“Questo contributo evidenzia che l’«esplosione» delle procedure di “valutazione” meritocratica della ricerca scientifica frammenta la biografia scientifica di ogni ricercatore in unità numerose e di solito brevi. Il contributo si focalizza su due importanti conseguenze negative di questa proliferazione di procedure “valutative”. In primo luogo, i ricercatori spendono molto tempo per mostrare di meritare il proprio posto di lavoro e la propria retribuzione. Perciò smarriscono la motivazione intrinseca al proprio lavoro, alla propria scelta di fare i ricercatori: vocazione, passione, piacere di lavorare bene e di “produrre” nuova conoscenza piuttosto che pubblicazioni seriali e spesso inutili per il gusto di far quadrare i numeri richiesti per le procedure “valutative”. In secondo luogo, i ricercatori sono costretti a rinunciare al proprio passato che non rientra più nei periodi “valutati” da quelle procedure, sono trattati fino al pensionamento come nuovi arrivati e devono continuamente mostrare, ogni volta partendo da zero, di aver “prodotto” qualcosa, di essere qualcuno. Perciò perdono autostima: se il loro valore è perennemente sotto esame, lavorano e vivono in crisi perenne. Se conta sempre solo il futuro, l’oggetto della “valutazione” non è più la biografia scientifica di un ricercatore, ma solo un segmento di un’attività di ricerca ormai staccata e indipendente da quella biografia.”
(Dall’abstract a cura dell’Autore)