TAR Lazio, Roma, Sez. III, 15 giugno 2015, n. 8376

Università non statali-Natura giuridica

Data Documento: 2015-06-15
Area: Giurisprudenza
Massima

Alle Università c.d. libere non si applica la disciplina in materia di obblighi di trasparenza e pubblicità di cui al decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33.

Ai fini di determinare l’applicabilità o meno di una disciplina legislativa pubblicistica, l’individuazione dell’ente pubblico deve avvenire in base a criteri non “statici” e “formali”, ma “dinamici” e “funzionali”. Ciò implica che il criterio da utilizzare per tracciare il perimetro del concetto di ente pubblico muta a seconda dell’istituto o del regime normativo che deve essere applicato. La nozione di ente pubblico nell’attuale assetto ordinamentale non può, dunque, ritenersi fissa ed immutevole. Non può ritenersi, in altri termini, che il riconoscimento ad un determinato soggetto della natura pubblicistica a certi fini, ne implichi automaticamente e in maniera automatica la integrale sottoposizione alla disciplina valevole in generale per la pubblica amministrazione. Al contrario, l’ordinamento si è ormai orientato verso una nozione “funzionale” e “cangiante” di ente pubblico. La nozione cangiante di ente pubblico impedisce di estendere automaticamente la qualifica pubblicistica riconosciuta a un ente in determinati ambiti, al fine di giustificare automaticamente la sua integrale soggezione alla disciplina di diritto pubblico. Ne consegue che, nel caso di specie, deve essere annullata la delibera dell’ANAC 7 ottobre 2014, n. 144, recante “Obblighi di pubblicazione concernenti gli organi di indirizzo politico nelle pubbliche amministrazioni”, nella parte in cui ha ritenuto che anche le Università c.d. libere (oltre alle Università statali) siano sottoposte alla disciplina in materia di obblighi di trasparenza e pubblicità di cui al d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33, in quanto non rientrano nella nozione di “amministrazioni pubbliche”.

Contenuto sentenza

N. 08376/2015 REG.PROV.COLL.
N. 16571/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 16571 del 2014, proposto da:
Università Cattolica del Sacro Cuore, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti [#OMISSIS#] Bruti Liberati e [#OMISSIS#] Travi, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] in Roma, viale Liegi, 32;
contro
ANAC – Autorità Nazionale Anticorruzione, in persona del Presidente in carica, rappresentata e difesa per legge dall’Avvocatura dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12;
per l’annullamento
– della deliberazione n. 144 del 7 ottobre 2014 recante “obblighi di pubblicazione concernenti gli organi di indirizzo politico nelle pubbliche amministrazioni”.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di ANAC – Autorità Nazionale Anticorruzione;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 3 giugno 2015 il Cons. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e uditi gli avv. [#OMISSIS#] Bruti Liberati e [#OMISSIS#] Travi per l’Università ricorrente e l’avv. dello Stato P. Di Palma per ANAC;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
L’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) ha adottato, in data 7 ottobre 2014, la delibera n. 144/2014 recante “Obblighi di pubblicazione concernenti gli organi di indirizzo politico nelle pubbliche amministrazioni”.
In particolare, la predetta delibera, nell’affrontare una serie di questioni riguardanti la recente normativa in materia di obblighi di trasparenza e pubblicità di cui al decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, ha ritenuto che anche le Università c.d. “libere” (oltre alle Università statali) fossero assoggettate a tale disciplina poiché comprese nella nozione di “amministrazioni pubbliche” di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs n. 165 del 2001 (cfr art. 11 del citato d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33).
Avverso tale delibera n. 144/2014, ha proposto impugnativa l’Università Cattolica del Sacro Cuore, chiedendone l’annullamento nella parte in cui, al paragrafo 4, identifica fra le “pubbliche amministrazioni” tenute a dare attuazione alle disposizioni contenute nel d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33 (come modificato dall’art. 24-bis del decreto legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito nella legge 11 agosto 2014, n. 114) anche le “università non statali legalmente riconosciute” (unitamente all’Allegato 1 contenente la “Elencazione esemplificativa degli organi di indirizzo politico e di amministrazione e gestione in alcune amministrazioni”, per la parte di interesse).
Al riguardo, l’Università ricorrente ha proposto i seguenti motivi:
1) illegittimità della deliberazione impugnata per violazione di legge, in relazione all’affermazione della natura di ente pubblico delle università non statali.
Parte ricorrente contesta la qualificazione in termini di “enti pubblici non economici” delle Università non statali sia per l’assenza di specifiche previsioni normative sia per la mancanza degli indici di pubblicità individuati dalla giurisprudenza che si è occupata della questione.
Ed invero, oltre a non essere qualificate dalla legge come enti pubblici, le università c.d. “libere” sono invece riconosciute dai rispettivi statuti come soggetti privati.
A fronte di tali indicazioni legislative e statutarie, la riqualificazione delle università non statali in termini pubblicistici potrebbe avvenire in base alla teoria, elaborata dalla giurisprudenza, degli indici rivelatori della pubblicità degli enti formalmente privati ovvero, oltre all’istituzione per legge, il fine pubblicistico, il rapporto di strumentalità o di servizio con lo Stato o con un ente territoriale in ragione del quale l’ente è sottoposto a poteri di indirizzo e di controllo, il finanziamento (totale o maggioritario) a carico dell’erario, l’attribuzione per legge di poteri pubblicistici, il carattere necessario dell’ente (nel senso dell’obbligatorietà della sua esistenza).
Tuttavia, gli indici di pubblicità devono essere univoci e prevalenti, come riconosciuto dalla stessa giurisprudenza secondo cui “l’impostazione di tipo formalistico impressa dall’ordinamento alla qualificazione di un ente in termini pubblicistici impone che, in assenza di un’esplicita volontà espressa nell’atto di riconoscimento della persona giuridica, il ricorso ad indici indiretti, rivelatori della natura pubblica, sia condotto con cautela, con la conseguenza che se l’atto costitutivo attribuisce all’ente […] esplicitamente la natura privata, il superamento della volontà consacrata in tale atto può avvenire soltanto allorché tali indici assumano [#OMISSIS#] univoca, tale da superare e prevalere sulla configurazione formale, e ciò anche in ossequio ai principi fondamentali che informano il nostro ordinamento giuridico, il quale garantisce agli individui la libertà di esplicarsi nella società, attraverso la valorizzazione dell’autonomia privata” (TAR Lazio, Sez. II, 19 aprile 2013, n. 3971; Cass. civ., sez. lavoro, 15 dicembre 1999, n. 14129).
Nel caso di specie, invero, i suddetti indici risultano insussistenti (in particolare, l’istituzione per legge o la necessarietà della loro esistenza) e, comunque, non in condizione di ricondurre le università ricorrenti nel perimetro degli enti pubblici (non economici).
Con riguardo poi all’ingerenza ministeriale sulla governance delle università libere, emerge dalle disposizioni statutarie che né al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della ricerca né ad altri enti pubblici nazionali o locali sono attribuiti poteri tali da mutarne la qualificazione in termini pubblicistici. La presenza di rappresentanti ministeriali negli organismi di governo dell’università ricorrente risulta, infatti, decisamente minoritaria e non sarebbe, pertanto, in condizione di alterare le ordinarie dinamiche private di gestione di tali enti.
Con riguardo all’indice del consistente finanziamento pubblico, i beni patrimoniali a disposizione delle università libere provengono da enti promotori e finanziatori nonché dalle “rette” corrisposte dagli studenti iscritti; dai bilanci dell’Università ricorrente, risulta invero che la percentuale dei finanziamenti pubblici rispetto a quelli di provenienza privata non è mai superiore al 10%. Ne deriva quindi che la sussistenza dell’indice di pubblicità del finanziamento pubblico prevalente è da escludere con riferimento all’Università ricorrente;
2) illegittimità della deliberazione impugnata per violazione di legge, in relazione all’affermazione della natura di ente pubblico delle università non statali, con specifico riferimento alle previsioni statutarie dell’Università ricorrente.
L’art. 1 dello Statuto dell’Università ricorrente definisce la stessa come “università non statale, persona giuridica di diritto pubblico, secondo le norme vigenti”.
Tale formulazione è stata peraltro ritenuta di carattere assorbente circa la natura pubblicistica dell’ateneo dalla Corte di Cassazione, SS.UU., n. 14742/2014.
Tuttavia, tale qualificazione è stata il frutto di un’erronea scelta operata in tempi non recenti ma che, tuttavia, non è in grado di determinare la natura giuridica dell’Università ricorrente, a maggior ragione oggi in ragione della vigenza dell’art. 97 della Cost. che pone una riserva di legge per la qualificazione di un ente in senso pubblicistico.
Peraltro, non può avere carattere precettivo l’autoqualificazione effettuata dall’ente stesso, in particolar modo se si considera che l’attribuzione della natura pubblica all’Università ricorrente, essendo connotata sul piano religioso, rischierebbe di scontrarsi con il principio di laicità dello Stato;
3) in via subordinata, illegittimità del provvedimento impugnato per illegittimità costituzionale (per violazione dell’art. 33 Cost.) delle disposizioni di legge vigenti per le università non statali, ove esse vengano interpretate nel senso che comportino la natura di ente pubblico delle Università non statali.
Le disposizioni legislative applicabili alle università non statali, ove interpretate nel senso di attribuire alla ricorrente natura di ente pubblico, sono illegittime per contrasto con l’art. 33 della Costituzione.
Si noti, invero, che la riserva pubblicistica che parte della dottrina ha rilevato con riferimento agli enti di assistenza (IPAB) è stata dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale (cfr sentenza 7 aprile 1988, n. 396) proprio sulla base dell’interpretazione dell’art. 38, ultimo comma, Cost. la cui formulazione è analoga al citato art. 33 Cost..
Ora, anche con riguardo all’istituzione dei centri di istruzione universitaria, l’art. 33 Cost. non stabilisce alcuna riserva pubblicistica; pertanto, se si aderisse all’interpretazione secondo cui la legislazione applicabile alle università non statali (vgs artt. 1 e 199 del regio decreto 31 agosto 1933, n. 1592; art. 1, comma 5, legge 14 agosto 1982, n. 590; art. 1 della legge 29 luglio 1991, n. 243; art.1, comma 2, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165) come quella in tema di pubbliche amministrazioni prevedono una riserva pubblicistica per le università libere, tali disposizioni risulterebbero in contrasto con l’art. 33 Cost.;
4) illegittimità della deliberazione impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 14 e 22, comma 3, del d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33; eccesso di potere per contraddittorietà.
Con tale censura, l’Università ricorrente contesta poi la sua assoggettabilità agli obblighi di pubblicità e trasparenza previsti dall’art. 14 del d.lgs. 14 marzo 2013 n. 33, in quanto prive di organi di indirizzo politico.
Ed invero, posto che le università non statali non sono dotate di organi di indirizzo politico, la norma citata non può trovare applicazione nei confronti di tali enti.
Nei confronti delle università non statali, altresì, non può trovare applicazione neanche l’art. 22, comma 3, d.lgs. n. 33 del 2013 recante la disciplina della pubblicazione nei “siti istituzionali degli enti di cui al comma 1” dei “dati relativi ai componenti degli organi di indirizzo”.
Gli “enti di cui al comma 1” sarebbero, invero, gli enti compresi nell’ambito di applicazione del d.lgs. n. 33 del 2013 (cfr art. 11, comma 2) ma, tra tali enti, non rientrano le università non statali;
5) illegittimità della deliberazione impugnata per illegittimità costituzionale degli artt. 14 e 22, comma 3, d.lgs. 14 marzo 2013 n. 33, per contrasto con gli artt. 3 e 76 della Costituzione.
Laddove dovesse ritenersi corretta l’interpretazione delle predette disposizioni data dall’ANAC, va, anche in questo caso, eccepita l’illegittimità costituzionale di tali norme per violazione dell’art. 76 della Costituzione in relazione all’art. 1, comma 35, lett. c), della legge 6 novembre 2012, n. 190 (“Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”), che – nell’indicare i principi e criteri direttivi per l’esercizio della delega da parte del Governo – limita espressamente gli obblighi di pubblicità ai “dati relativi ai titolari di incarichi politici, di carattere elettivo o comunque di esercizio di poteri di indirizzo politico, di livello statale, regionale e locale”.
Gli artt. 14 e 22, comma 3, d.lgs. n. 33 del 2013, ove interpretati nel senso che gli obblighi di pubblicità si applicano agli organi di indirizzo delle università non statali, sono altresì costituzionalmente illegittimi per violazione del principio di ragionevolezza, in quanto il sacrificio richiesto alla tutela dei dati personali dei titolari degli organi di indirizzo politico potrebbe essere ritenuto “non sproporzionato” laddove si riferisca unicamente a soggetti che ricoprono incarichi politici, di carattere elettivo o comunque di esercizio di poteri di indirizzo politico in quanto, solo nei confronti di questi ultimi, può ritenersi preminente un’esigenza di controllo da parte dei consociati.
In data 14 gennaio 2015, si è costituita l’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), eccependo dapprima l’inammissibilità del ricorso per carenza di interesse e chiedendone comunque il rigetto perché infondato nel merito, in particolare, richiamando le argomentazioni contenute nella sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 5054/2004 che ha qualificato l’Università LUISS quale “ente pubblico non economico”.
Con memoria, l’Università ricorrente ha, a sua volta, insistito per l’accoglimento del gravame.
Alla pubblica udienza del 3 giugno 2015, dopo la discussione delle parti, la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.
DIRITTO
A) Oggetto del giudizio ed esame dell’eccezione di inammissibilità proposta da ANAC. 
1. In via preliminare, va delimitato l’oggetto del presente giudizio, per come emerge dal ricorso introduttivo del giudizio e per come ulteriormente precisato da parte ricorrente in sede di discussione orale durante la pubblica udienza.
2. Al riguardo, va anzitutto chiarito che la delibera ANAC n. 144/2014 riguardante le modalità applicative degli obblighi di trasparenza e pubblicazione previsti dal d.lgs n. 33 del 2013 si riferisce, in via esclusiva, alle “pubbliche amministrazioni” ed, in tale ambito, la predetta delibera richiama espressamente le università non statali legalmente riconosciute (cfr pg. 4 ed allegato 1 della delibera impugnata); ora, che la delibera n. 144/2014 non riguardi, in via generale, tutti gli enti richiamati nell’art. 11 del citato d.lgs n. 33 del 2013 a cui è applicabile la disciplina normativa contenuta nel decreto da ultimo citato è, peraltro, chiarito dallo stesso paragrafo 1. della delibera impugnata laddove si precisa quanto segue: “La presente deliberazione è volta a definire l’ambito soggettivo di applicazione delle disposizioni del decreto n. 33 del 2013 con riferimento alle pubbliche amministrazioni.
La delimitazione dell’ambito soggettivo di applicazione delle stesse disposizioni con riferimento agli enti di diritto privato controllati o partecipati da pubbliche amministrazioni sarà oggetto di distinta deliberazione”.
In estrema sintesi, quindi, la delibera impugnata n. 144/2014 definisce gli obblighi di pubblicazione con riferimento alle “pubbliche amministrazioni” (cfr art. 11, comma 1, del d.lgs n. 33 del 2013) e agli enti di diritto pubblico di cui al successivo comma 2, lettera a) del medesimo decreto, mentre rinvia a successive disposizioni la delimitazione dell’ambito soggettivo di applicazione con riferimento, in particolare, agli enti di diritto privato di cui alla successiva lettera b) dell’art. 11, comma 2, del predetto d.lgs n. 33 del 2013.
3. Ciò premesso, parte ricorrente contesta quindi (primo motivo) la delibera ANAC n. 144/2014 (recante, come detto, “Obblighi di pubblicazione concernenti gli organi di indirizzo politico nelle pubbliche amministrazioni”) nella parte in cui include le Università non statali (ovvero la ricorrente) tra le pubbliche amministrazioni ed, in particolare, tra gli “enti pubblici non economici” ricompresi nella nozione di “amministrazioni pubbliche” di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001.
Ciò, peraltro, è confermato dalla stessa memoria difensiva depositata da ANAC che, nell’individuare la natura giuridica delle Università non statali legalmente riconosciute, le inquadra nella nozione di “ente pubblico non economico” che, a sua volta, è ricompresa nell’ambito delle “amministrazioni pubbliche” di cui al citato art. 1, comma 2, del d.lgs n. 165 del 2001.
Sul punto, l’Autorità resistente richiama, peraltro, quella parte della giurisprudenza che, invero, inquadra le c.d. “università libere” tra gli enti pubblici non economici ed, al riguardo, cita in particolare la sentenza della Cassazione civile, SS.UU., n. 5054/2004 concernente l’Università LUISS.
4. In sintesi, non si tratta in questa sede di chiarire se alle Università non statali siano o meno applicabili le disposizioni contenute nel d.lgs n. 33 del 2013 bensì se le predette Università siano da ricomprendere nella nozione di “pubbliche amministrazioni” di cui all’art. 11, comma 1 (che richiama, a sua volta, l’art. 1, comma 2, del d.lgs n. 165 del 2001) e comma 2 lett. a) del citato decreto.
5. Alla luce di quanto sopra, il Collegio intende, sin d’ora, chiarire che, con la presente decisione, non si tratta di prendere posizione sull’applicabilità o meno alle Università non statali legalmente riconosciute delle disposizioni contenute nel d.lgs n. 33 del 2013 ovvero sulla riconducibilità delle stesse nella nozione di “enti di diritto privato” contenuta nell’art. 11, comma 2, lett. b) del predetto decreto in quanto non è oggetto del presente giudizio (per come sopra chiarito) e sussiste, peraltro, la preclusione di cui all’art. 34, comma 2, del codice del processo amministrativo (CPA) secondo cui “In nessun caso il giudice può pronunciare con riferimento a poteri amministrativi non esercitati”.
Peraltro, risulta che ANAC ha elaborato una schema di delibera recante “Linee guida per l’attuazione della normativa in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza da parte delle società e degli enti di diritto privato controllati e partecipati dalle pubbliche amministrazioni e degli enti pubblici economici”, ancora in fase di consultazione (quindi non ancora approvata), il che conferma la sussistenza della predetta preclusione sancita dal CPA che impedisce al Collegio di spingersi in tale ulteriore indagine sull’applicabilità o meno, in via generale, alle Università non statali legalmente riconosciute delle disposizioni contenute nel d.lgs n. 33 del 2013.
6. Ciò premesso, può ora passarsi ad esaminare l’eccezione di inammissibilità formulata da ANAC ad avviso della quale la delibera n. 144/2014 “sarebbe un atto di natura consultiva, non idoneo ad incidere in modo diretto ed attuale sulla posizione giuridica dei destinatari”.
L’eccezione non può essere condivisa.
La stessa delibera n. 144/2014 prevede, invero, al par. 10, che “L’Autorità eserciterà, a far data dai 30 giorni successivi alla pubblicazione della delibera, i propri poteri di vigilanza sul rispetto degli obblighi di pubblicazione, che comprendono, nei casi di mancata pubblicazione, poteri di ordine alle amministrazioni interessate affinché procedano alla immediata pubblicazione dei dati nei propri siti istituzionali.
Il Presidente dell’Autorità provvede altresì a comunicare, ai sensi dell’art. 19 c. 7 del d.l. n. 90/2014, all’autorità amministrativa competente ad irrogare le sanzioni, l’inadempimento degli obblighi riscontrati ai sensi dell’art. 47 del d.lgs. n. 33/2013, autorità amministrativa che l’Autorità si riserva di individuare con successiva delibera”.
Con delibera n. 10 del 21 gennaio 2015, ANAC, in applicazione di quanto previsto dall’art 47 del d.lgs. 33 del 2013, come modificato dall’art. 19, comma 7, del decreto legge n. 90 del 2014 (che ha attribuito al Presidente dell’ANAC il potere di segnalare “all’Autorità amministrativa di cui all’art. 47 c. 3 del d.lgs. n. 33/2013 le violazioni in materia di comunicazione delle informazioni e dei dati e di obblighi di pubblicazione previsti nel citato art. 47, ai fini dell’esercizio del potere sanzionatorio di cui al medesimo articolo”), ha poi individuato l’autorità amministrativa competente all’irrogazione delle sanzioni relative alla violazione di specifici obblighi di trasparenza di cui all’art. 47 del d.lgs. 33 del 2013.
In particolare, proprio per le violazioni degli obblighi di pubblicazione concernenti i componenti degli organi di indirizzo politico di cui all’art. 14 del d.lgs n. 33 del 2013, l’Autorità resistente ha disegnato un procedimento che prevede una prima fase in cui l’ANAC è il soggetto competente ad avviare il procedimento sanzionatorio per le violazioni di cui all’art. 47, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 33 del 2013, provvedendo all’accertamento, alle contestazioni e alle notificazioni ai sensi degli artt. 13 e 14 della legge n. 689 del 1981 ai fini del pagamento in misura ridotta, e una seconda fase in cui, in caso di mancato pagamento, il Presidente dell’Autorità, ai sensi del citato art. 19, comma 7, del decreto legge n. 90 del 2014, ne dà comunicazione al prefetto per l’irrogazione della sanzione definitiva (ex art. 18 della legge n. 689 del 1981).
A ciò si aggiunga che il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, con nota del 12 febbraio 2015, ha altresì intimato le Università non statali ad adeguarsi a quanto prescritto dalla delibera ANAC n. 144/2014, entro il 24 febbraio 2015, avvertendo che, in caso contrario, non si sarebbe proceduto al “trasferimento delle risorse a favore dell’Istituzione interessata”.
Ora, risulta evidente che gli effetti per l’Università ricorrente del mancato adeguamento agli obblighi di pubblicità di cui al d.lgs n. 33 del 2013 nei tempi e con le modalità indicati dalla delibera n. 144/2014 espone la stessa ai poteri di vigilanza e sanzionatori di cui all’art. 47 del citato decreto ed all’avvio del conseguente procedimento da parte di ANAC, come declinato nella predetta delibera n. 10/2015, nonché al mancato trasferimento delle risorse da parte del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca; ciò rende, pertanto, attuale e concreto l’interesse fatto valere con il ricorso in esame.
B) Normativa applicabile alle Università non statali legalmente riconosciute.
1. Al fine di verificare la natura pubblica dell’Università ricorrente, occorre dapprima richiamare la disciplina generale di riferimento di tali istituti contenuta, in particolare, nel regio decreto 31 agosto 1933 n. 1592, nella legge 9 maggio 1989 n. 168 e nella legge 29 luglio 1991 n. 243.
Con riferimento alla disciplina contenuta nel r.d. 31 agosto 1933, n. 1592 (testo unico delle leggi sull’istruzione superiore), vanno, in particolare, ricordate le seguenti previsioni:
– l’art. 1, anzitutto, prevede che l’istruzione superiore (universitaria) è impartita nelle Università statali e negli Istituti superiori liberi e che le Università e gli Istituti hanno personalità giuridica e autonomia amministrativa, didattica e disciplinare, che è svolta sotto la vigilanza dello Stato (ora Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca);
– l’art. 198 dispone poi che, per appartenere alla categoria degli istituti (non statali) in cui può essere impartita l’istruzione universitaria (o comunque superiore), l’ordinamento di quelle Università e degli Istituti superiori liberi deve essere conforme alle norme del testo unico;
– l’art. 200 prevede, a sua volta, che le Università e gli Istituti superiori liberi devono sottoporre al Ministero competente lo statuto, allegando una motivata relazione ed un documentato piano finanziario, il quale lo approva se, nel suo complesso, risulta rispondente all’interesse generale degli studi e dell’istruzione superiore ed, in particolare, se il piano finanziario sia adeguato al raggiungimento dei fini prefissati. In particolare, poi, il ruolo organico ed il trattamento economico dei professori sono soggetti all’approvazione del Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca di concerto con quello delle finanze (ora dell’Economia e delle finanze);
– l’art. 212, infine, prevede che le Università e gli Istituti superiori liberi o alcune loro Facoltà o Scuole possono essere soppresse quando sia stata accertata l’insufficienza dei mezzi finanziari o del materiale didattico di cui dispongono, ovvero per ragioni inerenti all’interesse generale degli studi o alla distribuzione territoriale degli Istituti di istruzione superiore.
A sua volta, l’art. 6 della legge n. 168 del 1989, in tema di autonomia universitaria, prevede, al comma 1, che “Le università sono dotate di personalità giuridica e, in attuazione dell’articolo 33 della Costituzione, hanno autonomia didattica, scientifica, organizzativa, finanziaria e contabile; esse si danno ordinamenti autonomi con propri statuti e regolamenti”, mentre al comma 2 dispone che “nel rispetto dei principi di autonomia stabiliti dall’articolo 33 della Costituzione e specificati dalla legge, le università sono disciplinate, oltre che dai rispettivi statuti e regolamenti, esclusivamente da norme legislative che vi operino espresso riferimento. È esclusa l’applicabilità di disposizioni emanate con circolare”.
L’art. 1 della legge n. 243 del 1991 prevede poi che “Le università e gli istituti superiori non statali legalmente riconosciuti operano nell’ambito delle norme dell’articolo 33, ultimo comma, della Costituzione e delle leggi che li riguardano, nonché dei principi generali della legislazione in materia universitaria in quanto compatibili”.
Infine, alle Università non statali, con riferimento al personale dipendente, si applicano le norme di cui al d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 e, per quanto riguarda il reclutamento dei docenti, i principi contenuti nella citata legge 30 dicembre 2010, n. 240.
C) Caratteristiche dell’Università Cattolica Sacro Cuore.
Una volta definito l’oggetto del giudizio e richiamata la normativa di riferimento delle università non statali legalmente non riconosciute, è utile, sempre ai fini della individuazione della natura giuridica delle stesse, riassumere i dati caratterizzanti dell’Università ricorrente.
Anzitutto, l’Università Cattolica Sacro Cuore è stata istituita con regio decreto 2 ottobre 1924, n. 1661, con cui è stata riconosciuta appartenente alla categoria di cui al n. 2 dell’art. 1 del R.D. n. 2102 del 1923 ovvero alle “Università e istituti superiori liberi” (previsione poi trasfusa nel RD n. 1592 del 1933).
Con riferimento alla governance, ferma restando la vigilanza sulle università non statali esercitata dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca – MIUR (cit. art. 1 del r.d. n. 1592 del 1933), si ricava dallo statuto che, nel consiglio di amministrazione dell’Università ricorrente (art. 16), composto da 18 membri, siede un solo rappresentante del Governo.
Per quanto riguarda i finanziamenti, risulta poi che l’Università Cattolica Sacro Cuore riceve finanziamenti pubblici non eccedenti il 10% delle risorse a disposizione dell’istituto (provenienti, invece, in via generale, da fonti private ovvero le “rette” degli studenti ed i contributi della Conferenza episcopale italiana).
Ed invero, sebbene l’art. 2 della legge 243 del 1991 preveda che lo Stato possa concedere contributi alle Università ed agli istituti superiori non statali legalmente riconosciuti che abbiano ottenuto l’autorizzazione a rilasciare titoli di studio aventi valore legale, l’ateneo ricorrente è finanziato prevalentemente da enti e soggetti privati.
D) Giurisprudenza in ordine alla natura delle Università non statali legalmente riconosciute. 
Al riguardo, va osservato che, in giurisprudenza, si scontrano due opposte visioni sulla natura delle Università non statali legalmente riconosciute; da un lato, quella che ne riconosce la natura giuridica di “ente pubblico non economico” (cfr, in particolare, Cass. civ., SS.UU., n. 5054/2004) in cui si enfatizzano alcuni aspetti come il fine pubblico, il controllo statale, i poteri certificativi e disciplinari, il valore legale dei titoli di studio, ritenendoli indizi sintomatici di pubblicità.
Alla predetta giurisprudenza si è rifatta in parte anche il giudice amministrativo il quale, con particolare riferimento alla materia delle procedure ad evidenza pubblica, ha ribadito la natura di enti pubblici non economici delle Università non statali ed, in quanto tali, le ha ricomprese nella nozione di “amministrazione aggiudicatrice”, assoggettate quindi al rispetto del codice dei contratti pubblici (vgs, in particolare, Cons. Stato, sez. VI, 16 febbraio 2010, n. 841; vgs anche TAR Lombardia, sez. IV, 6 settembre 2011 n. 2158, sebbene la fattispecie esaminata si riferisca al collocamento in pensione di un professore universitario dell’Università Cattolica del Sacro Cuore).
Allo stesso modo, la Corte dei Conti ha qualificato le Università non statali quali enti pubblici non economici e, perciò, assoggettate alla giurisdizione contabile in materia di danni causati all’ente di riferimento da un professore universitario (cfr Corte Conti, sez. giurisdizionale del Lazio, n. 477/2010).
Dall’altro lato, vi è quella parte della giurisprudenza civile ed amministrativa che, invece, pur riconoscendo la sussistenza di profili pubblicistici nella disciplina che regola le Università non statali, tuttavia non le ritiene tali da far sussumere le stesse nell’ambito degli enti pubblici e renderle pertanto integralmente assoggettate alla disciplina pubblicistica (vgs, in particolare, Cass. civ. sez. lavoro, n. 14129/1999, TAR Lazio, sez. III, n. 351/2005, TAR Lazio, sez. II, n. 3971/2013 e, da ultimo, Cons. Stato, sez. VI, n. 2660/2015).
Da questa giurisprudenza, possono ricavarsi in sintesi le seguenti argomentazioni:
– l’art. 33 Cost. ammette che l’istruzione universitaria possa essere impartita anche da istituti aventi connotazione privatistica;
– l’art. 4 della legge n. 70 del 1975 prevede espressamente che nessun nuovo ente pubblico possa essere istituito se non per legge;
– la volontà legislativa di connotare in termini pubblicistici una persona giuridica può essere esplicata, oltre che con una qualificazione espressa, anche con la previsione di indici sintomatici rivelatori della matrice pubblicistica dell’ente;
– l’impostazione di tipo formalistico impressa dall’ordinamento alla qualificazione di un ente in termini pubblicistici impone tuttavia che il ricorso ad indici indiretti, rivelatori della natura pubblica, sia condotto con cautela, nel senso cioè che gli stessi devono assumere una [#OMISSIS#] univoca, ciò in ossequio ai principi che informano l’ordinamento giuridico, il quale garantisce ai soggetti la libertà di esplicarsi nella società, attraverso la valorizzazione dell’autonomia privata;
– l’indagine in ordine alla natura pubblica di un ente sulla base di specifici indici rivelatori deve, quindi, tendere a garantire ed assecondare le aspirazioni delle figure soggettive, sorte nell’ambito dell’autonomia privata, di vedersi riconosciuta l’originaria natura, nel rispetto della volontà espressa dai fondatori (in questo senso, Corte Costituzionale 24 marzo 1988 n. 396), essendo tale esigenza imposta dal principio pluralistico che ispira nel suo complesso la Costituzione garantendo le iniziative private anche in ambiti di interesse pubblico;
– una lettura costituzionalmente orientata del r.d n. 1592 del 1933, conforme cioè al principio di libertà della scuola di cui all’art. 33, comma 3, Cost., porta ad escludere che l’appartenenza alla categoria di cui al n. 2 dell’art. 1 del predetto decreto implichi per le università libere la qualificazione in termini di persone giuridiche pubbliche che, invero, deve essere caratterizzata da indici più incisivi di pubblicità e comunque diversi da quelli riconducibili al riconoscimento del potere di rilasciare titoli aventi valore legale (vgs, di recente, cit. Cons. Stato, sez. VI, n. 2660/2015 con particolare riferimento all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, nonché all‘Università commerciale Bocconi di Milano ed allo I.U.L.M.).
E) Valutazioni del Collegio in ordine al primo ed al secondo motivo.
1. Ciò posto, la Sezione, consapevole del dibattito e delle difficoltà interpretative riguardanti il tema del riconoscimento della natura giuridica pubblica di alcune tipologie di enti (emblematico è il caso delle c.d. “società pubbliche”), nella fattispecie in esame avente ad oggetto le Università non statali legalmente non riconosciute, ritiene di dover aderire a quel filone giurisprudenziale che non le ritiene tali da farle sussumere nel perimetro degli enti pubblici e, perciò, integralmente assoggettate alla disciplina pubblicistica.
Una premessa, al riguardo, s