo non si applica altresì ai contratti di somministrazione di lavoro presso le pubbliche amministrazioni».
12. L’articolo 5, comma 4 bis, del decreto legislativo del 6 settembre 2001, n. 368 – Attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE, dal CEEP e dal CES (GURI n. 235, del 9 ottobre 2001; in prosieguo: il «decreto legislativo n. 368/2001»), che ha trasposto la direttiva 1999/70 nell’ordinamento giuridico italiano, così recitava:
«[#OMISSIS#] restando la disciplina della successione di contratti di cui ai commi precedenti, qualora per effetto di successione di contratti a [#OMISSIS#] per lo svolgimento di mansioni equivalenti il rapporto di lavoro fra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore abbia complessivamente superato i trentasei mesi comprensivi di proroghe e rinnovi, indipendentemente dai periodi di interruzione che intercorrono tra un contratto e l’altro, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato ai sensi del comma 2. (…)».
13. La disposizione citata è stata riprodotta, in sostanza, e mantenuta in vigore dall’articolo 19 del decreto legislativo del 15 giugno 2015, n. 81 – Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a [#OMISSIS#] dell’articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183 (supplemento ordinario alla GURI n. 144, del 24 giugno 2015; in prosieguo: il «decreto legislativo n. 81/2015»), rubricato «Apposizione del [#OMISSIS#] e durata massima», in vigore dal 25 giugno 2015. In forza di tale disposizione, qualora il limite dei 36 mesi sia superato, per effetto di un unico contratto o di una successione di contratti conclusi per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria legale, «il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla data di tale superamento».
14. Tuttavia, conformemente all’articolo 10, comma 4 bis, del decreto legislativo n. 368/2001, l’articolo 5, comma 4 bis, del medesimo decreto legislativo non si applica in taluni casi. Il contratto di cui trattasi nel procedimento principale rientra in tali casi, in forza dell’articolo 29, comma 2, lettera d), del decreto legislativo n. 81/2015, disposizione che prevede espressamente, tra le esclusioni dall’ambito di applicazione dell’articolo 5, comma 4 bis, del decreto legislativo n. 368/2001, i contratti a tempo determinato stipulati ai sensi della legge n. 240/2010.
15. Inoltre, l’articolo 29, comma 4, del decreto legislativo n. 81/2015 dispone che [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] quanto disposto dall’articolo 36 del decreto legislativo del 30 marzo 2001, n. 165 – Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche (supplemento ordinario alla GURI n. 106, del 9 [#OMISSIS#] 2001; in prosieguo: il «decreto legislativo n. 165/2001»).
16. L’articolo 36 del decreto legislativo n. 165/2001, come modificato dal decreto legislativo n. 75/2017, rubricato «Personale a tempo determinato o assunto con forme di lavoro flessibile», prevede quanto segue:
«1. Per le esigenze connesse con il proprio fabbisogno ordinario le pubbliche amministrazioni assumono esclusivamente con contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato (…)
(…)
5. In ogni [#OMISSIS#], la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, [#OMISSIS#] restando ogni responsabilità e sanzione. Il lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative. (…)».
(…)
5-quater. I contratti di lavoro posti in essere in violazione del presente articolo sono nulli e determinano responsabilità erariale. I dirigenti che operano in violazione delle disposizioni del presente articolo sono, altresì, responsabili ai sensi dell’articolo 21. Al dirigente responsabile di irregolarità nell’utilizzo del lavoro flessibile non può essere erogata la retribuzione di risultato».
Procedimento principale e questioni pregiudiziali
17. Il 1° dicembre 2012, EB è stato assunto dall’Università in qualità di ricercatore, per una durata di tre anni, sulla base di un contratto concluso ai sensi dell’articolo 24, comma 3, lettera a), della legge n. 240/2010 (in prosieguo: il «contratto di tipo A»). Un tale contratto può essere prorogato una sola volta per un [#OMISSIS#] di due anni.
18. Nell’ottobre 2014, EB ha conseguito l’abilitazione scientifica nazionale alle funzioni di professore universitario di seconda fascia, ai sensi dell’articolo 16 della legge citata, abilitazione che attesta che il suo titolare dispone delle qualifiche scientifiche necessarie per partecipare a determinati concorsi universitari.
19. È pacifico che, quando EB era ancora in servizio, l’Università, conformemente all’articolo 24, comma 6, della legge n. 240/2010 – che consente, per un periodo di otto anni a decorrere dall’entrata in vigore di tale legge, la chiamata nel ruolo dei professori di seconda fascia di ricercatori assunti sulla base di un contratto a tempo indeterminato, in servizio presso l’università e che abbiano conseguito l’abilitazione scientifica nazionale -, ha bandito una tale procedura di chiamata in ruolo di cui hanno beneficiato due ricercatori [#OMISSIS#] stesso settore di EB assunti in forza di un siffatto contratto. Tuttavia, EB non ha avuto il diritto di partecipare a tale procedura per il motivo che era assunto in forza di un contratto a tempo determinato, benché disponesse dell’abilitazione scientifica.
20. Sei mesi prima della relativa scadenza, prevista per il 1° dicembre 2015, EB ha chiesto la proroga del suo contratto, il quale è stato prorogato, il 24 novembre 2015, con effetto dal 1° dicembre 2015 per un periodo di due anni.
21. L’8 novembre 2017, prima della scadenza del suo contratto prorogato, EB ha chiesto la proroga del suo contratto ai sensi dell’articolo 20, comma 8, del decreto legislativo n. 75/2017 al fine di ottenere la trasformazione del suo rapporto di lavoro a tempo determinato in contratto di lavoro a tempo indeterminato. Egli ha sostenuto, al riguardo, che tale disposizione si applica anche al personale docente delle università. Inoltre, EB ha chiesto l’attivazione, dal 2018, della procedura di stabilizzazione dell’impiego prevista all’articolo 20, comma 1, dello stesso decreto legislativo.
22. Con nota del 21 novembre 2017, l’Università ha respinto le istanze di EB adducendo, da un lato, che l’articolo 20, comma 8, del decreto legislativo n. 75/2017 non si applicava ai ricercatori universitari assunti in forza di un contratto a tempo determinato e, dall’altro, che l’articolo 29 del decreto legislativo n. 81/2015 non consentiva di far ricorso a una procedura prevista per l’assunzione di ricercatori assunti con un contratto a tempo indeterminato.
23. EB ha proposto dinanzi al [#OMISSIS#] del rinvio un ricorso diretto all’annullamento non solo di tale decisione, ma anche della circolare n. 3/2017, adottata dal Ministro per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione, secondo la quale il decreto legislativo n. 75/2017 non si applicava ai ricercatori assunti in forza di un contratto di lavoro a tempo determinato. Inoltre, egli ha chiesto l’accertamento del suo diritto di essere assunto a tempo indeterminato o di essere ammesso alla procedura di valutazione per essere assunto come professore associato ai sensi dell’articolo 24, comma 5, della legge n. 240/2010.
24. A sostegno del ricorso, EB deduce, in particolare, che l’articolo 20 del decreto legislativo n. 75/2017 dovrebbe essere interpretato nel senso che esso si applica anche ai rapporti di lavoro in regime di diritto pubblico e, pertanto, al rapporto di lavoro di ricercatore di tipo A, considerato che l’accordo quadro osta a un’interpretazione diversa, come quella propugnata dalla circolare n. 3/2017.
25. EB sostiene, inoltre, che l’esclusione del suo contratto dalla [#OMISSIS#] che prevede la conversione automatica di un contratto a tempo determinato prorogato oltre i 36 mesi in contratto a tempo indeterminato – esclusione sancita dall’articolo 29, comma 2, lettera d), del decreto legislativo n. 81/2015 – sarebbe incompatibile con l’accordo quadro, in quanto non esisterebbero ragioni oggettive per cui il ricercatore universitario debba essere assunto a tempo determinato, specie ove tale rapporto di lavoro superi, come è avvenuto nel [#OMISSIS#] del ricorrente nel procedimento principale, il [#OMISSIS#] di tre anni.
26. EB afferma altresì che, non consentendo a ricercatori assunti in forza di un contratto a tempo determinato – i quali, come lui stesso, hanno conseguito le qualifiche universitarie richieste per poter essere nominati in qualità di «professori associati» – di essere sottoposti a una valutazione ai fini della loro nomina a un posto di professore associato, l’articolo 24, comma 3, della legge n. 240/2010 contrasterebbe con il principio di non discriminazione enunciato alla clausola 4 dell’accordo quadro.
27. Infine, EB invoca il principio di equivalenza, in forza del quale, in assenza di una [#OMISSIS#] nazionale più favorevole alla categoria di ricercatori cui egli appartiene, si dovrebbero applicare le disposizioni relative al settore privato – come quelle che prevedono la conversione automatica del contratto di lavoro a tempo determinato prorogato oltre i 36 mesi in contratto a tempo indeterminato – nonché le disposizioni applicabili a categorie di lavoratori a tempo determinato del settore pubblico che, come gli insegnanti delle scuole, possono beneficiare di una certa forma di stabilizzazione del loro rapporto di lavoro grazie a procedure adeguate, conformemente all’articolo 20 del decreto legislativo n. 75/2017.
28. L’Università, dal canto suo, sottolinea che l’articolo 20 del decreto legislativo n. 75/2017 non si applicherebbe ai ricercatori universitari, in forza del disposto dell’articolo 3, comma 2, del decreto legislativo n. 165/2001. Essa sostiene, al riguardo, che tale disposizione non darebbe luogo a una discriminazione rispetto [#OMISSIS#] altri ricercatori che non rientrano [#OMISSIS#] categoria del personale in regime di diritto pubblico.
29. L’Università ricorda, inoltre, che la differenza di trattamento tra le categorie di cui all’articolo 24, comma 3, lettere a) e b), della legge n. 240/2010 sarebbe giustificata, tenuto conto del fatto che i ricercatori cui si riferisce tale disposizione alla lettera b) possiedono una [#OMISSIS#] esperienza.
30. Il [#OMISSIS#] del rinvio ritiene che, per quanto riguarda i ricercatori assunti in forza di un contratto di tipo A di cui all’articolo 24, commi 1 e 3, lettera a), della legge n. 240/2010, il ricorso a simili contratti a tempo determinato possa essere abusivo e si interroga sulla compatibilità con la clausola 5 dell’accordo quadro dell’esclusione – derivante dall’articolo 29, comma 2, lettera d), del decreto legislativo n. 81/2015 – della possibilità di convertire un contratto come quello concluso tra EB e l’Università in contratto a tempo indeterminato. Esso richiama, a tale proposito, in particolare, la sentenza del 14 settembre 2016, Martínez Andrés e Castrejana López (C-184/15 e C-197/15, EU:C:2016:680), [#OMISSIS#] quale la Corte ha stabilito che il divieto di trasformare un contratto di lavoro a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato è conforme all’accordo quadro solo se è possibile ricorrere a un’altra misura effettiva per sanzionare adeguatamente l’utilizzo abusivo di una successione di contratti a tempo determinato.
31. Secondo il [#OMISSIS#] del rinvio, non esiste una simile misura alternativa, giacché il risarcimento del danno che il ricorrente nel procedimento principale potrebbe ottenere si limita al pagamento di una somma forfettaria che non è proporzionata all’entità [#OMISSIS#] del danno subìto. Stanti tali circostanze, EB si troverebbe in una situazione in cui l’ordinamento giuridico interno non prevede alcuna forma di sanzione per il ricorso abusivo a contratti a tempo determinato, come avveniva [#OMISSIS#] causa che ha dato origine alla sentenza del 25 ottobre 2018, Sciotto (C-331/17, EU:C:2018:859).
32. Inoltre, il [#OMISSIS#] del rinvio si interroga sulla compatibilità dell’articolo 24, commi 1 e 3, lettera a), della legge n. 240/2010 con l’accordo quadro, [#OMISSIS#] parte in cui tale disposizione limita la durata dei contratti dei ricercatori a tre anni, con eventuale proroga di due anni, consentendo così di ricorrere in maniera indiscriminata al contratto a tempo determinato, quando invece il rinnovo di un simile contratto dovrebbe essere giustificato da ragioni oggettive.
33. Alla luce di quanto precede, il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (Italia) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se, pur non sussistendo un obbligo generale degli Stati membri di prevedere la trasformazione dei contratti di lavoro a tempo determinato in un contratto a tempo indeterminato, la clausola 5 dell’accordo quadro (…), intitolata “Misure di prevenzione degli abusi”, anche alla luce del principio di equivalenza, osti a che una normativa nazionale, quale quella di cui [#OMISSIS#] articoli 29, comma 2, lettera d), e comma 4, del decreto legislativo [n. 81/2015] e 36, comma 2 e comma 5, del decreto legislativo [n. 165/2001], precluda per i ricercatori universitari assunti con contratto a tempo determinato di durata triennale, prorogabile per due anni, ai sensi dell’articolo 24, comma 3, lettera a), della legge [n. 240/2010], la successiva instaurazione di un rapporto a tempo indeterminato.
2) Se, pur non sussistendo un obbligo generale degli Stati membri di prevedere la trasformazione dei contratti di lavoro a tempo determinato in un contratto a tempo indeterminato, la clausola 5 dell’accordo quadro (…), intitolata “Misure di prevenzione degli abusi”, anche alla luce del principio di equivalenza, osti a che una normativa nazionale, quale quella di cui [#OMISSIS#] articoli 29, comma 2, lettera d), e comma 4, del decreto legislativo [n. 81/2015] e 36, comma 2 e comma 5, del decreto legislativo [n. 165/2001], sia applicata dai [#OMISSIS#] nazionali dello Stato membro interessato in modo che il diritto alla conservazione del rapporto di lavoro è accordato alle persone assunte dall’amministrazione pubblica mediante un contratto di lavoro flessibile soggetto a normativa del lavoro di natura privatistica, ma non è riconosciuto, in generale, al personale assunto a tempo determinato da tale amministrazione in regime di diritto pubblico, non sussistendo (per effetto delle su citate disposizioni nazionali) un’altra misura efficace nell’ordinamento giuridico nazionale per sanzionare tali abusi nei confronti dei lavoratori.
3) Se, pur non sussistendo un obbligo generale degli Stati membri di prevedere la trasformazione dei contratti di lavoro a tempo determinato in un contratto a tempo indeterminato, la clausola 5 dell’accordo quadro (…), intitolata “Misure di prevenzione degli abusi”, anche alla luce del principio di equivalenza, osti a (…) una normativa nazionale, quale quella di cui all’articolo 24, commi 1 e 3, della legge [n. 240/2010], che prevede la stipulazione e la proroga, per complessivi cinque anni (tre anni con eventuale proroga per due anni), di contratti a tempo determinato fra ricercatori ed Università, subordinando la stipulazione a che essa avvenga “Nell’ambito delle risorse disponibili per la programmazione, al fine di svolgere attività di ricerca, di didattica, di didattica integrativa e di servizio [#OMISSIS#] studenti”, ed altresì subordinando la proroga alla “positiva valutazione delle attività didattiche e di ricerca svolte”, senza stabilire criteri oggettivi e trasparenti al fine di verificare se la stipulazione e il rinnovo di siffatti contratti rispondano effettivamente ad un’esigenza [#OMISSIS#], se essi siano idonei a conseguire l’obiettivo perseguito e siano necessari a tal fine, e comporta quindi un rischio concreto di determinare un ricorso abusivo a tale tipo di contratti, non risultando così compatibile con lo scopo e l’effetto utile dell’accordo quadro».
Sulle questioni pregiudiziali
Sulla ricevibilità
34. L’Università sostiene che le questioni pregiudiziali sarebbero manifestamente irricevibili. Da un lato, esse sarebbero puramente ipotetiche e manifestamente irrilevanti ai fini della soluzione della controversia principale, poiché dall’ordinanza di rinvio risulterebbe che il [#OMISSIS#] del rinvio non nutre alcun dubbio sull’interpretazione da dare alla normativa nazionale di cui al procedimento principale. Dall’altro lato, tale [#OMISSIS#] non avrebbe esposto le ragioni che l’hanno indotto a interrogarsi sull’interpretazione del diritto dell’Unione, il che contrasterebbe non solo con l’articolo 94 del regolamento di procedura della Corte, cosicché tali questioni dovrebbero essere considerate, anche a tale titolo, irricevibili, ma violerebbe altresì i diritti della difesa dell’Università.
35. A tale proposito, occorre rammentare che, nell’ambito della cooperazione tra la Corte e i [#OMISSIS#] nazionali istituita all’articolo 267 TFUE, spetta esclusivamente al [#OMISSIS#] nazionale, cui è sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze del [#OMISSIS#], sia la necessità di una decisione pregiudiziale per essere in grado di emettere la propria pronuncia, sia la rilevanza delle questioni che esso sottopone alla Corte. Di conseguenza, ove le questioni poste riguardino l’interpretazione del diritto dell’Unione, la Corte è, in linea di principio, tenuta a statuire (sentenza del 25 novembre 2020, Sociálna poisťovňa, C-799/19, EU:C:2020:960, punto 43 e giurisprudenza ivi citata).
36. Tali questioni poste dal [#OMISSIS#] nazionale nel contesto di diritto e di fatto che esso definisce sotto la propria responsabilità, e del quale non spetta alla Corte verificare l’esattezza, sono assistite da una presunzione di rilevanza. Il rifiuto della Corte di statuire su una domanda proposta da un [#OMISSIS#] nazionale è possibile soltanto qualora risulti in modo manifesto che la richiesta interpretazione del diritto dell’Unione o l’esame della validità di quest'[#OMISSIS#] non ha alcun rapporto con la realtà effettiva o con l’oggetto del procedimento principale, o anche quando il problema sia di natura ipotetica, oppure la Corte non disponga degli elementi di fatto e di diritto necessari per rispondere utilmente alle questioni che le sono sottoposte, nonché per comprendere le ragioni per le quali il [#OMISSIS#] nazionale ritiene di aver bisogno delle risposte a tali questioni per dirimere la controversia dinanzi ad esso pendente (sentenza del 2 febbraio 2021, Consob, C-481/19, UE:C:2021:84, paragrafo 29 e giurisprudenza ivi citata).
37. Nel [#OMISSIS#] di specie, occorre rilevare, da un lato, che la domanda di pronuncia pregiudiziale soddisfa i criteri prescritti all’articolo 94 del regolamento di procedura. Tale domanda fornisce infatti le precisazioni necessarie per quanto riguarda i fatti rilevanti e l’oggetto della controversia principale. Essa fa altresì riferimento al tenore delle disposizioni di diritto nazionale che, secondo il [#OMISSIS#] del rinvio, possono applicarsi alla controversia principale. Il [#OMISSIS#] del rinvio indica parimenti, da un lato, le ragioni che l’hanno indotto a interrogarsi sull’interpretazione di talune disposizioni del diritto dell’Unione e, dall’altro, il collegamento che esso stabilisce tra questa e la legislazione nazionale eventualmente applicabile alla controversia principale. Tali informazioni hanno inoltre dato al governo italiano e [#OMISSIS#] altri interessati la possibilità di presentare osservazioni conformemente all’articolo 23 dello Statuto della Corte, come dimostrano, in particolare, le osservazioni presentate dall’Università.
38. Dall’a