N. 00191/2017 REG.PROV.COLL.
N. 00293/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna
sezione staccata di Parma (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 293 del 2013, proposto dal prof. [#OMISSIS#] Montepara, rappresentato e difeso dall’avvocato [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] in Parma, borgo Antini, 3;
contro
Università degli Studi di Parma, Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Funzione Pubblica – Ispettorato della Funzione Pubblica, Ministero dell’Economia e delle Finanze – Guardia di Finanza di Roma – Nucleo Speciale Pubblica Amministrazione, in persona dei legali rappresentanti p.t., rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Distrettuale di Bologna, domiciliati in Bologna, via Guido Reni 4;
per l’annullamento
a) della nota prot. n. 23077 dell’11 luglio 2013, trasmessa in data 16 luglio 2013, con cui l’Università degli Studi di Parma comunicava al prof. Montepara l’avvio del procedimento di recupero credito in relazione ai compensi percepiti per gli incarichi extra istituzionali svolti dal docente e il conseguente obbligo di pagamento di € 1.277.857,03;
b) della nota n. 20891 del 25 giugno 2013, della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Funzione Pubblica – Ispettorato per la Funzione Pubblica, conosciuta dal ricorrente solo attraverso il richiamo espresso operato nell’atto di cui al precedente punto a), e comunicata al ricorrente solo in data 2 agosto 2013, a seguito dell’istanza di accesso agli atti dallo stesso presentata in data 25 luglio 2013;
c) del verbale redatto dal Nucleo Speciale Pubblica Amministrazione della Guardia di Finanza di Roma, a seguito di accertamenti eseguiti dal Nucleo Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Parma su delega del Nucleo Speciale Pubblica Amministrazione della Guardia di Finanza di Roma, fatto proprio e richiamato dalla predetta Nota del Dipartimento della Funzione Pubblica;
d) della determinazione implicita di non accogliere l’istanza di autorizzazione “ora per allora” presentata dal ricorrente in data 26 marzo 2012, e successivamente integrata il 22 maggio 2012, come risultante dalla decisione di avviare il procedimento per il recupero delle somme relative ai compensi percepiti dal prof. Montepara per tutti gli incarichi svolti nel periodo 2007-2011, anche quelli per i quali era stata presentata richiesta di autorizzazione in sanatoria;
e) nonché di ogni altro atto a questi connesso, presupposto e consequenziale, ivi comprese le note del 18 marzo 2013 (prot. 9638) e del 22 marzo 2013 (prot. n. 10320) di comunicazione di avvio del procedimento, in quanto richiamate dal provvedimento dell’11 luglio 2013 e da questo sostituite, nonchè il decreto rettorale n. 330/2013 che ha incaricato gli uffici di procedere alle suddette comunicazioni di avvio del procedimento;
infine, della decisione del Rettore di non avvalersi della attività del Collegio tecnico degli esperti per valutare la posizione del prof. Montepara, come risultante dal verbale della Commissione istruttoria per l’autorizzazione degli incarichi extralavorativi del personale universitario del 26 marzo 2013, di cui il ricorrente e venuto a conoscenza in seguito all’accesso del 2 agosto 2013.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Università degli Studi di Parma e delle altre amministrazioni statali difese dall’Avvocatura erariale;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 17 maggio 2017 il cons. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso, spedito per la notifica il 25 ottobre 2013 e depositato il successivo 13 novembre, il professor Montepara impugna il provvedimento n. 23077 dell’11 luglio 2013 contenente la comunicazione di avvio del procedimento di recupero crediti in relazione ai compensi percepiti dal ricorrente per incarichi extra istituzionali.
Espone il ricorrente di avere svolto nel periodo 2007-2011 la propria attività di docenza in regime di impegno a tempo pieno e nel medesimo periodo di avere assunto ed espletato vari incarichi a favore di pubbliche amministrazioni e imprese private, chiedendo l’autorizzazione, ora per allora, in sanatoria, in data 26 marzo 2012, integrando la domanda con istanza del 22 maggio 2012.
Nel gennaio 2012 la Polizia Tributaria della Guardia di Finanza rilevava una situazione di incompatibilità tra l’attività di docente e gli incarichi svolti quali libero professionista in quanto in violazione del dovere di esclusività di cui all’art. 53 d.lgs. 165/2001, con il conseguente obbligo di riversare i compensi e il diritto dell’Università di recuperarli per un importo complessivo pari ad euro 1.277.857,03.
Seguiva l’avvio del procedimento di recupero da parte dell’Università con nota del 18 marzo 2013, che si concludeva con la decisione di procedere al recupero della somma, benché il parere pro veritate richiesto dalla stessa Università avesse concluso per la concedibilità dell’autorizzazione in sanatoria degli incarichi.
Premette, inoltre, il ricorrente che, benché consapevole del fatto che l’atto impugnato è una comunicazione di avvio del procedimento e come tale non immediatamente impugnabile, ritiene di impugnarlo in via cautelativa in quanto contiene la data entro la quale deve essere effettuato il riversamento dei compensi ed è “espressione implicita” della determinazione di rigettare l’istanza di autorizzazione ora per allora degli incarichi svolti.
Avverso il provvedimento impugnato il ricorrente articola i seguenti motivi di doglianza:
1) violazione di legge con riferimento all’art. 10 bis della legge 241/90 ed eccesso di potere per carenza di motivazione, in quanto l’atto gravato non fa riferimento alcuno all’ampia istruttoria svolta, limitandosi a richiamare la nota dell’Ispettorato della Funzione Pubblica che escluderebbe in via generale l’ammissibilità di una autorizzazione postuma;
2) violazione dell’art. 3 della legge 241/90, dei principi in materia di partecipazione procedimentale di cui alla legge 241/90, eccesso di potere sotto il profilo della grave e manifesta illogicità, perplessità dell’azione amministrativa, della disparità di trattamento e della carenza di motivazione, non comprendendosi le ragioni per le quali l’Amministrazione abbia abbandonato l’idea di rivolgersi ad un Collegio di esperti per il solo ricorrente mentre per altri docenti si è seguito l’avviso del parere del Collegio che era quello favorevole alla ammissibilità di una autorizzazione postuma;
3) violazione dell’art. 3 della legge 241/90 e falsa applicazione, in relazione ai presupposti per il rilascio dell’autorizzazione in sanatoria; eccesso di potere sotto il profilo della perplessità dell’azione amministrativa, contraddittorietà manifesta rispetto alle proprie scelte procedimentali con particolare riferimento alla decisione di non tenere conto delle valutazioni espresse (né di motivare sul punto) dal Collegio di esperti di cui pure l’amministrazione aveva deciso di avvalersi per valutare l’ammissibilità dell’autorizzazione ora per allora; eccesso di potere sotto i profili della illogicità, difetto di istruttoria e carenza di motivazione, anche tenuto conto del fatto che l’autorizzazione in sanatoria costituisce prassi consolidata negli atenei;
4) eccesso di potere per illogicità, difetto di istruttoria e di motivazione, sotto il profilo della contraddittorietà rispetto ai precedenti atti autorizzatori rilasciati dalla stessa amministrazione, per grave e manifesta illogicità del comportamento dell’Amministrazione per avere ricompreso negli incarichi sottoposti all’obbligo di riversamento anche quelle attività per le quali l’Università si è già espressa, prendendo atto della assoluta irrilevanza rispetto all’adempimento dei compiti istituzionali, anche alla luce della circostanza che il ricorrente ha sempre adempiuto ai compiti istituzionali, come si ricaverebbe dal Decreto Rettorale n. 620 del 25 maggio 2012, provvedimento che potrebbe assumere il rilievo di una autorizzazione implicita;
5) eccesso di potere sotto il profilo della contraddittorietà tra più atti della stessa Amministrazione: Decreto Rettorale n. 620 del 25 maggio 2012 e nota dell’11 luglio 2013 che contiene il diniego implicito all’istanza di autorizzazione “ora per allora” presentata dal prof. Montepara il 26 marzo ed integrata il 22 maggio 2012; eccesso di potere sotto il profilo della manifesta illogicità, perplessità e confusione dell’azione amministrativa e carenza di motivazione;
6) violazione e falsa applicazione dell’art. 11, comma 4, d.p.r. 382/80, dell’art. 53, comma 6, d.lgs. 165/2001, dell’art. 6, comma 12, legge 240/2010; travisamento dei presupposti per l’applicazione della sanzione, eccesso di potere sotto il profilo della manifesta ingiustizia, illogicità, irragionevolezza e sproporzione, eccesso di potere per carenza di istruttoria e di motivazione, atteso che, in base alla richiamata normativa, il professore universitario in regime di tempo pieno può svolgere, senza alcuna autorizzazione, attività professionale e di consulenza anche a carattere continuativo e con assunzione di incarichi retribuiti. Alcuni degli incarichi per i quali si richiede il recupero sono stati svolti e terminati mentre svolgeva la propria attività di docente a tempo definito e sarebbe stato lo stesso Nucleo della Guardia di Finanza ad affermare che tutti gli incarichi svolti fino al 2007 devono considerarsi compatibili, come anche gli incarichi conferiti in epoca antecedente al passaggio al tempo pieno, con conseguente erroneità dell’importo complessivo per il quale si dispone il recupero;
7) violazione dell’art. 6 della legge 240/2010 ed eccesso di potere per illogicità, applicabile anche retroattivamente ove prevede che il professore a tempo pieno possa svolgere liberamente le attività di consulenza a favore di enti pubblici e di imprese private;
8) violazione dell’art. 11, comma 5 del d.p.r. 382/80, dell’art. 3, comma 3, lett. a) del regolamento dell’Università degli Studi di Parma in materia di attività svolta dal personale docente nell’ambito di rapporti con i terzi, dovendosi escludere l’incompatibilità delle attività comunque svolte per conto di amministrazioni dello Stato, enti pubblici e organismi a prevalente partecipazione statale;
9) violazione e falsa applicazione dell’art. 53, comma 6, d.lgs. 165/2001, dell’art. 6, del regolamento dell’Università degli Studi di Parma in materia di attività svolta dal personale docente nell’ambito di rapporti con terzi, eccesso di potere sotto il profilo della perplessità dell’azione amministrativa, irragionevolezza, dovendosi applicare l’istituto del silenzio assenso anche alla istanza postuma di autorizzazione agli incarichi conferiti da pubbliche amministrazioni;
10) violazione dell’art. 53, co. 6 d.lgs. 165/2001 e dell’art. 6, l. 143 del 2 marzo 1949, eccesso di potere sotto il profilo della illogicità manifesta, sproporzione, in quanto l’Amministrazione ha conteggiato anche l’importo delle fatture di rimborso spese documentate che non andavano autorizzate in base alla normativa di cui all’art. 53, d.lgs. 165/2001;
11) violazione dei principi costituzionali di imparzialità, ragionevolezza, violazione del principio di proporzionalità delle sanzioni, eccesso di potere sotto il profilo della iniquità e della manifesta ingiustizia, nella parte in cui l’Amministrazione universitaria ha indicato nelle comunicazioni impugnate di voler recuperare i compensi percepiti dal prof. Montepara, senza tener conto delle imposte versate.
12) violazione dell’art. 2947 c.c. nella parte in cui le comunicazioni di avvio del procedimento per il recupero delle somme si riferiscono anche ad attività professionali ed incarichi svolti nel 2007 e comunque oltre cinque anni prima della contestazione mossa con le predette comunicazioni;
13) questione di legittimità dell’art. 53, comma 7 e ss., d.lgs. 165/2001, nella parte in cui prevede sanzioni non proporzionate all’interesse pubblico coinvolto, per violazione degli artt. 3, 4, 35 e 41 e 117, comma 1, con riferimento al protocollo 1 della CEDU.
Il 29 novembre 2013 si sono costituiti con memoria di [#OMISSIS#] il Ministro dell’Economia e Finanza, la Guardia di Finanza di Roma – Nucleo speciale per la Pubblica Amministrazione – il Ministero dell’Istruzione, l’Università e la Ricerca, la Presidenza del Consiglio dei Ministri e l’Università degli Studi di Parma, per chiedere il rigetto del gravame.
Con ordinanza n. 215 del 2016 il Presidente del Tribunale chiede acquisirsi dalle intimate Amministrazioni una relazione di chiarimenti nella quale, esposti i fatti di causa (con la relativa documentazione), sia precisato se, successivamente all’adozione dell’atto qui impugnato, siano stati adottati ulteriori provvedimenti o sia mutata la situazione di fatto e di diritto.
L’Università ha ottemperato depositando una relazione e documenti il 28 ottobre 2016.
La Presidenza del Consiglio ha ottemperato il 9 novembre 2016, presentando una Relazione del Rettore dell’Università degli Studi nella quale espone che:
– nelle more dell’avvio del procedimento di recupero da parte dell’Università dei compensi, percepiti senza previa autorizzazione, la Procura Regionale della Corte dei Conti, tramite atto di citazione, notificato all’Ateneo in data 28 maggio 2013, ha avviato azione di responsabilità nei confronti del prof. [#OMISSIS#] Montepara ed il Presidente della Sezione giurisdizionale della Corte dei Conti dell’Emilia-Romagna ha disposto il sequestro conservativo in favore di questa Università sui beni mobili ed immobili e sui crediti di natura retributiva e/o pensionistica del prof. Montepara ed attualmente il giudizio di responsabilità è pendente (allo stato la Sezione avrebbe disposto un supplemento istruttorio per determinare l’esatto ammontare dei compensi);
– non può ritenersi propriamente “avviato” dall’Università un procedimento parallelo di recupero (non valendo allo scopo, per le ragioni dette, la nota rettorale n. 23077/13);
– attesa la pendenza del procedimento avanti alla Corte dei Conti per danno erariale, l’Amministrazione si asterrà dall’intraprendere ulteriori iniziative volte al conseguimento di un titolo esecutivo da azionare contro il dipendente.
Con memoria depositata il 7 aprile 2017 l’Avvocatura Erariale eccepisce l’inammissibilità del ricorso per impugnativa di una mera comunicazione di avvio del procedimento nonché per difetto di giurisdizione del Tribunale adito ai sensi dell’art. 53, comma 7 bis, del d.lgs. 165/2001 come introdotto dalla legge 190/2012.
Segue la replica del ricorrente con memoria depositata il 26 aprile 2017.
Alla pubblica udienza del 17 maggio 2017 il ricorso viene trattenuto in decisione.
DIRITTO
La questione di giurisdizione proposta dall’Avvocatura deve essere risolta a favore del giudice amministrativo.
Oggetto della controversia è il provvedimento di accertamento dei presupposti dell’obbligo di versamento dei compensi percepiti dal dipendente pubblico, di cui alla nota del Rettore dell’11 luglio 2013, attratta alla giurisdizione amministrativa ex artt. 3 e 63, comma 4, del d.lgs. n. 165/2001, stante il regime pubblicistico del rapporto di impiego in questione.
La giurisdizione contabile subentra, infatti, nella fase successiva del procedimento, quando, accertato il credito della p.a., il debitore non abbia provveduto a soddisfarlo (cfr. Tar Puglia, Bari, II 1484/2016).
La previsione normativa di cui al comma 7-bis dell’art. 53 del d.lgs. 165/2001 – secondo cui l’omissione del versamento del compenso da parte del dipendente pubblico, indebito percettore, costituisce ipotesi di responsabilità erariale soggetta alla giurisdizione della Corte dei conti “è destinata a disciplinare una ulteriore fase procedimentale connessa e conseguente al mancato versamento dell’emolumento percepito per attività lavorative non autorizzate dalla p.a.» (così Tar Veneto, Sez. I, 11 novembre 2014, n. 1375).
Una volta riconosciuto all’amministrazione il titolo a richiedere l’adempimento dell’obbligo del versamento dei corrispettivi percepiti, ai sensi della previsione di cui all’art. 53 d.lgs. 165/2001, e ad azionare l’azione monitoria per conseguire detti corrispettivi (cfr. Cass. Civ. sez. un. 19072/2016), ritenere insussistente la giurisdizione del giudice del rapporto di lavoro significa privare di tutela giurisdizionale il debitore, atteso che il procedimento per responsabilità erariale avanti alla Corte dei Conti inizia esclusivamente ad istanza della Procura.
L’eccezione va quindi respinta poiché infondata.
Infondata è altresì l’eccezione di carenza di interesse sull’assunto del carattere non provvedimentale della nota impugnata.
Vero è che nell’oggetto della nota gravata dell’11 luglio 2013 si legge “Comunicazione avvio del procedimento ex lege n. 241/1990”, tuttavia, nel corpo del documento non vi è nessun indizio che si tratti di mera comunicazione infraprocedimentale, quanto piuttosto di una decisione finale in ordine al non accoglimento della domanda di autorizzazione in sanatoria, i.e. postuma, degli incarichi svolti dal 2007 al 2011.
Tra la documentazione allegata dal ricorrente, inoltre, si riscontra la presenza di una precedente nota dell’Università, datata 18 marzo 2013, che reca nell’oggetto “recupero credito. Comunicazione avvio procedimento” ed in allegato il prospetto degli incarichi e delle somme dovute e l’avviso che il destinatario potrà fare pervenire entro 15 gg eventuali osservazioni e documentazione seguita dalla nota ad integrazione del 22 marzo 2013 con la quale si chiede al ricorrente di produrre la documentazione contabile riferita ai compensi percepiti e dichiarati, come riportati nel prospetto allegato alla prima comunicazione.
Nella comunicazione impugnata, inoltre, non vi è nessun accenno alla possibilità che il ricorrente depositi memorie, ma, di contro, si comunica il termine entro il quale dovranno essere effettuati i versamenti delle spettanze.
Il carattere provvedimentale di detto atto è, altresì, confermato dalla successiva corrispondenza.
Nel merito il ricorso è fondato in parte, nei limiti meglio appresso specificati.
1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 10 bis della legge 241/90, con riguardo alle ragioni ostative all’accoglimento dell’autorizzazione in sanatoria presentata.
Il motivo è infondato anche con riguardo al difetto di motivazione in relazione all’attività istruttoria che avrebbe deposto a favore dell’ammissibilità di una autorizzazione postuma.
Nella normativa applicabile, sia di fonte primaria che regolamentare, non trova riscontro l’assunta ammissibilità di una autorizzazione postuma.
Ai sensi dell’art. 53, comma 7, del d.lgs. 165/2001 i dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall’amministrazione di appartenenza.
La norma, in relazione ai professori ordinari, rinvia poi agli statuti e ai regolamenti degli atenei circa la determinazione dei criteri e le procedure per il rilascio dell’autorizzazione.
Il Regolamento di Ateneo, sia quello del 1999 che quello del 2009, oltre a fare espresso riferimento ad una preventiva autorizzazione, non contiene alcuna previsione in ordine alla ammissibilità di una autorizzazione postuma, la quale, peraltro, appare incompatibile con la finalità dell’autorizzazione che è, sempre in base al disposto di cui all’art. 53, comma 7 citato, quella di verificare l’insussistenza di situazioni, anche potenziali, di conflitto di interessi.
Sarebbe un controsenso autorizzare ex post un incarico in base ad un potenziale conflitto di interessi, se si considera, altresì, che il fondamento della disciplina della norma citata deve rintracciarsi negli articoli 97 e 98 della Costituzione, ovvero nelle garanzie di imparzialità, efficienza e buon andamento dei pubblici impiegati che sono a servizio esclusivo della Nazione.
Sussiste in questa materia una presunzione legale di carattere generale in relazione all’incompatibilità degli incarichi esterni con i doveri d’ufficio (in termini, T.A.R. Lombardia, sez. IV, 7 marzo 2013, n. 614).
E’ stato altresì affermato, con argomenti condivisi dal Collegio, che la situazione di incompatibilità deve, conseguentemente, essere valutata in astratto, sul presupposto che la norma mira anche a salvaguardare le energie lavorative del dipendente al fine del [#OMISSIS#] rendimento, indipendentemente anche dalla circostanza che questi abbia sempre regolarmente svolto la propria attività impiegatizia (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 13 gennaio 1999, n. 29).
La ratio della normativa appare coerente con le previsioni di cui all’art. 6 della l. 30 dicembre 2010, n. 240, ove distingue il regime a cui sono sottoposti i docenti a tempo pieno, i quali, a differenza dei docenti a tempo definito, possono accedere ad uffici quali quello di rettore, direttore di dipartimento, coordinatore dei corsi di dottorato di ricerca.
L’art. 6 citato, al comma 10, consente ai professori a tempo pieno di svolgere liberamente attività di valutazione e di referaggio, lezioni e seminari di carattere occasionale, attività di collaborazione scientifica e di consulenza, attività di comunicazione e divulgazione scientifica e culturale, nonché attività pubblicistiche ed editoriali.
Il comma 10 dell’art. 6 prosegue statuendo che: “I professori e i ricercatori a tempo pieno possono altresì svolgere, previa autorizzazione del rettore, funzioni didattiche e di ricerca, nonché compiti istituzionali e gestionali senza vincolo di subordinazione presso enti pubblici e privati senza scopo di lucro, purché non si determinino situazioni di conflitto di interesse con l’università di appartenenza, a condizione comunque che l’attività non rappresenti detrimento delle attività didattiche, scientifiche e gestionali loro affidate dall’università di appartenenza.”
La previsione contiene una locuzione (“previa autorizzazione”) che conferma l’unica collocazione temporale ammissibile delle autorizzazioni del rettore rispetto alle attività ulteriori e diverse dei professori a tempo pieno.
Ne consegue la legittimità del provvedimento impugnato nella parte in cui ha, di fatto, respinto l’autorizzazione postuma, decisione che, contrariamente a quanto assume il ricorrente, risulta adeguatamente motivata con argomenti in linea anche con le posizioni espresse dalla giurisprudenza condivisa dal Collegio sulla materia in discorso.
Il provvedimento impugnato motiva il diniego di autorizzazione postuma richiamando il contenuto della nota del 25 giugno 2013 della Presidenza del consiglio dei Ministri ed evocando il disposto di cui all’art. 53 del d.lgs. 165/2001 alla luce dell’art. 97 Cost. ed evidenziando la ratio della preventiva autorizzazione che esclude in radice l’ammissibilità di una autorizzazione in sanatoria nei casi di cui si discute.
L’ammissibilità, in astratto e per altro genere di autorizzazioni, della valutazione ex post, non compromette la validità degli argomenti qui sposati dall’Amministrazione con riguardo ad autorizzazioni che consentano di derogare all’esclusività del servizio presso la pubblica amministrazione del professore universitario, alla luce altresì delle chiare previsioni normative che regolano lo specifico servizio.
Il contenuto favorevole al ricorrente del Decreto Rettorale n. 620 del 25 maggio 2012, nella parte in cui si riconosce che, nonostante l’attività extraistituzionale svolta come libero professionista, il professore non è venuto meno all’adempimento dei suoi compiti, non costituisce ragione idonea per non applicare la previsione di cui all’art. 53, comma 7, d.lgs. 165/2001, in quanto quest’ultima ha come presupposto lo svolgimento di incarichi non previamente autorizzati e non l’inadempimento dei compiti istituzionali, che semmai può costituire materia per altri procedimenti (di natura disciplinare).
Nessuna contraddittorietà emerge, quindi, dal riconoscimento da parte Rettore, con nota del 25 maggio 2012, del “puntuale e proficuo adempimento dei compiti e degli obblighi lavorativi ed istituzionali da parte del prof. Montepara” nel periodo nel quale svolgeva le attività esterne non autorizzate, atteso che la norma che impone la previa autorizzazione degli incarichi esterni prescinde dalla capacità del singolo di svolgere detti incarichi senza compromettere il normale svolgimento degli obblighi lavorativi.
II buon rendimento in ambito istituzionale non costituisce garanzia alcuna in ordine alla compatibilità degli incarichi esterni e certamente sottrae energie che, ove rivolte nei compiti di istituto, avrebbero ulteriormente avvantaggiato l’Ateneo ed i suoi utenti.
Il Consiglio di Stato ha, poi, di recente precisato che ”il dovere di rispettare la regola per cui – tra gli incarichi non vietati – gli incarichi extraistituzionali consentiti al dipendente (rispetto ai quali quest’ultimo è legittimato a trattenere le relative remunerazioni) sono solo quelli o previamente autorizzati dall’Amministrazione datoriale o quelli dalla stessa direttamente conferiti costituisce interpolativamente (giacchè introdotto per legge) null’altro che uno dei diversi doveri del dipendente che rientrano nel fascio dei suoi obblighi dovuti per effetto del rapporto lavorativo dipendente” (v. CdS VI 4590/2016).
Alla luce di quanto osservato anche il secondo, il terzo, il quarto ed il quinto motivo di ricorso sono infondati e vanno respinti.
Dal combinato disposto dell’art. 11, comma 4, del d.p.r. 382/1980 (Riordinamento della docenza universitaria, relativa fascia di formazione nonché sperimentazione organizzativa e didattica ) nella parte in cui statuisce la compatibilità del regime di impegno a tempo definito “con lo svolgimento di attività professionali e di attività di consulenza anche continuativa esterne e con l’assunzione di incarichi retribuiti ma è incompatibile con l’esercizio del commercio e dell’industria” con la previsione di cui all’art. 53, comma 6, d.lgs. 165/2001 esclude che per gli incarichi professionali svolti da professori universitari a tempo definito sia richiesta la previa autorizzazione.
Ciò premesso, il sesto motivo con il quale si contesta il recupero anche di compensi relativi ad incarichi svolti in costanza di regime di lavoro a tempo definito, è fondato.
Il quadro sintetico riepilogativo riporta il periodo di imposta, ovvero l’anno in cui sono state emesse le fatture e non contiene riferimento alcuno al periodo di svolgimento dell’incarico.
Ne consegue che dagli importi ivi iscritti debbano escludersi quelli riferibili a fatture per prestazioni svolte entro il 23 luglio 2007, data fino alla quale il ricorrente era in regime di tempo definito e poteva svolgere l’attività professionale senza la previa autorizzazione dell’ateneo.
Una conferma dell’erroneità del conteggio delle fatture emesse nel periodo 2007/2011, ma relative ad incarichi svolti e conclusi entro il 23 luglio 2007 si ricava anche dall’accertamento fatto dalla Corte dei Conti (vedi pp. 15-20 della sentenza n. 37/2015 della Sezione giurisdizionale per la regione Emilia Romagna), i cui assunti in ordine alla irrilevanza per la normativa fiscale del periodo in cui l’incarico è stato svolto sono condivisi dal Collegio.
Ciò che rileva ai fini di cui alla presente controversia non è l’anno di imposta del corrispettivo ricevuto, bensì la ben diversa circostanza relativa all’assunzione dell’incarico e al suo svolgimento.
Sono quindi fondate le censure di carenza di istruttoria e di violazione e falsa applicazione dell’art. 11, comma 4, d.p.r. 382/1980, dell’art. 53, comma 6, d.lgs. 165/2001 e dell’art. 6, comma 12, legge 240/2010, nella parte in cui hanno ricompreso nell’importo da restituire anche incarichi assunti e svolti in costanza di regime a tempo definito.
Con il settimo motivo il ricorrente contesta il recupero di corrispettivi che assume rientrare nell’attività di consulenza liberamente esercitabile ai sensi dell’art. 6 comma 10 della legge 240/2010, applicabile anche alle prestazioni rese anteriormente alla sua entrata in vigore.
Si tratterebbe delle fatture relative a consulenze tecniche svolte nell’ambito di procedimenti penali inerenti a procedure di gara.
La norma invocata di cui all’art. 6 citato, al comma 10, consente ai professori a tempo pieno di svolgere liberamente attività di valutazione e di referaggio, lezioni e seminari di carattere occasionale, attività di collaborazione scientifica e di consulenza, attività di comunicazione e divulgazione scientifica e culturale, nonché attività pubblicistiche ed editoriali.
Tale previsione va letta alla luce del divieto di svolgere attività libero professionali senza previa autorizzazione.
Ne consegue che ove “le consulenze” di cui parla il ricorrente non rientrino nelle attività di collaborazione scientifica di cui le consulenze costituiscono una attività strumentale, esse finirebbero per riassorbire la maggior parte delle attività libero professionali soggette a ben diverso regime nel caso di professori a tempo pieno.
La previsione di cui al comma 10, dell’art. 6 della legge 240/2010, costituendo una deroga alla regola generale, deve essere interpretata in modo rigoroso.
Ne consegue che le perizie di parte o d’ufficio nell’ambito dei procedimenti penali, non condividendo con le attività in deroga la essenziale connotazione scientifico-culturale-didattica propria di tutte le prestazioni elencate nella citata disposizione, vanno più correttamente ricomprese nell’ambito delle prestazioni libero-professionali per le quali doveva richiedersi l’autorizzazione.
Con l’ottavo motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 11, comma 5 del d.p.r. 382/80, dell’art. 3, comma 3, lett. a) del Regolamento dell’Università degli Studi di Parma in materia di attività svolta dal personale docente nell’ambito di rapporti con i terzi, ritenendo esclusa l’incompatibilità delle attività comunque svolte per conto di amministrazioni dello Stato, enti pubblici e organismi a prevalente partecipazione statale
Il motivo così come formulato è infondato.
L’art. 11 comma 5 del d.p.r. 382/80 dispone che:
“Il regime a tempo pieno:
a) è incompatibile con lo svolgimento di qualsiasi attività professionale e di consulenza esterna e con la assunzione di qualsiasi incarico retribuito e con l’esercizio del commercio e dell’industria; sono fatte salve le perizie giudiziarie e la partecipazione ad organi di consulenza tecnico-scientifica dello Stato, degli enti pubblici territoriali e degli enti di ricerca, nonché le attività, comunque svolte, per conto di amministrazioni dello Stato, enti pubblici e organismi a prevalente partecipazione statale purché prestate in quanto esperti nel proprio campo disciplinare e compatibilmente con l’assolvimento dei propri compiti istituzionali”.
Atteso che nel caso in questione ciò che rileva non è l’autorizzabilità dell’incarico, quanto la mancata previa autorizzazione dello stesso, non si ravvisa alcuna violazione del disposto richiamato, al pari di quanto previsto dal Regolamento Universitario ove lo stesso non contiene una disposizione derogatrice della necessità di una previa autorizzazione.
A ciò si aggiunga che il comma 8 dell’art. 53, d.lgs. 165/2001 prevede che:
“Le pubbliche amministrazioni non possono conferire incarichi retribuiti a dipendenti di altre amministrazioni pubbliche senza la previa autorizzazione dell’amministrazione di appartenenza dei dipendenti stessi”.
Si ribadisce la necessità di una previa autorizzazione degli incarichi retribuiti.
Con il suddetto motivo il ricorrente ripropone i motivi già sopra scrutinati con i quali si contesta la necessità della previa autorizzazione.
Con il nono motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 53, comma 6, d.lgs. 165/200