Non è possibile qualificare come ricercatore a tempo determinato una figura chiamata temporanemanete dall’ateneo.
TAR Calabria, Catanzaro, Sez. II, 24 gennaio 2019, n. 166
Posto ricercatore-Tempo determinato
N. 00166/2019 REG.PROV.COLL.
N. 01080/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1080 del 2011, proposto da
[#OMISSIS#] Iembo, rappresentata e difesa dall’avvocato [#OMISSIS#] Cardamone, con domicilio eletto presso il suo studio in Cosenza, piazza [#OMISSIS#] e [#OMISSIS#] Gullo, 43;
contro
Universita’ della Calabria non costituita in giudizio;
Ministero dell’Istruzione dell’Universita’ e della Ricerca, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Distrettuale Catanzaro, domiciliata ex lege in Catanzaro, via G.Da Fiore, 34;
per l’annullamento
degli statini relativi alla retribuzione nella parte in cui qualificano la dipendente come ricercatore tempo determinato.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ministero dell’Istruzione dell’Universita’ e della Ricerca;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza smaltimento del giorno 22 gennaio 2019 il dott. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. In data 6.3.1998 l’Università della Calabria stipulava con l’Amministrazione Provinciale di Crotone apposita convenzione al fine di instaurare un rapporto di collaborazione scientifica. L’accordo prevedeva l’elaborazione di programmi finalizzati alla promozione di corsi di formazione professionale, nonché di corsi di specializzazione.
In particolare, l’Università si impegnava a garantire la presenza stabile e continua nella città di Crotone di due ricercatori, che dovevano assolvere i suddetti compiti, nonché fornire attività di consulenza scientifica. L’Amministrazione Provinciale, da parte sua, si obbligava a finanziare i due posti di ricercatore, sino al passaggio degli interessati ad altro ruolo.
2. In attuazione della succitata convenzione e sulla base della circolare del Ministero Università del 17.3.1997 allora vigente (che prevedeva la possibilità per gli atenei di assumere ricercatori a tempo determinato con compiti di ricerca e con esclusione delle attività didattiche), con D.R. n. 1490 dell’1.7.1998 l’Università emanava il bando di selezione per il reclutamento di “due ricercatori con contratto a tempo determinato fino al passaggio ad altroruolo” (art. 1).
Nel bando era precisato che:
– “Il ricercatore instaura un rapporto di lavoro subordinato con compiti di ricerca con esclusione delle attività didattiche. Al termine del contratto il Ricercatore è tenuto a depositare il risultato del lavoro svolto …” (art. 9);
– “Il trattamento economico derivante dalla stipula del contratto in parola è quello corrispondente ai Ricercatori Universitari non confermati …” (art. 11).
3. All’esito delle operazioni concorsuali, la ricorrente veniva “nominata ricercatore universitario a tempo determinato sino al passaggio ad altro ruolo” (nota a firma del Rettore prot. 1048 del 25.08.1999).
4. Con sentenza n. 497/2002 questo TAR, rilevata incidentalmente la “peculiarità del rapporto di lavoro così prefigurato sia nella convenzione che nel bando di concorso”, accertava il diritto della odierna ricorrente “ad essere mantenuta in servizio di ruolo quale ricercatore fino al passaggio ad altro ruolo”.
5. Con successiva sentenza n. 994/2004, resa sul ricorso per l’ottemperanza alla sentenza n. 497/2002, questo TAR, premesso che in sede di cognizione “il Tribunale non poteva aggiungere altro ad un già singolare rapporto di lavoro, e cioè non poteva non limitare l’accertamento dell’invocato diritto nell’ambito proprio di questo, quindi relativo alla titolarità di un rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato fino al passaggio ad altro ruolo”, ha ritenuto l’insussistenza dei presupposti per attribuire al “rapporto di lavoro una [#OMISSIS#] che non è propria, quale ad esempio quella di ricercatore di ruolo confermato”, nel presupposto che “anche dal punto di vista dei contenuti delle prestazioni lavorative da rendersi … è evidente che questi sono definiti dalla convenzione, in ragione della quale peraltro sono state condotte le selezioni …”.
6. Con l’odierno ricorso la dott.ssa Iembo torna a reclamare tutela per la propria posizione lavorativa, chiedendo l’accoglimento delle seguenti conclusioni: “a) annullare e/o revocare e/o privare di effetti giuridici gli atti amministrativi costituiti dagli statini relativi alla retribuzione dei mesi di luglio ed agosto 2011 (datati rispettivamente 19 luglio 2011 e 9 agosto 2011), nella parte in cui qualificano la dipendente come “ricercatore a tempo determinato”, anziché, per come dovuto e come sempre avvenuto nei precedenti statini,“ricercatore non confermato”, disponendo che l’Università resistente provveda a rettifica, ripristinando la dicitura, sempre utilizzata negli statini dei precedenti stipendi, che definiva la ricorrente “ricercatore non confermato”; annullando, altresì, ogni altro atto prodromico, connesso, presupposto e conseguenziale, anche non conosciuto dalla ricorrente; b) previa eventuale investitura della Corte di Giustizia Europea circa l’interpretazione ed applicazione della normativa comunitaria descritta in diritto al caso de quo, ai sensi dell’art. 267 Trattato UE, riconoscere il diritto della ricorrente ad essere inquadrata nel ruolo dei ricercatori universitari confermati a tempo indeterminato, con decorrenza dal 01.09.1999 e conseguente condanna dei resistenti al risarcimento dei danni subiti, da commisurarsi al medesimo trattamento giuridico ed economico riconosciuto ai ricercatori confermati, anche ai fini del trattamento di quiescenza e previdenza, con decorrenza dal 01.09.1999; c) in via gradata, ove mai non dovesse essere accolta la domanda di cui alla lett. b) del presente petitum, riconoscere il diritto della ricorrente di percepire il medesimo trattamento giuridico ed economico riconosciuto ai ricercatori confermati, anche ai fini del trattamento di quiescenza e previdenza, con condanna dei resistenti, ex art. 36 comma 5° del D. Lgs. 165/01, al risarcimento del danno derivato dalla prestazione di lavoro in violazione di norme imperative, quantificato nel trattamento economico, assistenziale e previdenziale, differenziale tra quanto percepito e quanto spettante all’istante ex art. 2126 c.c. per l’instaurazione di fatto di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, con decorrenza dalla data di assunzione, oltre ad interessi legali e rivalutazione monetaria; ovvero nella misura maggiore o minore determinata dal Giudice adito; d) condannare i resistenti, tenuto conto della legittima aspettativa di stabilizzazione del ricorrente, al risarcimento dei danni esistenziali subiti dalla dott.ssa Iembo in conseguenza della condotta illegittima ed illecita della Pubblica Amministrazione, da valutarsi in via equitativa ex art. 1226 c.c.; il tutto con vittoria di spese e competenze di giudizio”.
7. A sostegno del ricorso, la dott.ssa Iembo ha articolato le seguenti censure:
– nel caso di specie, in totale violazione della circolare ministeriale del 17.03.1997 (prot. AGC/4.1-7A 678), l’Università della Calabria ha, nella sostanza e di fatto, dato luogo alla creazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato (motivo sub 1);
– violazione del Regolamento di Ateneo per il reclutamento di ricercatori a tempo determinato, il cui art. 13 prescrive testualmente: “1) La durata del contratto, commisurata alla durata del programma di ricerca, di norma, non può essere inferiore a sei mesi né superiore a quattro anni. 2) Il contratto può essere prorogato, con il consenso dell’interessato, per non più di una volta e per un periodo tale che la durata complessiva del rapporto di lavoro non superi i sei anni.” (motivo sub 2);
– la stessa Università resistente ha riconosciuto nella sostanza il rapporto di lavoro per cui è causa come a tempo indeterminato, dal momento che ha sempre utilizzato, negli statini precedenti a quelli impugnati, relativi alle pregresse retribuzioni, la dicitura di “ricercatore non confermato”, rinviando così ad un giudizio di conferma che è prerogativa esclusiva dei ricercatori a tempo indeterminato (motivo sub 2);
– violazione dell’art. 14 della l. 230/05, a mente del quale “i contratti hanno durata massima triennale e possono essere rinnovati per una durata complessiva di sei anni” (motivo sub 3);
– violazione dell’art. 1 del d.lgs. 368/01, dal momento che “trattandosi di rapporto che soddisfa un’esigenza lavorativa istituzionale ordinaria, corrente, immutata da oltre un decennio, tutt’altro che eccezionale o temporanea, ma destinata a soddisfare esigenze permanenti e durevoli del datore di lavoro” (motivo sub 4);
– la tutela risarcitoria “riconosciuta dal legislatore con l’art. 36 del D.Lgs. n. 165/01 non può che essere ritenuta debole e pertanto non conforme al diritto comunitario” (motivo sub 5);
– è giuridicamente inammissibile che un rapporto di lavoro, che ormai dura da oltre 12 anni, venga ostinatamente considerato a tempo determinato (motivo sub 6).
8. Si è costituita in giudizio l’amministrazione intimata, che chiede il rigetto del ricorso.
9. Nella udienza pubblica del 22.01.2019 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
10. Il ricorso è infondato.
10.1. La vicenda in esame deve essere correttamente sussunta nell’ambito del quadro normativo vigente al momento della pubblicazione del bando e della adozione del provvedimento di nomina.
La Circolare ministeriale del 17 marzo 1997, all’esito della ricognizione della normativa in materia, aveva riconosciuto alle Università la “facoltà … di procedere ad assunzioni a tempo determinato” al fine di “favorire l’accesso dei giovani alle attività della ricerca”.
La Circolare definiva la figura del ricercatore a tempo determinato in rapporto alla posizione iniziale dei ricercatori non confermati, in materia di retribuzione, di trattamento economico e dei compiti, con l’esclusione delle attività didattiche.
10.2. E’ in forza della facoltà prevista dalla predetta circolare che l’Università degli studi della Calabria ha stipulato la convenzione con la Provincia di Crotone per l’impiego di due ricercatori a tempo determinato, ed ha quindi pubblicato il relativo bando, e provveduto alla nomina della ricorrente fino al passaggio ad altro ruolo.
10.3. In riferimento a tale vicenda, questo TAR, con sentenze passate in giudicato, ha definitivamente accertato che gli atti adottati dall’Università valgono a perfezionare il diritto della odierna ricorrente “ad essere mantenuta in servizio di ruolo quale ricercatore fino al passaggio ad altro ruolo” (sentenza n. 497/2002), ma non consentono al giudicante di “aggiungere altro ad un già singolare rapporto di lavoro”, non sussistendo i presupposti per attribuire al “rapporto di lavoro una [#OMISSIS#] che non è propria, quale ad esempio quella di ricercatore di ruolo confermato”, dal momento che “anche dal punto di vista dei contenuti delle prestazioni lavorative da rendersi … è evidente che questi sono definiti dalla convenzione, in ragione della quale peraltro sono state condotte le selezioni …”.
10.4. Le predette statuizioni meritano di essere confermate, dal momento che gli atti genetici del rapporto, pur nella loro (invero) infelice formulazione, escludono che il rapporto di lavoro potesse essere riferito al paradigma del rapporto a tempo indeterminato, stante l’espressa volontà di costituire un rapporto di lavoro a termine, o che comunque sussista la possibilità di qualificare il dipendente alla stregua di un “ricercatore di ruolo confermato”, difettando i contenuti propri di tale figura professionale.
10.5. Né la ricorrente può pretendere che venga corrisposto in suo favore il trattamento economico proprio della predetta figura professionale, in mancanza del relativo inquadramento e dello svolgimento delle mansioni proprie della qualifica.
10.6. Parimenti infondate sono le pretese risarcitorie formulate ai sensi dell’art. 36, co. 5, d.lgs. 165/2001, trattandosi di norma sopravvenuta rispetto all’adozione dell’atto di nomina.
10.7. La domanda di risarcimento del danno esistenziale deve essere anch’essa respinta, essendo stata articolata in termini generici e meramente assertivi, e comunque in ragione della mancanza di prova degli elementi costituitivi della fattispecie illecita.
10.8. La particolarità della vicenda giustifica la compensazione delle spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Catanzaro nella camera di consiglio del giorno 22 gennaio 2019 con l’intervento dei magistrati:
[#OMISSIS#] Durante, Presidente
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Referendario
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Referendario, Estensore
Pubblicato il 24/01/2019