TAR Lazio, Roma, Sez. III, 31 marzo 2016, n. 3972

Abilitazione scientifica nazionale-Commissione esaminatrice-Giudizio di merito-Discrezionalità tecnica

Data Documento: 2016-03-31
Area: Giurisprudenza
Massima

Il giudizio della commissione esaminatrice nei concorsi per l’ottenimento della abilitazione scientifica nazionale, essendo essenzialmente un giudizio qualitativo sulla maturità scientifica dei candidati, ed essendo esercizio dell’ampia sfera della discrezionalità tecnica, risulta censurabile unicamente sul piano della legittimità, solo per evidente superficialità, incompletezza, incongruenza, manifesta disparità emergente dalla stessa documentazione, tale da configurare un evidente eccesso di potere, senza con ciò entrare nel merito della valutazione della commissione
 

Contenuto sentenza

N. 03972/2016 REG.PROV.COLL.
N. 06029/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6029 del 2014, proposto da: 
[#OMISSIS#] DOLCE, rappresentata e difesa dagli avv.ti [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e [#OMISSIS#] Lo Pinto, presso lo studio dei quali è elettivamente domiciliata in Roma, Via Vittoria Colonna, 32; 
contro
Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura dello Stato, presso la sede della quale è domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi, 12; 
nei confronti di
[#OMISSIS#] BUZI; 
per l’annullamento
– della valutazione negativa in relazione al conseguimento dell’abilitazione scientifica nazionale alle funzioni di professore universitario di I fascia per il settore concorsuale 10/N1 – Culture del vicino oriente antico, del Medio Oriente e dell’Africa (anno 2012).
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 9 marzo 2016 il Cons. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
La ricorrente – prof.ssa [#OMISSIS#] Dolce – ha presentato la propria candidatura nella procedura per il conseguimento dell’abilitazione nazionale a professore di prima fascia per il settore concorsuale 10/N1 – Culture del vicino oriente antico, del Medio Oriente e dell’Africa, bandita con decreto direttoriale n. 222 del 20.07.2012.
All’esito della valutazione l’istante, pur superando due mediane sulle tre di riferimento, è stata giudicata non idonea ad ottenere l’abilitazione con quattro voti negativi ed uno positivo.
Avverso tale giudizio ha proposto impugnativa la ricorrente, chiedendone l’annullamento, previa sospensione dell’esecuzione, deducendo i seguenti vizi:
1) violazione della legge n. 240 del 2010 e degli artt. 1, 3, 4 e 6 del DM n. 76/2012 e relativi allegati; eccesso di potere per difetto di istruttoria; motivazione contraddittoria e illogica; erroneità dei presupposti; evidente travisamento dei fatti; sviamento di potere; violazione della circolare MIUR dell’11 gennaio 2013.
Le modalità di valutazione del profilo del candidato sono analiticamente delineate nel D.M. n. 76/2012 il quale fornisce una serie di criteri e parametri che la commissione è tenuta ad utilizzare per la formulazione del giudizio di abilitazione.
In questo ambito, assume valore rilevante il riferimento alle mediane in quanto la presenza di un numero adeguato di pubblicazioni è comunque indice del possesso da parte del candidato di significativi risultati scientifici; da ciò deriva che negare l’abilitazione a chi è in possesso delle mediane di riferimento deve costituire un’eccezione.
In ogni caso, il giudizio negativo è illegittimo per difetto di motivazione e palese illogicità in quanto la ricorrente, oltre al superamento di due mediane sulle tre di riferimento, ha ricevuto giudizi comunque positivi sia con riferimento alle pubblicazioni che ai titoli; ciò nonostante, senza alcuna ulteriore motivazione, la valutazione finale è stata di inidoneità.
Ed invero, la monografia ed altre 11 pubblicazioni sono state giudicate buone, 4 lavori “accettabili” e altri 2 “limitati”; altresì, la produzione scientifica, nel suo complesso, è stata giudicata significativa ed innovativa e molti lavori sono stati pubblicati su riviste internazionali.
Ora, a fronte di tali giudizi comunque positivi, non è dato comprendere la ragione del giudizio finale negativo reso nei confronti della ricorrente.
A ciò si aggiunga che la commissione non ha valutato una serie di titoli posseduti dalla ricorrente né ha preso in adeguata considerazione l’attività didattica svolta dall’istante sin dal 1975;
2) illegittimità del giudizio impugnato per illegittimità derivata dal verbale n. 1 della commissione nel punto in cui introduce un parametro di valutazione delle pubblicazioni scientifiche per violazione e falsa applicazione della legge n. 240 del 2010, dell’art. 8, comma 4, del dpr n. 222/2011, degli artt. 3, commi 3, 4 e 6 del DM n. 76/2012 e relativi allegati; violazione della circolare MIUR 11 gennaio 2013; eccesso di potere per violazione del principio di proporzionalità, carenza di motivazione e ingiustizia manifesta.
La commissione, con il verbale n. 1, ha introdotto criteri che si discostano da quelli previsti nel D.M. n. 76/2012 che, peraltro, con riferimento alle pubblicazioni, dispone che debba operarsi la valutazione della produzione scientifica sulla base delle classificazioni indicate nell’allegato D del decreto citato.
La commissione non si è attenuta a tale classificazione bensì ha introdotto altri parametri riferiti agli “standard europei nel settore 10/N1” e all’”eccezionale rilievo scientifico” degli articoli (laddove il candidato, come la ricorrente, avesse pubblicato una sola monografia) che, di fatto, hanno ampliato notevolmente i margini di discrezionalità dei membri dell’organo collegiale, non consentito dalla normativa applicabile alla procedura di che trattasi;
3) violazione e falsa applicazione della legge n. 240 del 2010, del dpr n. 222/2011 e del DM n. 76/2012; eccesso di potere in tutte le figure sintomatiche; illegittimità del giudizio per illegittimità derivata dal DD n. 21 del 7 gennaio 2013 con cui è stata nominata la commissione nel settore concorsuale 10/N1.
I provvedimenti di nomina della commissione sono illegittimi in quanto non risulta che il membro OCSE abbia un’adeguata conoscenza della lingua italiana; peraltro, i lavori più significativi sono in lingua italiana a differenza di quelli redatti in lingua inglese;
4) illegittimità del giudizio impugnato per illegittimità derivata dall’illegittima composizione della commissione per violazione del dpr n. 222/2011 e del DD n. 181/2012.
Il prof. Cereti non poteva far parte della commissione in quanto, alla data della nomina, non risultava “in servizio” presso l’Università di Roma “La Sapienza” essendo distaccato presso l’Ambasciata italiana a Teheran quale “addetto alla sezione culturale”, con ciò violando l’art. 3 del D.D. n. 181/2012.
Il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca si è costituito in giudizio, chiedendo il rigetto del ricorso perché infondato nel merito.
Con ordinanza n. 4269/2014, è stata respinta la domanda cautelare.
In prossimità della trattazione del merito, parte ricorrente ha depositato memoria, insistendo per l’accoglimento del ricorso.
All’udienza pubblica del 9 marzo 2016, la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.
DIRITTO
1. Va, anzitutto, respinto il primo motivo con cui la ricorrente deduce che, nel conseguimento dell’abilitazione di che trattasi, assume valore dirimente il riferimento alle mediane.
1.1 Al riguardo, va in via preliminare ribadito che, nelle procedure di abilitazione, per giurisprudenza [#OMISSIS#], il giudice amministrativo ha il potere di sindacare in sede di legittimità le valutazioni espresse dalle commissioni giudicatrici in sede di concorso o di esame, solo laddove le stesse risultino ictu oculi affette da eccesso di potere per illogicità o irrazionalità, ovvero per travisamento dei fatti, posto che l’esame che il giudice deve compiere attiene alla coerenza logica (per così dire “intrinseca”) del giudizio operato dalla commissione giudicatrice, così valutandone la intrinseca logicità/ragionevolezza, non potendo sostituire al giudizio già espresso un proprio, differente giudizio (evidentemente frutto di diversi criteri valutativi) che invero si tradurrebbe in una non consentita espressione di sindacato nel merito dell’attività amministrativa (in tal senso, Cons. Stato, sez. IV, 2 novembre 2012, n. 5581).
Il giudizio della commissione esaminatrice nelle valutazioni di cui trattasi, essendo essenzialmente un “giudizio qualitativo” sulla maturità scientifica dei candidati ed attenendo all’ampia sfera della discrezionalità tecnica, risulta censurabile – sul piano della legittimità – solo per evidente superficialità, incompletezza, incongruenza, manifesta disparità emergente dalla stessa documentazione, in modo tale da configurare un evidente eccesso di potere, senza con ciò entrare nel merito della valutazione della commissione. La presenza, poi, di un elevato tasso di discrezionalità – per ineliminabile variabilità di apprezzamenti nel formulare i giudizi, che richiedono conoscenze ad elevato livello di complesse discipline – esclude che si possa applicare l’intero corpus delle regole tipiche dei concorsi per l’assunzione nel pubblico impiego e, in genere, delle procedure valutative complesse. E’, quindi, consentito soltanto verificare l’esistenza di un coerente sviluppo fra le fasi procedurali della selezione, nel senso che la scelta finale della commissione non appaia in contraddizione con gli elementi emergenti dalle varie fasi in cui si è articolato il procedimento selettivo; di talchè la valutazione della commissione esaminatrice, in quanto inerente ad un “giudizio qualitativo” sulle esperienze e sulla preparazione scientifica dei candidati, può essere dichiarata illegittima solo ove si riscontrino macroscopiche carenze nella motivazione o nei prestabiliti criteri di valutazione ovvero nei contenuti di ragionevolezza e proporzionalità della decisione” (per tutte, Cons. Stato, sez. VI, n.5608/2006).
1.2 Ora, applicando alla fattispecie in esame le suesposte coordinate ermeneutiche, ritiene il Collegio che la valutazione della commissione non sia affetta, in modo macroscopico, dai dedotti vizi di irragionevolezza ed illogicità in quanto il giudizio finale mostra un’analiticità tale da far comunque comprendere la ragioni di una valutazione negativa nel senso che, seppure non vi sia dubbio che si tratti di un giudizio opinabile, tale opinabilità non viola i canoni di legittimità tipici del sindacato sulla discrezionalità tecnica.
Non bisogna, invero, dimenticare che si tratta del conseguimento dell’abilitazione per poter poi aspirare al titolo di professore di prima fascia e che la normativa di settore (cfr, in particolare, l’art. 4 del D.M. n. 76/2012) richiede, per concedere l’abilitazione, l’accertamento della “piena maturità scientifica” del candidato, il che necessita di un esame approfondito e, per questo, altamente tecnico quanto opinabile.
Nel caso di specie, è stato ritenuto che la ricorrente, pur avendo superato due mediane sulle tre di riferimento e presentato pubblicazioni comunque apprezzate dalla commissione, non avesse ancora raggiunto la piena maturità necessaria per essere abilitata alla prima fascia; in particolare, la commissione ha ravvisato che la produzione scientifica, seppure apprezzabile, non raggiungesse i livelli di qualità dalla stessa predeterminati per il conseguimento dell’abilitazione di che trattasi (siccome per i titoli, relativamente al possesso di una sola monografia da parte della ricorrente, che non rispettava il criterio predeterminato dalla commissione e di cui si dirà infra nell’ambito dell’esame del secondo motivo).
Si tratta, invero, di valutazioni di carattere tecnico che non sono sindacabili dal giudice amministrativo, anche volendo accedere all’orientamento che ritiene superata l’equazione che assimilava la discrezionalità tecnica al merito insindacabile (con la conseguenza che il sindacato giurisdizionale sugli apprezzamenti tecnici della amministrazione può ora svolgersi non in base al mero controllo formale ed estrinseco dell’iter logico seguito dall’autorità amministrativa, bensì alla verifica diretta dell’attendibilità delle operazioni tecniche sotto il profilo della loro coerenza e correttezza, quanto a criterio tecnico ed a procedimento applicativo – al riguardo, tra le tante, Cons. Stato, sez. VI, 6 maggio 2014, n. 2295; 18 agosto 2009, n. 4960 e 28 aprile 2009, n. 4960).
Tuttavia, anche aderendo a tale orientamento (evidentemente idoneo ad ampliare i margini valutativi rimessi all’organo giudicante e i relativi poteri di vaglio in sede giudiziale), non può giungersi sino al punto di ammettere che l’autorità giudiziaria – sotto l’asserita egida del vaglio sull’esercizio della discrezionalità tecnica – possa spingersi sino a sostituire le proprie valutazioni di merito rispetto a quelle espresse dagli organi amministrativi a ciò deputati, in quanto ciò significherebbe demandare al giudice la stessa valutazione dei candidati (da ultimo, Cons. Stato, sez. VI, 10 settembre 2015, n. 4219).
Nel caso di specie, la ricorrente, peraltro non contestando in radice il criterio predeterminato del “raggiungimento di risultati scientifici di rilevante qualità ed originalità” (cfr verbale n. 1 del 20 febbraio 2013), confuta l’approccio della commissione che non avrebbe considerato il superamento di due mediane sulle tre di riferimento ed il giudizio comunque sostanzialmente positivo sulle pubblicazioni (in parte giudicate buone, in parte accettabili e, per il resto, limitate); ora, è evidente che una valutazione diversa da parte del Collegio del giudizio della commissione non avrebbe altro effetto che sostituirsi all’organo collegiale utilizzando un diverso parametro tecnico di valutazione, per sua natura opinabile, in un settore peraltro di stretta competenza (dal punto di vista scientifico) dei membri della commissione stessa.
Si tratterebbe, in sintesi, di contrapporre opinabili giudizi di merito a quelli espressi dalla commissione giudicatrice: operazione che, come già detto, non è consentita nell’ambito del giudizio amministrativo (Cons. Stato, sez. V, 6 maggio 2015, n. 2269 e 22 gennaio 2015, n. 284), a maggior ragione nei casi in cui non si contesti, come nella situazione in esame, il criterio di valutazione predeterminato dall’organo collegiale.
Né può ritenersi dirimente la circostanza del possesso di due mediane sulle tre di riferimento in quanto, oltre ad indicare un parametro meramente quantitativo che non esaurisce il campo di giudizio della commissione (che, invero, deve poter fondare la valutazione sugli aspetti qualitativi della produzione scientifica in linea con la normativa applicabile alla fattispecie in esame – dpr n. 222/2011 e art. 4 DM 76/2012), la commissione, nell’ambito della sua autonomia ([#OMISSIS#]: discrezionalità) valutativa, ha individuato criteri di giudizio che hanno inteso valorizzare aspetti che, in questa procedura di abilitazione, non sono stati rinvenuti nel profilo dell’interessata.
1.3 Da ciò deriva che le censure contenute nel primo motivo si rivelano infondate.
2. Con il secondo motivo, l’istante ha dedotto poi l’illegittimità del criterio di valutazione più restrittivo rispetto a quelli indicati dal D.M. n. 76/2012 e riguardante il possesso da parte del candidato di “almeno due monografie originali o edizioni critiche o traduzioni con apparato critico di tipo scientifico, oppure, in casi eccezionali, una monografia con le caratteristiche predette e la maggioranza degli articoli presentati ai sensi dell’articolo 7 comma 1 e dell’Allegato E del DM 76/2012 risulti di eccezionale rilievo scientifico”.
La doglianza si rivela infondata, non avendo motivo il Collegio per discostarsi da quanto affermato, peraltro di recente, dalla Sezione con la sentenza n. 11321/2015.
In quella sede, invero, è stato osservato che l’art. 3, comma 3, del D.M. 76/2012, nello stabilire che “l’individuazione del tipo di pubblicazioni, la ponderazione di ciascun criterio e parametro, di cui agli articoli 4 e 5, da prendere in considerazione e l’eventuale utilizzo di ulteriori criteri e parametri più selettivi ai fini della valutazione delle pubblicazioni e dei titoli sono predeterminati dalla commissione, con atto motivato pubblicato sul sito del Ministero e su quello dell’università sede della procedura di abilitazione….”, attribuisce alle commissioni, contrariamente a quanto dedotto dall’istante, il potere di individuare criteri e parametri ulteriori e più selettivi rispetto a quelli già previsti negli artt. 4 e 5 del medesimo regolamento.
Occorre osservare in proposito che l’art. 3, comma 3, del D.M. 76/2012 risulta, peraltro, conforme ai principi espressi nella legge 240 del 2010 che, all’art. 16, comma 3, dispone quanto segue: “i regolamenti di cui al comma 2 prevedono: a) l’attribuzione dell’abilitazione con motivato giudizio fondato sulla valutazione analitica dei titoli e delle pubblicazioni scientifiche, previa sintetica descrizione del contributo individuale alle attività di ricerca e sviluppo svolte, ed espresso sulla base di criteri e parametri differenziati per funzioni e per area disciplinare, definiti con decreto del Ministro”.
La predetta disposizione, contenuta nella fonte di rango primario – nell’affidare ad un apposito decreto ministeriale l’individuazione di criteri e parametri differenziati per funzioni e per area disciplinare – non esclude la possibilità che, nell’ambito di tali criteri, il regolamento ministeriale (adottato con D.M. 76/2012) potesse affidare alle commissioni esaminatrici l’elaborazione di “ulteriori criteri e parametri più selettivi ai fini della valutazione delle pubblicazioni e dei titoli”.
In altri termini, l’attribuzione (espressa nell’art. 16, comma 3, lett. a, della citata legge n. 240 del 2010) al decreto ministeriale della individuazione di “criteri e parametri differenziati per funzioni e per area disciplinare”, ai quali le commissioni avrebbero dovuto fare riferimento ai fini della redazione di un “motivato giudizio fondato sulla valutazione analitica dei titoli e delle pubblicazioni scientifiche”, può ben comprendere la possibilità di affidare alle commissioni la possibilità di individuare, in modo autonomo, parametri più selettivi, purché entro gli stretti margini individuati dal D.M. 76/2012.
La commissione in esame, quindi, in applicazione di siffatta possibilità, ha legittimamente individuato quale specifico criterio ai fini del conseguimento dell’abilitazione per docenti di prima fascia il possesso da parte dei candidati di “almeno due monografie originali” e, nelle ipotesi di assenza delle due monografie, di “una monografia con le caratteristiche predette e la maggioranza degli articoli presentati ai sensi dell’articolo 7 comma 1 e dell’Allegato E del D.M. 76/2012 risulti di eccezionale rilievo scientifico”.
Il parametro individuato si rivela del tutto adeguato alla ratio della procedura di abilitazione e al (più elevato) livello di docenza universitario oggetto della procedura, che attiene ai professori di prima fascia.
Né il requisito delle “due monografie” si pone in contrasto con l’art. 4 del D.M. 76/2012, il quale non citerebbe tra i parametri da utilizzare per la valutazione dei titoli il possesso di un tale requisito.
L’art. 3, comma 3, del D.M. 76/2012, come già osservato, consente espressamente alle commissioni di utilizzare – eventualmente – “ulteriori criteri e parametri più selettivi ai fini della valutazione delle pubblicazioni e dei titoli” senza specifiche limitazioni o condizioni.
Peraltro, nel caso di specie, la commissione ha individuato tale ulteriore e più selettivo criterio di valutazione in modo equilibrato, prevedendo espressamente che in mancanza delle due “monografie originali” il candidato potesse presentare ai fini della valutazioni “una monografia con le caratteristiche predette e la maggioranza degli articoli presentati ai sensi dell’articolo 7 comma 1 e dell’Allegato E del DM 76/2012 risulti di eccezionale rilievo scientifico”.
Né tale possibilità di integrazione dei criteri espone al rischio di una “eccessiva discrezionalità” della commissione, anche perché la elaborazione, da parte dei candidati, di due monografie o di articoli di alto valore scientifico costituisce un dato oggettivo, del tutto coerente con gli altri criteri individuati dall’art. 4 del D.M. 76/2012 o con la classificazione di cui all’All. D dello stesso decreto.
3. Vanno poi disattesi il terzo ed il quarto motivo che possono essere trattati congiuntamente attesa la loro stretta ed evidente connessione, riguardando entrambi la dedotta illegittimità della composizione della commissione esaminatrice.
3.1 Per quanto riguarda, in particolare, la partecipazione alla commissione di un membro OCSE che, secondo la ricorrente, non avrebbe la conoscenza della lingua italiana, la censura (anche in questo caso richiamando quanto esposto con la citata sentenza n. 11321/2015) si rivela generica nella misura in cui, non ravvisandosi motivi di illegittimità nella disposizione che prevede una tale composizione dell’organo collegiale (cfr art.16, comma 3, lett. f e h, della legge n. 240 del 2010 e art. 6, commi 2 e 7, del d.P.R. n.222 del 2011 secondo cui è necessario che il membro OCSE conosca una lingua dell’Unione), la ricorrente non ha addotto alcun elemento concreto circa la mancata conoscenza della lingua italiana da parte del componente OCSE (cfr, ex multis, TAR Lazio, sez. III, n. 11494/2014).
3.2 Con riferimento, invece, alla posizione del prof. Cereti il quale, alla data della nomina quale componente della commissione, risultava distaccato presso l’Ambasciata italiana a Teheran quale “addetto alla sezione culturale”, è sufficiente osservare che questi, sebbene chiamato a svolgere la predetta funzione al di fuori dell’ambito strettamente didattico, continua a conservare il titolo di professore ordinario, pur svolgendo il proprio “servizio”, in ragione delle qualità professionali possedute, presso altra pubblica istituzione, ai sensi dell’art. 168 del dpr n. 18 del 1967; del resto, il collocamento in fuori ruolo è comunque una posizione del “servizio” che viene esercitato, in ragione del titolo posseduto (professore ordinario), presso un’amministrazione diversa da quella di appartenenza.
3.3 Le doglianze si rivelano, quindi, infondate.
4. In conclusione, il ricorso deve essere respinto.
5. Le spese di giudizio, come di regola, seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio in favore del Ministero resistente che liquida in € 1.000,00 (mille/00), oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 marzo 2016 con l’intervento dei magistrati:
[#OMISSIS#] De [#OMISSIS#], Presidente
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere, Estensore
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 31/03/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)