N. 00682/2018 REG.PROV.COLL.
N. 00443/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 443 del 2018, proposto da:
[#OMISSIS#] Volpi, rappresentato e difeso dagli avv.ti [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], con domicilio eletto presso lo studio [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] in Giustizia, Pec Registri;
contro
Università di Modena e Reggio Emilia, in persona del Rettore p.t., rappresentato e difeso dagli avv.ti [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], con domicilio eletto presso lo studio [#OMISSIS#] Bragagni in Bologna, Strada Maggiore 31;
Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, in persona del Ministro p.t., rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, anche domiciliataria in Bologna, via Guido Reni, 4;
per l’annullamento
della nota dell’Ateneo del 26 marzo 2018, relativa all’istanza di valutazione ai sensi dell’art. 24, commi 5 e 6, L.. 240/2010 ;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Università di Modena e Reggio Emilia, della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 28 agosto 2018 il dott. [#OMISSIS#] De [#OMISSIS#] e uditi per le parti i difensori [#OMISSIS#] Esposito e [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] per l’Avvocatura distrettuale dello Stato;
Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Il ricorrente, dal 1.11.2002, è un professore associato di Biochimica presso il Dipartimento di Scienze della Vita dell’Università di Modena e Reggio Emilia che ha conseguito la abilitazione scientifica nazionale di prima fascia nel predetto settore scientifico disciplinare.
In data 12.3.2018 ha chiesto all’Ateneo di essere inquadrato nel ruolo dei professori ordinari previa valutazione di cui all’art. 24, comma 5, L. 240/2010, ai sensi del disposto dell’art. 24, comma 6, L. 240/2010.
L’Università resistente rispondeva sottolineando come il conseguimento dell’abilitazione scientifica non costituisce titolo di idoneità né dà alcun diritto relativamente al reclutamento in ruolo o alla promozione presso un’università al di fuori delle procedure previste dagli articoli 18 e 24, commi 5 e 6 che vengono attuate in relazione alle esigenze ed alle compatibilità di bilancio delle singole università.
Il ricorso avverso tale provvedimento formula un unico articolato motivo di ricorso che per lo più è un’indiretta richiesta di sollevare un’eccezione di costituzionalità.
La censura premette un’articolata ricostruzione giuridica della figura del professore associato paragonata alla figura del professore ordinario, ruolo per il quale il ricorrente come indicato in premessa ha ottenuto l’idoneità nazionale, e si sofferma poi sulla figura del ricercatore a tempo determinato di tipo B che, laddove ottenga l’abilitazione come professore di seconda fascia, viene inquadrato tra i professori associati qualora superi la valutazione di idoneità di cui all’art. 24, comma 5, L. 240/2010.
In conclusione, mentre il ricercatore di tipo B, ove abbia conseguito l’abilitazione scientifica nazionale, ha il diritto di essere sottoposto ad una procedura valutativa, il cui esito positivo determina il suo ingresso nel ruolo dei professori associati, questi ultimi, ancorché abbiano conseguito l’abilitazione scientifica nazionale di prima fascia, non hanno alcun diritto di essere valutati ai fini della chiamata nella fascia degli ordinari, sebbene, a differenza dei primi, facciano già parte dello stesso ruolo unico dei professori universitari.
Tale situazione confliggerebbe con l’art. 3 Cost. perché si tratterebbero in modo diseguale situazioni comparabili, con gli artt. 4 e 35 Cost. perché le norme che hanno previsto un simile meccanismo di avanzamento, finiscono per comprimere le legittime aspettative di crescita professionale dei professori universitari.
Si ipotizza anche una violazione degli artt. 9, 33 e 97 Cost. poichè una delle figure principalmente coinvolte nell’attività di ricerca scientifica e di didattica, cioè quella del professore associato, viene svilita da una disciplina che ne subordina l’avanzamento di carriera a valutazioni del tutto discrezionali, nell’an e nel quando, degli atenei, senza che rilevi in alcun modo il merito dell’attività scientifica e didattica da loro svolta. Il professore associato, al contrario del ricercatore di tipo B, si viene a trovare in una posizione di vera e propria soggezione nei confronti del suo Ateneo, soggezione che finisce per impattare negativamente sul grado di libertà con cui egli svolge la sua attività di ricerca scientifica, poiché se l’Ateneo può decidere se e quando chiamarlo come professore ordinario ex art. 24, comma 6, citato, il professore associato versa in una situazione di potenziale subalternità rispetto alla sua struttura di afferenza, nonché rispetto ai professori ordinari del suo settore scientifico disciplinare.
Infine, dopo aver richiamato due direttive comunitarie contrarie alla ritenuta disparità di trattamento, si fa riferimento anche all’art. 2 Cost. perchè la situazione denunciata lederebbe il diritto all’esplicazione della personalità lavorativa all’interno dell’Università.
L’Università di Modena e Reggio Emilia si costituiva in giudizio eccependo preliminarmente la nullità della notifica per essere stato inviato il ricorso ad un indirizzo di posta elettronica diverso da quello inserito nel pubblico elenco tenuto dal Ministero della Giustizia, la carenza di interesse ad agire poiché manca una qualsiasi determinazione dell’Università di attivare e mettere a copertura il posto da professore ordinario per il quale il ricorrente chiede la valutazione; nel merito concludeva per il rigetto del ricorso.
La difesa erariale, nel costituirsi in giudizio, eccepiva l’inammissibilità del ricorso per essere fondato solamente sulla presunta incostituzionalità della normativa attinente al caso di specie senza però richiedere espressamente al giudice di investire della vicenda la Corte Costituzionale; eccepiva altresì la carenza di legittimazione passiva delle Amministrazioni statali evocate in giudizio e concludeva comunque per il rigetto nel merito.
Il Collegio ritiene di soprassedere dall’esame delle eccezioni preliminari poiché il ricorso è infondato, sottolineando solamente che la mancata richiesta di sollevare un incidente di costituzionalità non rende inammissibile il ricorso poiché il giudice può maturare anche di iniziativa siffatta scelta.
E’ fondata in ogni caso la richiesta di estromissione dal giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca in quanto l’Università gode di assoluta autonomia quanto al rapporto di impiego con i professori universitari e gli organi statali evocati non hanno alcuna competenza in materia.
Il ricorso del ricorrente, al di là di una superflua prolissità, può essere ricondotto alla presunta disparità di trattamento tra il professore associato ed il ricercatore di tipo B, una volta conseguita l’abilitazione scientifica nazionale per aspirare al livello immediatamente superiore.
Da un lato sussiste l’automatismo previsto dalla procedura di cui all’articolo 24, comma 5, per l’immissione nel ruolo dei docenti dei ricercatori di tipo B, dall’altro la mera eventualità rimessa a valutazioni di opportunità dell’Ateneo, prevista dalla procedura di cui all’articolo 24, comma 6, per l’immissione nel ruolo superiore per i ricercatori a tempo indeterminato e per i professori associati.
Peraltro il ricorso è ancipite perché se la maggior parte delle argomentazioni tendono a contestare l’illegittimità costituzionale del meccanismo sopraindicato, in controluce vi è l’affermazione dell’esistenza di un diritto soggettivo ad essere valutati nell’Ateneo in cui si presta servizio per i professori associati.
Occorre in primo luogo escludere che dalla normativa richiamata si possa ricavare l’esistenza di un tale diritto.
La riforma attuata con la L. 240/2010, prevede come sistema ordinario per l’accesso al ruolo dei professori universitari il concorso di cui all’art. 18 dopo aver conseguito l’abilitazione scientifica nazionale.
La legge prevede anche forme speciali di reclutamento avendo introdotto nuove figure di docenza come i ricercatori a tempo determinato di tipo B che, dopo aver ottenuto l’abilitazione scientifica nazionale, possono non essere valutati comparativamente, salvo non vi siano più candidati nella medesima condizione.
In particolare, l’articolo 24, comma 5 L. 240/2010 fissa una particolare modalità (cd. Tenure-Track) riservata ai ricercatori titolari del contratto triennale di cui al comma 3, lettera B che abbiano ottenuto anche l’abilitazione scientifica nazionale nel settore di riferimento, con chiamata automatica in ruolo come professore di seconda fascia, nell’ambito delle risorse disponibili.
E’ necessaria, però, una programmazione didattica e finanziaria che ritenga necessaria la copertura di un posto in un dato Settore Scientifico Disciplinare e la valutazione positiva della attività svolta nel triennio dal ricercatore.
Tale previsione risiede è giustificata dalla necessità di trattenere nell’Ateneo il ricercatore che si è formato al suo interno in virtù di un percorso di contratti a tempo determinato che occorre stabilizzare altrimenti non sarebbe ulteriormente possibile trattenere nell’organico dell’Università salvo attendere che siano bandite le procedure di cui all’articolo 18.
Il legislatore vuole trattenere nel sistema, offrendo una prospettiva di carriera, gli studiosi migliori che all’esito di un determinato percorso, in assenza di detta procedura, rischierebbero di uscire dal sistema universitario.
L’altra forma speciale di reclutamento è contenuta nell’articolo 24, comma 6, L. 240/2010 che consente alle Università, solo per un pochi anni, di utilizzare la procedura prevista per i ricercatori a tempo determinato, per chiamare nel ruolo di professori di prima fascia e professori di seconda fascia, i suoi professori di seconda fascia e ricercatori a tempo indeterminato che abbiano conseguito l’abilitazione scientifica, entro un contingente massimo rispetto alla totalità delle assunzioni di professori.
L’Università opera tale scelta nell’ambito delle risorse disponibili e comunque fino alla metà delle risorse equivalenti a quelle necessarie per coprire i posti disponibili di professore di ruolo, sempre che l’utilizzo di tale procedura sia in sintonia con la propria politica di reclutamento.
Quindi non esiste un diritto soggettivo all’assunzione né per il ricercatore a tempo determinato di tipo B, né per il professore associato o ricercatore a tempo indeterminato che possano avvalersi della procedura di cui al citato art. 24.
La censurata disparità di trattamento nasce dalla diversità del rapporto di impiego all’interno dell’Università: a seguito della riforma il ricercatore è sempre uno studioso che ha un rapporto di lavoro a tempo determinato proprio per evitare quella cristallizzazione di rapporti che si era creata in passato con ricercatori che rimanevano permanentemente nel ruolo di partenza con tutta la demotivazione che a lungo ne derivava.
Avendo previsto che il ricercatore è figura con contratto a termine, laddove lo stesso abbia conseguito l’abilitazione scientifica per il livello superiore e l’Università apprezzi il lavoro di ricerca svolto nel corso del rapporto, era necessario consentire allo studioso di permanere nell’ambito dell’Università dove si era inserito positivamente.
Il professore associato gode, invece, di uno status professionale garantito e con l’abilitazione conseguita può partecipare a tutti i concorsi ex art. 18 che vengono banditi per la sua specialità in qualsiasi università italiana.
Il meccanismo di cui all’art. 24, comma 6, suindicato è un’opportunità ulteriore che, però, può essere praticata solo laddove rientri nell’ambito delle scelte di politica del personale dell’Università.
Non sfugge al Collegio che talvolta questi meccanismi discrezionali vengano azionati o meno secondo criteri che tendono ad offrire opportunità ad alcuni negandole ad altri non in base a criteri oggettivi e verificabili, ma le decisioni che questo giudice deve assumere non dipendono dalla patologia del sistema ( se non quando è provata e rileva come eccesso di potere ) ma dalla sua fisiologia.
Non vi è, in conclusione, alcuna illegittimità derivante dalla violazione del canone fondamentale dell’uguaglianza formale e sostanziale: le situazioni poste a confronto sono radicalmente diverse e giustificano la disciplina non sovrapponibile.
In considerazione della particolarità della vicenda e della comprensibile aspettativa del ricorrente si ritiene equo compensare le spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia Romagna, Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, preliminarmente estromette dal giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministri ed il Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, nel merito lo rigetta.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Bologna nella camera di consiglio del giorno 28 agosto 2018 con l’intervento dei magistrati:
[#OMISSIS#] Di [#OMISSIS#], Presidente
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere
[#OMISSIS#] De [#OMISSIS#], Consigliere, Estensore
Pubblicato il 04/09/2018