N. 09842/2018 REG.PROV.COLL.
N. 14695/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 14695 del 2016, proposto da
[#OMISSIS#] Omero, rappresentato e difeso dagli avvocati [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], con domicilio eletto presso lo studio Studio Legale [#OMISSIS#]&[#OMISSIS#] in Roma, via S. [#OMISSIS#] D’Aquino, 47;
contro
Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, Università degli Studi di Messina, Università degli Studi di Catanzaro Magna Graecia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato e presso la medesima domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Cineca non costituito in giudizio;
nei confronti
[#OMISSIS#] Aliu, Gemma [#OMISSIS#] non costituiti in giudizio;
per l’annullamento
– del D.M. del 30 giugno 2016 n. 546 concernente modalità di svolgimento dei test per i corsi di laurea a ciclo unico ad accesso programmato a.a. 16/17 e dei relativi allegati;
– del medesimo D.M. n. 546/16 nella parte in cui dispone che “la prova di ammissione (…) è predisposta dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR) avvalendosi di soggetti con comprovata competenza in materia, individuati nel rispetto dei principi di imparzialità, trasparenza e riservatezza, tenuti al più rigoroso rispetto del segreto professionale”;
– del medesimo D.M. n. 546/16 nella parte in cui dispone che “la prova di ammissione consiste nella soluzione di sessanta quesiti” così distinti “due (2) quesiti di cultura generale; venti (20) di ragionamento logico; diciotto (18) di biologia; dodici (12) di chimica; otto (8) di fisica e matematica”;
l quater) dell’allegato l al medesimo D.M. n. 546/16 nella parte in cui dispone che “il Presidente di commissione redige altresì il verbale d’aula, predisposto secondo il formai messo a disposizione dal MIUR”;
– del diniego ammissione al corso di laurea in medicina e chirurgia e odontoiatria e protesi dentaria per l’a.a. 2016/2017 – diniego accesso agli atti – risarcimento danni;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca e dell’Università degli Studi di Messina e di Università degli Studi di Catanzaro Magna Graecia;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 settembre 2018 il dott. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e uditi per la parte ricorrente l’Avv. S. [#OMISSIS#] e per le Amministrazioni resistenti l’Avvocato dello Stato [#OMISSIS#] [#OMISSIS#].
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con ricorso notificato il 19 dicembre 2016, Omero [#OMISSIS#] ha impugnato, chiedendone l’annullamento (previa misura cautelare), gli atti che hanno determinato la sua mancata ammissione al corso di Laurea Magistrale a Ciclo unico in Medicina e Chirurgia e in Odontoiatria e Protesi Dentaria dell’Università degli Studi di Catania (o, in subordine, presso una delle sedi universitarie che egli aveva indicato in ordine di preferenza), esponendo di avere partecipato, in data 6 settembre 2016, alla prova di ammissione per l’accesso programmato, secondo le disposizioni di cui al D.M. 30 giugno 2016, n. 546 recante “Modalità e contenuti delle prove di ammissione ai corsi di laurea e di laurea magistrale a ciclo unico ad accesso programmato nazionale a.a. 2016/2017”.
2. – Il ricorrente evidenzia di avere conseguito, alla fine della prova, il punteggio di 59,40, classificandosi, su scala nazionale, in posizione non utile per accedere ai corsi presso l’Ateneo prescelto.
3. – Il test di accesso si presentava strutturato su 60 quesiti a risposta multipla, ed il punteggio, secondo l’Avviso di ammissione, avrebbe dovuto essere attribuito ai candidati secondo i seguenti criteri:
– attribuzione di 1,5 punti per ogni risposta esatta;
– sottrazione di 0,4 punti per ogni risposta sbagliata;
– attribuzione di zero punti per ogni risposta non data.
Pertanto, il punteggio massimo attribuibile era pari a 90 punti, e, a parità di punteggio, secondo l’art. 3 del Bando, “nell’odine della graduatoria prevale in ordine decrescente il punteggio ottenuto dal candidato nella soluzione, rispettivamente, dei quesiti relativi agli argomenti di ragionamento logico, cultura generale, biologia, chimica, fisica e matematica”.
4. – L’istante evidenzia che, nel corso della procedura, il MIUR ha rilevato che uno dei quesiti, contrassegnato dal numero 16 nel questionario-tipo predisposto dall’Amministrazione, non presentava una sola risposta corretta (originariamente individuata in quella segnata alla lettera “A”), e, pertanto, ha deciso di attribuire indistintamente a tutti i candidati il punteggio di 1,5 per tale quesito.
Quest’ultimo era del seguente tenore: “Un recente studio ha mostrato che negli ultimi 20 anni il peso medio degli italiani è salito del 5%. Più in particolare, il peso medio dei cittadini del Centro-Nord è cresciuto del 6%, mentre quello dei cittadini del Meridione è cresciuto del 3%. Quale delle seguenti conclusioni può essere dedotta dalle informazioni riportate sopra?”
Le cinque risposte entro le quali i candidati dovevano effettuare la scelta erano le seguenti:
A) “I cittadini del Centro-Nord sono più numerosi dei cittadini del Meridione”;
B) “Alcuni cittadini del Centro-Nord sono immigrati dal Meridione”;
C) I Cittadini del Centro-Nord hanno un peso medio superiore rispetto ai cittadini del Meridione”;
D) “Nessuna delle altre alternative è corretta”;
E) “I cittadini del Centro-Nord sono mediamente aumentati di peso di 3 chilogrammi in più rispetto ai cittadini del Meridione”.
Il ricorrente assume di essere stato pregiudicato da tale scelta ministeriale, asserendo che, in mancanza di questa, “verosimilmente” la graduatoria avrebbe visto una soglia di ammissione più bassa per 1,90 punti (ossia per 1,50 punti attribuiti per la risposta esatta e per la mancata sottrazione di 0,40 punti per la risposta omessa), il che gli avrebbe consentito di superare l’ultimo degli ammessi (peraltro non specificamente individuato).
Questi, infatti, invece dei 59,40 punti conseguiti, avrebbe ottenuto 60,60 punti, di modo che il ricorrente potrebbe ottenere l’ingresso alla facoltà per effetto degli scorrimenti.
Inoltre, sempre in punto di fatto, il ricorrente sostiene l’erronea formulazione della domanda n. 49, deducendo che il quesito in esame per la sua genericità darebbe adito a diverse e corrette interpretazioni e può essere svolto con diversi metodi.
Al termine di tale premessa l’istante sostiene di avere un interesse concreto ed attuale a censurare detti quesiti in quanto, qualora il Collegio ne ravvisasse l’erroneità con l’attribuzione del relativo punteggio, ovvero dei 180 punti richiesti, parte ricorrente raggiungerebbe la soglia di 63.20 punti, superando dunque addirittura la prova di resistenza e raggiungendo l’idoneità come evidenzia in una tabella riassuntiva allegata al ricorso.
5. – Il ricorso, che si estende per 56 pagine (oltre a quelle contenenti le domande) formate da 35 righe ciascuna, consta dei motivi che, per comodità espositiva, possono essere riassunti come segue.
1) Sul quesito n. 16 di cui si è detto al punto n. 4 della presente narrativa:
“Violazione e falsa applicazione dell’art. 97 Cost. e dei principi generali in tema di pubblici concorsi. Eccesso di potere per contraddittorietà con precedente provvedimento. Incompetenza. Violazione del DM n. 54616”.
Il motivo si presenta articolato in più censure.
a) La scelta ministeriale sarebbe errata innanzitutto perché divergente dalle determinazioni assunte dal MIUR, negli anni passati, in presenza della medesima situazione: infatti, nell’edizione 2013 fu deciso di attribuire punteggio a chi avesse scelto due delle possibili soluzioni; invece, nel 20072008 furono attribuiti zero punti a tutti i candidati.
b) Sarebbe stata errata, inoltre, la scelta di intervenire sul quesito soltanto dopo lo svolgimento delle prove, e non prima, così da evitare ai candidati l’effetto di disorientamento dovuto alla presenza di un quesito con più risposte esatte.
c) La attribuzione a tutti i candidati di 1,5 punti per il detto quesito, poi, avrebbe danneggiato chi, come il ricorrente, avrebbe risposto correttamente (secondo la prospettazione in esame) al medesimo.
d) La scelta ministeriale sarebbe poi affetta da incompetenza, non emergendo quale sia stato l’organo che l’ha adottata.
e) Infine, sarebbe stato violato il principio del contrarius actus, in quanto solo le singole Università avrebbero potuto annullare il quesito.
Il ricorso contiene, nel prosieguo, “altre censure non inerenti specifici quesiti ma l’intera struttura del test”, che possono essere riassunte come segue;
2) sulla errata formulazione della domanda n. 49, il ricorrente deduce che il quesito in esame per la sua genericità darebbe adito a diverse e corrette interpretazioni e può essere svolto con diversi metodi.
Nella domanda, infatti, non sarebbe stato specificato “per le sostanze che costituiscono la soluzione (soluto e solvente), né per la temperatura, né per lo stato di aggregazione della stessa soluzione, né si specifica “per una generica soluzione””. Quindi non sarebbe stato arbitrario da parte di chi svolge il quesito considerare, ai fini della risoluzione, come soluto una delle sostanze più comunemente usate nei laboratori chimici, ossia l’idrossido di sodio (NaOH) alle condizioni normali, stabilite in 20°C ed l atmosfera di pressione, e come solvente l’acqua (H2O).
Il quesito in esame sarebbe stato mal formulato: esso darebbe luogo a diversi metodi risolutivi e a diverse conclusioni corrette, non arbitrarie ed egualmente probabili, mentre lo svolgimento avrebbe dovuto portare ad una sola risposta corretta. Il quesito avrebbe dovuto specificare sia lo stato di aggregazione (liquido, o solido, o gassoso) della soluzione e del soluto, sia i componenti del soluto e della soluzione;
3) Violazione e falsa applicazione dell’art. 4, 1° c. L. 2 agosto 1999 n. 264, del DM 54616. Eccesso di potere per illogicità manifesta”.
L’art. 2, comma II, del DM n. 546/2016 prevedeva che i quesiti dovessero vertere su: cultura generale e ragionamento logico; biologia; chimica; fisica e matematica.
Venti di essi riguardavano la logica, che, tuttavia, non è materia di studio nella scuola secondaria superiore; ma se invece che dei quesiti di logica fossero stati somministrate domande di cultura generale, al ricorrente sarebbero stati potenzialmente attribuiti almeno dodici punti in più;
4) violazione e falsa applicazione dell’art. 4, 1° c., l. 2 agosto 1999 n. 264, del d.m. 546/16 e della lex specialis di affidamento della commessa. Eccesso di potere per illogicità e ingiustizia manifesta. Violazione dell’art. 3, 33, 34, 97 Cost e disparità di trattamento.
Delle 53 domande formulate 29 sarebbero già state somministrate in precedenti edizioni di test a programmazione nazionale (qui contestate in numero di 18 che sono quelle a cui, in concreto, parte ricorrente ha erratamente risposto o vi ha omesso);
a) Ventinove dei quiz sottoposti ai candidati, formulati da una società specializzata per conto del MIUR, non sarebbero stati inediti, bensì integralmente tratti da pubblicazioni per la preparazione del concorso che si trovano in comune commercio.
b) Inoltre, sarebbe illegittima la scelta stessa di esternalizzare la confezione della prova, posto che il sistema di redazione del questionario sarebbe stato quello di copiare da testi diffusi in commercio.
E, se i quesiti fossero stati tutti inediti, parte ricorrente, che ha risposto in modo errato o non ha risposto a otto domande “copiate”, avrebbe conseguito 74,20 punti, superando così il test d’accesso;
c) Inoltre, la presenza di domande non inedite avrebbe comportato, per i candidati (compreso il ricorrente) un generale effetto di disorientamento.
5) Violazione e falsa applicazione degli articoli 3 e 6 L. n. 2411990, dell’art. 3 comma II DPR n. 4871994 e dell’art. 6ter del d.lgs. n. 5021992 e degli articoli 3 e 4 L. 2641999. Eccesso di potere per difetto di adeguata istruttoria e congrua motivazione e per illogicità manifesta.
A fronte di una potenziale offerta formativa, per l’anno accademico di riferimento, pari a circa 10.000 posti complessivi in tutta Italia, il MIUR ne ha banditi 9.224.
Tanto contrasterebbe sia con la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’unione Europea (che ritiene prevalente la tutela del bene-salute rispetto all’offerta formativa) che con quella dei Giudici nazionali (in particolare, con la sentenza n. 3831998 della Corte Costituzionale).
In subordine, l’art. 3 della legge n. 2641999 (che impone di tenere conto, nella determinazione dei posti da mettere a concorso, anche del fabbisogno professionale sanitario) sarebbe costituzionalmente illegittimo ove lo si volesse leggere –come nella specie avrebbe fatto il MIUR- nel senso di programmare l’offerta formativa degli Atenei senza tenere conto della necessità di reperire un maggior numero di professionisti.
I parametri costituzionali violati sarebbe gli articoli 2, 32, 33, 34 e 117: quest’ultimo in relazione alla violazione dell’art. 1 del Protocollo CEDU, che disporrebbe, da un lato, l’incomprimibilità del diritto all’istruzione, e dall’altro, che lo Stato si adegui per sopperire al fabbisogno professionale sanitario;
6) Violazione degli articoli 34 e 97 Cost., 46 DPR n. 3941999, del d.lgs. n. 2861998 e della legge n. 2641999. Eccesso di potere per irragionevolezza, difetto di motivazione, contraddittorietà tra provvedimenti del medesimo Ateneo.
Inoltre, sarebbe illegittima la scelta, operata dal MIUR con il DM n. 5462016, di non attribuire ai cittadini comunitari i posti riservati ai cittadini extracomunitari non residenti in Italia rimasti vacanti dagli aventi diritto, in quanto, da un lato, non sarebbe prevista riserva alcuna per i non comunitari (poiché l’art. 46 DPR n. 3941999 si limiterebbe a disporre la previsione di un dato numero di accessi di studenti extracomunitari), e, d’altro lato, in subordine, ove anche si ritenesse esistere una riserva, i posti residui (ossia non occupati da studenti non comunitari) andrebbero ridistribuiti fra gli aspiranti provenienti da Paesi comunitari, posto che, al contrario, sarebbe violato il diritto costituzionalmente garantito allo studio.
In caso di accoglimento di tale censura occorrerebbe, secondo la citata giurisprudenza di altri TAR relativa ad anni accademici precedenti, assegnare i posti residui soltanto a coloro che hanno agito in giudizio, e non a tutti i concorrenti collocati in posizione (divenuta) utile nella graduatoria.
Le successive doglianze contenute nel ricorso, volte ad inficiare l’intera procedura concorsuale, sono svolte in via dichiaratamente subordinata, in quanto parte ricorrente premette alla loro esposizione di avere interesse alla loro decisione solo in caso di rigetto dei motivi che precedono;
7) Violazione e falsa applicazione dell’art. 4, comma 1, della legge n. 2641999 e del DM n. 5462016. Eccesso di potere per illogicità manifesta.
La norma in rubrica non consentirebbe l’esternalizzazione della redazione del test da somministrare ai candidati, sicché l’intera prova si paleserebbe illegittima.
8) Violazione e falsa applicazione dei principi di pubblicità, imparzialità, trasparenza e buon andamento dell’azione amministrativa. Violazione e falsa applicazione della legge n. 2641999. Incompetenza, carenza di potere e violazione del principio dell’autovincolo assunto con la lex specialis.
Altro vizio dell’intero concorso deriverebbe dalla mai intervenuta approvazione dei relativi atti da parte del MIUR;
9) Violazione del principio di segretezza della prova e della lex specialis del concorso. Violazione e falsa applicazione dell’art. 7 del DPR n. 6861957 e dell’art. 14 del DPR n. 4871994. Violazione del DM MIUR del 30 giugno 2016 e del relativo allegato 1. Violazione degli articoli 34 e 97 Cost. e della regola dell’anonimato nei pubblici concorsi nonché dei principi di trasparenza e par condicio. Contraddittorietà tra atti diversi. Eccesso di potere per difetto dei presupposti, arbitrarietà, irrazionalità, travisamento e sviamento dalla causa tipica.
I vizi in rubrica deriverebbero dalla presenza, tra il materiale consegnato ai candidati, di un codice alfanumerico personale, che, al momento di consegna del foglio contenente le risposte e sottoscrizione del registro di uscita, i commissari avrebbero potuto facilmente associare al nome e cognome del candidato cui esso perteneva.
Inoltre, sebbene detti codici fossero composti da 15 cifre o lettere, solo 3, 4 o 5 di esse avrebbero avuto carattere veramente distintivo rispetto agli altri codici, in quanto nei dispositivi alfanumerici sarebbero state presenti delle ripetizioni dovute alla necessità di identificare la sede di esame in cui il candidato aveva sostenuto la prova.
Tali modalità di svolgimento della prova, sarebbero lesive del principio dell’anonimato, sarebbero altresì contrarie al bando di concorso (che prevedeva una urna chiusa sia per le schede anagrafiche che per i fogli contenenti le risposte), perché contemplate soltanto nelle istruzioni diramate ai concorrenti;
10) Violazione e falsa applicazione del DM n. 5462016 e del relativo allegato 1. Violazione del bando di concorso. Violazione degli articoli 3, 4, 34 e 97 Cost. Violazione del principio di paternità della prova di concorso e di trasparenza e par condicio. Eccesso di potere per difetto dei presupposti, arbitrarietà e contraddittorietà, irrazionalità e sviamento dalla causa tipica.
Ove, al contrario di quanto sostenuto nel precedente motivo, si ritenesse che i commissari non abbiano potuto attribuire ogni singolo elaborato ad un dato candidato, risulterebbe leso il principio di paternità delle prova di concorso.
Infatti, nessuno dei commissari avrebbe potuto verificare se, dopo la conclusione della prova, al momento di compilare e sottoscrivere la propria scheda anagrafica e di scegliere una coppia di etichette in una postazione distante dal tavolo della commissione, ciascun candidato abbia riempito il documento anagrafico con le proprie o con altrui generalità;
11) Violazione di legge. Violazione dei principi in materia concorsuale, eccesso di potere per contraddittorietà, illogicità, ingiustizia manifesta, difetto di motivazione e di istruttoria. Violazione del principio di buon andamento dell’azione amministrativa e del favor partecipationis. Lesione del principio del legittimo affidamento. Sviamento di interesse. Violazione degli articoli 1 e 6 della legge n. 2411990.
Il motivo ruota intorno all’ipotesi per cui, dopo la scadenza del termine di conclusione della prova e l’ordine della commissione ai candidati di riconsegnare le penne utilizzate per la redazione del questionario, i partecipanti, durante lo svolgimento di tali operazioni, avrebbero trattenuto le penne per continuare la redazione del test oltre l’orario consentito, oppure, al medesimo fine, avrebbero utilizzato penne differenti da quelle appena riconsegnate.
Inoltre, una ulteriore possibilità di operare sui questionari oltre l’orario consentito sarebbe stata fornita dalla fase di applicazione delle etichette adesive alla scheda anagrafica.
5. – Parte ricorrente ha, quindi, chiesto l’annullamento degli atti gravati, e, in subordine, il risarcimento in forma specifica e, in forma ulteriormente gradata, quello per equivalente, nonché, in sede cautelare, la ammissione con riserva al corso di laurea ambito.
6. – Il MIUR si è costituito in giudizio chiedendo il rigetto del gravame.
7. – Con ordinanza n. 1474 del 24.3.2017 è stata respinta l’istanza cautelare.
Con Decreto monocratico il Presidente della VI Sezione del Consiglio di Stato n. 1362/2017 ha accolto l’appello cautelare e disposto l’immatricolazione del ricorrente al primo anno accademico presso il corso di laurea indicato della Facoltà di Medicina (Messina); il decreto è stato poi confermato con ordinanza collegiale n. 1945/2017 del Consiglio di Stato.
Con ordinanza n. 970/2018 di questa Sezione è stato ordinato al ricorrente di provvedere all’integrazione del contraddittorio verso tutti i candidati in graduatoria.
Il ricorrente ha quindi fornito riscontro alla predetta ordinanza di questo Tribunale n. 970 del 2018, in relazione alla integrazione del contraddittorio.
In occasione della pubblica udienza del 26 settembre 2018 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
Il ricorso è solo parzialmente fondato, nei termini di seguito precisati.
Le contestazioni che investono la procedura concorsuale, infatti, risultano già in buona parte esaminate e respinte da questo Tribunale, in numerose pronunce da cui non si ravvisano ragioni per discostarsi (con conseguente possibilità di attenersi all’art. 74 c.p.a., per una motivazione espressa in forma semplificata: cfr. in tal senso, per il principio, TAR Lazio, Roma, sez. III, 14 novembre 2017, n. 11314 e 20 luglio 2018, n. 8263).
Invero, con riferimento ai primi due motivi, va evidenziato che gli stessi devono ritenersi inammissibili, mirando in sostanza, al di là della elaborazione formale delle censure, a contestare nel merito la formulazione dei quesiti nn. 16 e 49 del test: formulazione riservata in via esclusiva all’apprezzamento dell’Amministrazione, che ha peraltro rappresentato – nella relazione in data 19 settembre 2018 – plausibili ragioni in ordine alle scelte effettuate per il primo di tali quesiti (risultando il secondo genericamente formulato ed escluso pertanto dall’istruttoria).
Non senza considerare come già affermato da questa Sezione (cfr. Sentenza TAR Lazio, n. 10925/2017) che “non compete a questo giudice la soluzione del quesito di cui trattasi, in quanto ogni opzione di scelta, non riconducibile alla volontà Amministrazione, si tradurrebbe in una inammissibile ingerenza nell’apprezzamento di quest’ultima (e, quindi, in eccesso di potere giurisdizionale: cfr., per il principio, fra le tante, Corte di Cassazione SS.UU., 31 maggio 2016, n. 11380). Detto apprezzamento, peraltro, deve ritenersi espressione di una discrezionalità di tipo misto, ovvero in parte tecnica – sulla base di considerazioni di tipo logico/matematico, in cui non è dato rinvenire un’oggettiva erroneità in fatto (dato il margine di ambiguità valutativa sopra descritto) – e
in parte amministrativa, per quanto riguarda la determinazione di escludere detto quesito dalla fase di selezione in corso (per formulazione inidonea a garantire – modo chiaro e non controvertibile – il perseguimento delle finalità della selezione stessa)”.
Con riferimento al terzo motivo, relativo alla scelta di prevedere, da un lato, n.20 quesiti di logica e dall’altro n. 38 domande di biologia, chimica, fisica e matematica, occorre rilevare che le decisioni, inerenti all’articolazione e alla struttura del test, sono state assunte dal Soggetto pubblico sulla base di tipiche valutazioni tecnico-discrezionali, all’evidenza non irragionevoli, come più volte segnalato dalla Sezione (cfr. in ultimo, tra le altre, TAR Lazio, III, n.8779 del 2018, nonché n. 10129 del 2017).
Con riferimento al quarto mezzo, riferito ai quesiti somministrati già editi, in quanto contenuti in manuali di preparazione alla prova, va rilevata – ancora una volta, in conformità a numerosi precedenti della sezione – l’irrilevanza del fatto come ragione di invalidità della procedura, atteso che a tutti i candidati venivano sottoposte lo stesso numero e tipo di domande, senza alcuna differenziazione e che i manuali in questione erano agevolmente rinvenibili in commercio per la preparazione degli studenti, il cui impegno di studio non può essere oggetto di penalizzazione (cfr. per tutte TAR Lazio, III, n.10065 e n.10129 del 2017); non sarebbe, del resto, possibile sapere quali dei candidati fossero, in via ipotetica, a conoscenza dei quesiti e in che misura, quali degli stessi abbiano tratto vantaggio dal fatto in questione e in che modo.
Analitiche ragioni di rigetto sono state esposte, ugualmente, per quanto riguarda la prospettata violazione del principio di anonimato di cui al motivo n. 9 (cfr. ancora TAR Lazio, III, n.10129 del 2017).
Occorre inoltre evidenziare la genericità del quinto motivo, relativo ad un’offerta ministeriale formativa, asseritamente inferiore alle capacità ricettive didattiche degli Atenei, dal momento che non vengono forniti dati sufficienti sul numero di posti da aggiungere all’offerta formativa per pareggiare detta capacità ricettiva, in raffronto alla posizione occupata dall’interessato in graduatoria, tali da consentire al medesimo di essere ammesso ai corsi di laurea in argomento (cfr. in ultimo TAR Lazio, III, n.4626 del 2018). Detto motivo, così come formulato, appare dunque inammissibile.
Le modalità di formazione dei quesiti, validati da esperti del settore, nonché l’approvazione degli atti da parte del Ministero, anche per “facta concludentia”, non appaiono affetti da vizi invalidanti e sono pure stati oggetto di precedenti valutazioni di infondatezza da parte di questo Tribunale.
Quanto agli ulteriori profili di censura denunciati nei motivi n. 10 e 11 si osserva che le circostanze indicate (attinenti alla possibile sostituzione dei candidati e alla mancata consegna della pena all’atto dell’avviso di fine prova) possono – tutt’al più – essere oggetto di accertamento nella competente sede penale, di modo che in assenza di fatti più circostanziati le argomentazione difensive appaiono inammissibili per genericità, ferma restando l’autonoma rilevanza anche in ambito amministrativo di una eventuale, futura pronuncia emessa in sede penale, che accertasse responsabilità individuali o collettive.
Per quanto riguarda, invece, l’utilizzo dei posti destinati agli studenti extracomunitari non residenti lasciati liberi (motivo sub 6), è necessario che la normativa corrispondente vada intesa alla luce del rilievo costituzionale attribuito al diritto allo studio, a norma degli articoli 33 e 34 della Costituzione (cfr. anche, per le ipotesi di cosiddetto “numero chiuso”, Corte Cost. n. 383 del 1998); ne consegue che, ai sensi dell’art.3 della Legge n. 264 del 1999, si deve dare preminenza al criterio della capacità ricettiva dell’Ateneo, rispetto a quello, che può considerarsi recessivo (purché contenuto nei modesti limiti numerici dei posti, rimasti inutilizzati dagli originari riservatari), del fabbisogno di professionalità del sistema sociale e produttivo (cfr. TAR Lazio, Roma, sez. III, n.6248 e n.3197 del
2014, nonché n. 248 del 2018).
Va peraltro considerato, sul punto, che non tutti gli studenti portano a termine il loro corso di studi e che non tutti i laureati esercitano poi la loro professione all’interno del sistema ove si sono formati (cfr. ancora TAR Lazio, III, n. 6248 del 2014 e n. 248 del 2018).
Appare dunque fondata l’impugnazione dell’art. 10, comma 3, secondo capoverso, del decreto ministeriale n. 477 del 28 giugno 2017, secondo cui “I posti eventualmente risultati non coperti, nell’ambito della graduatoria riservata ai candidati cittadini extracomunitari residenti all’estero, non potranno essere utilizzati a beneficio dei candidati cittadini comunitari e non comunitari, di cui all’art. 26 della legge n. 189 del 2002, in quanto appartenenti a contingenti separati e destinati a finalità tra loro distinte, non rientrando i posti riservati ai candidati cittadini extracomunitari residenti all’estero nella programmazione di posti, di cui all’art. 1 della legge n. 264/1999….I posti, eventualmente risultati non occupati nella graduatoria riservata ai cittadini non comunitari residenti all’estero possono essere utilizzati dagli Atenei per i trasferimenti ad anni successivi al primo di studenti di cittadinanza dell’Unione Europea soggiornanti in Italia, ai sensi dell’art. 26 della legge n. 189/2002, nonché studenti iscritti presso una Università italiana, ai sensi dell’art. 46 del DPR 394/1000”.
Detta norma, quale espressione di discrezionalità amministrativa, non appare in effetti ispirata ai parametri di ragionevolezza, sindacabili in sede di giudizio di legittimità, tenuto conto dell’importanza dei principi coinvolti (in primis articoli 33, 34 e 97 della Costituzione) e delle altre circostanze in precedenza segnalate, a fronte dell’alto numero di aspiranti alla professione di medico, anche con buona collocazione in graduatoria, la cui immatricolazione resterebbe preclusa pur in presenza di posti disponibili, certamente ricompresi nelle capacità formative degli Atenei interessati, senza che il numero complessivo di tali posti (circa 200 unità a livello nazionale) possa ritenersi tale da sovvertire l’ulteriore parametro rimesso al discrezionale apprezzamento dell’Amministrazione, per quanto riguarda le potenzialità di assorbimento del sistema sanitario.
Il Collegio non ignora che, con sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, n. 2268/18 del 16 aprile 2018, è stato espresso un diverso orientamento, in quanto l’attribuzione a studenti comunitari dei posti di cui trattasi non troverebbe riscontro a livello normativo primario, come avvenuto – per l’anno accademico 1999/2000 – ex art. 1, comma 2, della legge 27 marzo 2001, n. 133 (Norme relative all’iscrizione ai corsi universitari).
Ad avviso del Collegio stesso, tuttavia, è possibile contrapporre a tale isolato indirizzo nuove argomentazioni, in presenza di numerosissimi provvedimenti cautelari di opposto segno, emessi sia da questo Tribunale che dal medesimo Consiglio di Stato.
Se per l’anno accademico 1999/2000, infatti, l’attribuzione dei posti di cui si discute è stata imposta ex lege, non è comunque escluso che l’Amministrazione possa disporre discrezionalmente di vacanze successivamente individuate, a prescindere dalla causa di tale sopravvenuta disponibilità. Lo stesso D.M. 477/2017 prefigura che i posti, non occupati da studenti extracomunitari, vengano utilizzati, anche se solo per trasferimenti “ad anni successivi al primo”.
Tale scelta limitativa, tuttavia, appare illogica in presenza di una graduatoria di aspiranti medici ancora aperta, nonché in considerazione dell’originaria destinazione dei posti di cui trattasi appunto al primo anno: anno, in rapporto al quale era stata commisurata la capacità formativa degli Atenei e a cui corrisponde la ratio del numero chiuso, per la [#OMISSIS#], riscontrata sovrabbondanza di domande rispetto ai posti disponibili. Il diritto allo studio, di rilevanza costituzionale, impone d’altra parte di contenere nei limiti del possibile il sacrificio delle aspirazioni di soggetti, che siano utilmente inseriti in graduatoria, continuando a manifestare il proprio interesse all’immatricolazione: tale interesse, in quanto meritevole di tutela, può essere subordinato a superiori ragioni di interesse pubblico solo quando l’Ateneo non disponga di risorse sufficienti, per assicurare la formazione di adeguate professionalità, ovvero quando il sistema non risulti effettivamente in grado di assorbire i nuovi professionisti, nonostante il lungo e difficile percorso dai medesimi affrontato. Quanto sopra, ovviamente, in termini di valutazioni preventive e globali, che non escludono “a valle” qualche discostamento: un discostamento che, nel caso di specie, investe non la capacità formativa degli Atenei (trattandosi di posti già per gli stessi previsti), ma solo – e in misura modesta (purché il “tetto” numerico sia rispettato) – le capacità di assorbimento del mercato sociale e produttivo. Discende da quanto sopra esposto l’accoglimento delle argomentazioni difensive, prospettate in rapporto all’irrazionalità della scelta di assegnare i posti, non occupati da cittadini extracomunitari, solo per i
trasferimenti anziché per le più pressanti esigenze dei soggetti, utilmente collocati in graduatoria per l’immatricolazione al primo anno di corso.
Tale accoglimento comporta annullamento, in parte qua, dell’art.10, comma 3, secondo capoverso del D.M. n.477 del 20
TAR Lazio, Roma, Sez. III, 10 ottobre 2018, n. 9842
Data Documento: 2018-10-10
Area:
Giurisprudenza
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