TAR  Lazio, Roma, Sez. III, 1 marzo 2017, n. 3001

Professore associato-Riammissione in servizio

Data Documento: 2017-03-01
Area: Giurisprudenza
Massima

Soltanto per effetto della legge  18 giugno 2009, n. 69, e con l’introduzione dell’art. 2 bis nel corpo della legge 7 agosto 1990, n. 241, si è innovativamente aperta la strada alla risarcibilità del danno da ritardo, mentre nell’assetto anteriore l’orientamento giurisprudenziale nettamente prevalente e confermato dall’adunanza plenaria del Consiglio di Stato, 15 settembre 2005, n. 7,  riteneva che il danno da ritardo fosse risarcibile soltanto in caso di adozione tardiva di un provvedimento amministrativo favorevole, escludendo la risarcibilità del danno provocato da ogni altra ipotesi di ritardo; in altri termini, per l’indirizzo seguito fino all’ingresso dell’art. 2 bis cit., occorreva, per il risarcimento dei danni-conseguenza, la prova della spettanza del bene della vita finale (illegittimamente ritardato o mai concesso) a cui il privato aspirava.
 
L’art. 132 del d.p.r. 10.1.1957, n. 3, pur costituendo principio di carattere generale, applicabile anche ai corpi Militari e di polizia oltre che al settore universitario per quanto di interesse nella specie, implica sempre una valutazione ampiamente discrezionale dell’amministrazione circa l’opportunità della riammissione, con particolare riferimento all’effettiva sussistenza di un interesse pubblico ad avvalersi della prestazione lavorativa dell’istante, tenuto conto dell’utilità della prestazione stessa, ai fini del soddisfacimento delle esigenze dell’apparato amministrativo di riferimento (cfr. in tal senso, fra le tante, Cons. Stato, Sz. IV, 25 maggio 1989, n. 343).

Contenuto sentenza

N. 03001/2017 REG.PROV.COLL.
N. 10783/2007 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10783 del 2007, proposto da: 
prof. Isopi [#OMISSIS#], in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati [#OMISSIS#] Farronato e [#OMISSIS#] Mosillo, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. [#OMISSIS#] Farronato in Roma, Piazzale delle Belle Arti, 1; 
contro
Universita’ degli Studi di Roma La Sapienza, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12; 
per l’accertamento
dela nota prot. n. 001827 pos. 2.5.3. del 10.8.2007 a firma del Rettore dell’Università di Roma “La Sapienza” con la quale è stata respinta la domanda risarcitoria del ricorrente
nonché per l’accertamento
del colpevole ritardo della medesima Università sull’istanza di riammissione in servizio presentata il 6.2.2004 dal prof. Isopi e definita in data 1.3.2007;
e per la conseguente condanna
dell’Università intimata al risarcimento di tutti i danni subiti e subendi quali saranno dimostrati in corso di causa ovvero determinati in via equitativa dal Tribunale adito
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Universita’ degli Studi di Roma “La Sapienza”;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 1 dicembre 2016 il dott. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e uditi per le parti i difensori l’Avv. S. Mosillo e l’Avvocato dello Stato O. [#OMISSIS#];
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
In data 6.2.2004 il prof. [#OMISSIS#] Isopi, con istanza prot. 200400440, richiedeva al Magnifico Rettore dell’Università di Roma “La Sapienza” e, contestualmente, al Preside della Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali e al Direttore del Dipartimento di Matematica, di essere riammesso in servizio con la qualifica di professore associato acquisita presso l’Università di Bari presso la quale, a seguito di positivo esito concorsuale, era stato nominato professore associato per il settore scientifico disciplinare A02B ed aveva svolto il triennio di prova concluso il 31.12.2002. Al termine del triennio, pur avendo conseguito la conferma in qualità di professore associato, il ricorrente anziché rimanere in servizio presso quest’ultima Università preferiva riprendere il precedente servizio di ricercatore confermato presso l’Università di Roma “La Sapienza” (dalla quale era stato collocato in aspettativa per tutto il periodo di prova richiesto).
La scelta compiuta comportava la decadenza dal ruolo di professore associato per mancata presa di servizio (ai sensi dell’art. 127, comma 1, lett. c) d.P.R. 10/01/1957, n. 3). Tuttavia il ricorrente, ritenendo pienamente equiparabile la mancata presa di servizio alle dimissioni volontarie, con l’istanza sopramenzionata chiedeva all’Università di Roma “La Sapienza” la riammissione in servizio con la qualifica di professore associato, già conseguita presso la Facoltà di Bari, all’uopo invocando gli artt. 132 d.P.R. n. 3 del 1957 e l’art. 64 del T.U. Università. In subordine, con la stessa nota, l’odierno ricorrente chiedeva di essere richiamato “a ricoprire un posto di Professore di II fascia presso la Facoltà di Scienze Matematiche…in qualità di idoneo”.
Soltanto con nota del 30.12.2004, pervenuta dopo sollecito del ricorrente, il Preside invitava il Direttore del Dipartimento di Matematica a definire l’istanza in esame.
L’istanza del prof. Isopi, tuttavia, restava per lungo tempo inesitata nonostante, nelle more, con nota del 19.1.2006 il Dirigente della Rip. II – Personale de “La Sapienza”, avesse reso un parere favorevole al suo accoglimento sul piano della (astratta) legittimità.
L’Università provvedeva soltanto con decreto rettorale n. 393 del 28 febbraio 2007, a distanza di circa tre anni dalla presentazione dell’istanza, a riammettere in servizio il prof. Isopi con la qualifica di professore associato, con decorrenza dall’1.3.2007.
Il ricorrente, che nel tempo sopra considerato ha continuato a prestare servizio presso l’Università in qualità di ricercatore confermato, lamenta il grave ritardo con il quale è stata definita la sua istanza di riammissione in servizio e chiede, per l’effetto, il risarcimento dei danni subiti in conseguenza di esso, il quale gli avrebbe causato, a suo dire, molteplici pregiudizi, atteso che:
– per tre anni gli è stato impedito di esercitare le funzioni di professore di seconda fascia (danno professionale);
– ha perduto le differenze retributive, maturate nel periodo di ritardo nella definizione dell’istanza, tra quanto avrebbe conseguito a titolo di professore di ruolo di seconda fascia e le minori somme in effetti percepite dall’ Università quale ricercatore universitario;
– ha perduto, altresì, i miglioramenti economici connessi alla perdita del primo scatto biennale automatico;
– non ha potuto accedere al mutuo INPDAP a tasso fisso che gli sarebbe stato assicurato in caso di possesso del maggior reddito da professore di seconda fascia e, conseguentemente, ha subito un danno per maggiori oneri finanziari legati al diverso mutuo contratto, che “orientativamente” il ricorrente quantifica in Euro 40.000,00.
Le somme richieste a titolo di risarcimento delle menzionate voci di danno sono state domandate all’Università resistente con nota del ricorrente del 12.5.2007 ma l’Ente ha ritenuto di respingere ogni richiesta ritenendola infondata con nota del Rettore prot. n. 1827 del 10.8.2007 (impugnata in questa sede), con la quale l’Ateneo ha contestato le pretese del ricorrente adducendo le seguenti ragioni: l’Amministrazione nel decidere sull’istanza di riammissione, oltre a dover procedere all’accertamento dei requisiti oggettivi e soggettivi richiesti dalla legge, possiede un ampio potere discrezionale nella valutazione dell’interesse pubblico ai fini dell’adozione (o non adozione) del provvedimento; in particolare la normativa in materia prevede “che i professori cessati dal servizio per volontarie dimissioni possono essere riammessi su proposta della Facoltà ove le esigenze didattiche lo richiedano”; alla corretta riformulazione dell’istanza nell’ottobre del 2005 (emendata dall’improprio riferimento, oggetto di istanza in via subordinata, alla chiamata come “idoneo”, dal momento che il ricorrente, in realtà, era risultato vincitore di concorso bandito dal Ministero), il Preside della Facoltà provvedeva ad inoltrare la domanda al Direttore del Dipartimento di Matematica per il seguito di competenza; seguivano gli ulteriori passaggi procedimentali e le acquisizioni dei pareri da parte dei diversi organi competenti, dovendosi in ogni caso reperire le necessarie risorse finanziarie ed appurare le esigenze didattiche della Facoltà ai fini dell’ammissione di una nuova figura di docente associato.
Ad avviso del ricorrente, al contrario, le motivazioni addotte dall’Ateneo non potrebbero giustificare il ritardo da qualificare come illegittimo in quanto, di fronte all’istanza del privato, seppur non fondata sulla titolarità di un diritto soggettivo ma di un interesse legittimo pretensivo, era dovere dell’Amministrazione definire l’istanza stessa con provvedimento espresso entro il termine di cui all’art. 2 della Legge n. 241 del 1990 (nel testo all’epoca vigente) e, pertanto, entro gg. 30 ovvero, al massimo, 90 dalla presentazione. Viceversa il provvedimento richiesto è intervenuto dopo un triennio circa, senza che il ritardo possa essere giustificato dall’esigenza di attendere il parere del CUN sul quesito ad esso sottoposto dall’Università, in quanto la “risposta” sarebbe già stata rinvenibile nella normativa di riferimento (in particolare nell’art. 132 T.U. n. 3 del 1957) mentre l’esistenza di concrete esigenze didattiche della Facoltà è desumibile dalle assunzioni di almeno due professori nel periodo in contestazione.
Si è costituita in giudizio per resistere al ricorso l’Università degli studi di Roma “La Sapienza”, la quale contesta la fondatezza delle domande proposte e ribadisce la correttezza del proprio operato.
In vista della pubblica udienza di merito parte ricorrente ha prodotto ulteriori documenti e depositato memoria illustrativa.
All’udienza pubblica del primo dicembre 2016 la causa è stata assunta in decisione.
DIRITTO
La pretesa risarcitoria avanzata dal ricorrente nei confronti dell’Università resistente, come meglio precisato dal medesimo nella memoria illustrativa da ultimo prodotta, viene commisurata, mediante ricostruzione giuridica ed economica della carriera, alle voci retributive già evidenziate nella superiore narrativa, la mancata percezione delle quali viene causalmente rapportata dal ricorrente al “colpevole ritardo” con cui l’amministrazione universitaria avrebbe definito l’istanza di riammissione in servizio a suo tempo presentata dal prof. Isopi ai sensi dell’art. 132 del d.P.R. n. 3 del 1957 e dell’art. 64 del T.U. delle disposizioni legislative e regolamentari sulle Università – secondo cui “L’impiegato con qualifica inferiore a direttore generale, cessato dal servizio per dimissioni o per collocamento a riposo o per decadenza dall’impiego nei casi previsti dalle lettere b) e c) dell’art. 127, può essere riammesso in servizio, sentito il parere del Consiglio di amministrazione” ( art. 132, comma 1, cit.) – dovendosi ritenere la norma applicabile, per estensione analogica, anche all’ipotesi verificatasi nella specie, di decadenza dalle funzioni di professore associato per mancata presa di servizio entro il termine assegnato (da equiparare alla fattispecie delle dimissioni volontarie).
Quanto precede trova conferma nella disposizione di cui all’art. 13, comma 2, della L. 18/03/1958, n. 311, applicabile alla specie “ratione temporis”, secondo cui “I professori cessati dal servizio per dimissioni possono essere riammessi in servizio su proposta di una Facoltà o Scuola entro i limiti dei posti del rispettivo ruolo….”.
In ordine all’applicazione in via analogica delle norme predette all’ipotesi, non testualmente contemplata, di istanza di riammissione in servizio da parte di soggetto decaduto dal ruolo di professore associato per mancata presa di servizio (ai sensi dell’art. 127, comma 1, lett. c), d.P.R. 10/01/1957, n. 3), l’Università manifestava a suo tempo dei dubbi interpretativi occasionati da alcuni casi analoghi al presente che inducevano l’Ateneo a richiedere apposito parere al CUN il quale, con nota prot. n. 179 del 23.2.2005 (all. 4 res.), si esprimeva in termini favorevoli alla riammissione in servizio degli interessati. Lamenta il ricorrente che, se prima di detta data potevano esservi dei dubbi sulla possibilità di accogliere l’istanza dell’odierno ricorrente presentata nel febbraio 2004, gli stessi si dovevano considerare ormai superati una volta pervenuto all’Università il parere del CUN, a cui la stessa Università dichiarava di aderire con la nota della Ripartizione II – Personale del 19.1.2006 (in atti), data, quest’ultima, a decorrere dalla quale il ritardo nel riscontrare l’istanza del prof. Isopi sarebbe del tutto ingiustificato.
Il fatto generatore dei danni lamentati viene individuato dal ricorrente nella ritardata adozione del provvedimento (avvenuta con decreto rettorale del 28.2.2007 (doc. 13 res.), a fronte di una istanza presentata dall’interessato in data 9.2.2004, con colpevole e grave violazione del termine procedimentale di cui all’art. 2 della Legge n. 241 del 1990, secondo il quale, in base alla versione allora vigente, l’istanza presentata avrebbe dovuto trovare una definizione con provvedimento espresso, nel termine di gg. 30 dalla presentazione.
Ad avviso del Collegio la domanda attorea non può trovare accoglimento non essendo stata acquisita al processo la prova della spettanza del “bene della vita” costituito dall’immediata (rispetto alla data dell’istanza) assunzione in servizio nel ruolo di professore associato. Pur potendosi, infatti, aderire alla tesi ricorsuale laddove lamenta il ritardo dell’Amministrazione nella definizione del procedimento, condotta in astratto rilevante ex art. 2 della legge n. 241 del 1990, si deve però osservare, con effetto ostativo all’accoglimento della domanda risarcitoria svolta, che:
a) il diritto ad ottenere il risarcimento del danno da mero “ritardo”, a prescindere cioè da un positivo giudizio sulla spettanza del bene della vita finale (nella specie, la riammissione in servizio nel ruolo di professore associato a seguito di decadenza) non era ancora contemplato dal diritto positivo all’epoca in cui la vicenda in esame ha avuto svolgimento (anni 2004 – 2007) dovendosi rammentare che soltanto per effetto della Legge n. 69 del 2009 e con l’introduzione dell’art. 2-bis nel corpo della Legge n. 241 del 1990 (secondo cui “1. Le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all’art. 1, comma 1ter, sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento”) si è innovativamente aperta la strada alla risarcibilità di questa tipologia di danno, mentre nell’assetto anteriore l’orientamento giurisprudenziale nettamente prevalente e confermato dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 7/2005 riteneva che il danno da ritardo fosse risarcibile soltanto in caso di adozione tardiva di un provvedimento amministrativo favorevole, escludendo la risarcibilità del danno provocato da ogni altra ipotesi di ritardo; in altri termini, per l’indirizzo seguito fino all’ingresso dell’art. 2 bis cit. occorreva, per il risarcimento dei danni-conseguenza, la prova della spettanza del bene della vita finale (illegittimamente ritardato o mai concesso) a cui il privato aspirava;
b) nella specie, se pure è vero che il provvedimento favorevole è stato in ultimo adottato (con il decreto rettorale n. 393 del 28.2.2007), non è stata però fornita dall’interessato, neanche in termini probabilistici e logici (secondo il modello della c.d. prognosi postuma), la prova della sussistenza dei presupposti giuridici e fattuali per l’adozione del provvedimento di ammissione in servizio sin dal febbraio 2004 (data di presentazione dell’istanza) ovvero in un momento comunque anteriore a quello di effettiva adozione del decreto rettorale citato, prova che, a ben vedere, almeno in termini presuntivi, era necessario fornire per poter poi a giusto titolo vantare le voci di danno-conseguenza in questa sede vantate; si osserva infatti che, trattandosi di somme per differenze retributive non conseguite, la pretesa (di natura risarcitoria) delle stesse presupponeva, ex art. 2697 c.c. la prova della “spettanza” della riassunzione in servizio fin dal febbraio 2004 ovvero, quanto meno, in termini meno stringenti sul piano dell’onere probatorio, la produzione di elementi presuntivi tali da lasciar presumere che, fin dal febbraio 2004 ovvero in epoca comunque anteriore all’effettiva riammissione nel ruolo di professore associato, l’Università avesse ritardato in modo ingiustificato e/o irragionevole e, quindi illegittimo alla luce dei principi di imparzialità e buona amministrazione, il rilascio dell’atto favorevole al ricorrente; né le predette prove né le menzionate presunzioni non sono state fornite dal ricorrente.
Quest’ultimo profilo si lega strettamente alla circostanza che le voci di danno lamentate si correlano strettamente all’affermazione, rimasta priva di riscontro probatorio, della spettanza “ab origine” del bene della vita anelato (corrispondente all’interesse pretensivo sostanziale finale) mentre le stesse non possono essere collegate, né causalmente né logicamente, al mero ritardo nella definizione del procedimento con un provvedimento di qualunque tipo (corrispondente all’interesse meramente procedimentale alla tempestività dell’azione amministrativa).
Va detto che la prova richiesta e non fornita dal ricorrente (che cerca impropriamente di surrogarla con la prova del mero ritardo procedimentale nella risposta) si presentava dall’inizio assai problematica se si pensa che, per [#OMISSIS#] seppur risalente indirizzo della giurisprudenza amministrativa, l’art. 132 del D.P.R. 10.1.1957, n. 3 (Testo Unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato), pur costituendo principio di carattere generale, applicabile anche ai Corpi Militari e di Polizia oltre che al settore universitario per quanto di interesse nella specie, implica sempre una valutazione ampiamente discrezionale dell’Amministrazione circa l’opportunità della riammissione, con particolare riferimento all’effettiva sussistenza di un interesse pubblico ad avvalersi della prestazione lavorativa dell’istante, tenuto conto dell’utilità della prestazione stessa, ai fini del soddisfacimento delle esigenze dell’apparato amministrativo di riferimento (cfr. in tal senso, fra le tante, TAR Lazio, sez. I quater n. 5255 del 2007 che, a propria volta cita Cons. St., sez. IV, 25.5.1989, n. 343, 11.12.1998, n. 1783 e 23.9.2003, ord. Cautelare n. 4078; sez. VI, n. 15.5.2000, n. 2787, 4.11.2002, n. 5995 e 24.3.2003, n. 1495; TAR Lombardia, Milano, 25.6.2003, n . 3525; TAR Piemonte, 21.6.2002, n. 1265).
L’indirizzo interpretativo sopra ricordato, in effetti, appare di volta in volta riconducibile a dettati normativi, da cui si evince con chiarezza il carattere non vincolato del provvedimento: per quanto riguarda infatti, sul piano generale, il citato art. 132 T.U. n. 3/1957, la norma dispone che il pubblico dipendente interessato “possa” (e non “debba”) essere riammesso in servizio ove sussistano determinate condizioni; non diversamente, l’art. 13, comma 2, della L. 18/03/1958, n. 311, sopra menzionato, condiziona la (ri-) ammissione in servizio dei professori cessati dal servizio per dimissioni alla “proposta di una Facoltà o Scuola” ed al rispetto dei “limiti dei posti del rispettivo ruolo.” A questo deve aggiungersi, com’è intuitivo, il reperimento della copertura finanziaria dei maggiori costi connessi al passaggio dalla retribuzione di un ricercatore a quella di un professore associato.
Gli elementi forniti dal ricorrente, al riguardo, si sono rivelati del tutto insufficienti in quanto non è risultata, con riferimento all’epoca in cui si è svolta la vicenda in esame, alcun proposta o esigenza didattica (scopertura nel ruolo di interesse) manifestata dalla Facoltà di Scienze Matematiche prima dell’anno accademico 2006/2007.
Non sono state invero neanche allegate, con riguardo agli anni accademici 2004/2005 e 2005/2006, assunzioni o chiamate di docenti alle funzioni ambite dal ricorrente, in quanto non hanno avuto smentita le affermazioni dell’Ateneo nella relazione difensiva in atti secondo cui la Facoltà di Scienze Matematiche, nei periodi citati, non ha indetto in realtà nessun bando mentre la chiamata dei due docenti cui si riferisce il ricorrente (Bassan e [#OMISSIS#] Malgarini) non appare conferente in quanto: si trattava di professori ordinari e non associati come il ricorrente; rifletteva esigenze di organico e didattiche insorte in data anteriore rispetto a quelle relative agli anni accademici nel corso dei quali pendeva l’istanza del ricorrente, trattandosi di chiamate perfezionatasi nel febbraio del 2004 (in esito ad articolati procedimenti anteriori), nel momento in cui l’istanza di riammissione del prof. Isopi era stata appena presentata.
In tale situazione, deve ritenersi che l’Amministrazione, per quanto in ritardo nell’adozione formale di un risposta – che, se nei termini, sarebbe stata con ogni i probabilità negativa – abbia correttamente gestito, nella sostanza, la procedura di riammissione del prof. Isopi, avendo disposto la sua riammissione in servizio soltanto dopo avere positivamente accertato, nell’ambito di una valutazione ampiamente discrezionale, il verificarsi dei presupposti organizzativi, didattici e finanziari per poter procedere alla chiamata dell’odierno ricorrente al ruolo di associato.
La violazione ascrivibile all’Ateneo, per quanto precede, può esser di natura meramente formale-procedimentale (mero ritardo procedimentale nella risposta espressa) e, pertanto, non costituisce condotta causalmente rilevante in ordine al verificarsi delle voci di danno lamentate dal ricorrente, il riconoscimento delle quali presupponeva la ben diversa prova (obbiettivamente non fornita) del “diritto” ad essere riammesso in servizio fin dalla presentazione dell’istanza o, quanto meno, in momento notevolmente anteriore all’adozione del decreto rettorale del 28.2.2007.
Per quanto precede il ricorso deve essere respinto.
La complessità della vicenda e la non tempestiva risposta formale ex art. 2 L. n. 241 del 1990 da parte dell’Ateneo costituiscono motivi sufficienti per disporre l’integrale compensazione delle spese di causa tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 1 dicembre 2016 con l’intervento dei magistrati:
[#OMISSIS#] De [#OMISSIS#], Presidente
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Referendario, Estensore
Pubblicato il 01/03/2017