La sentenza costitutiva di annullamento di un regolamento amministrativo, in quanto generale ed astratto, ne procura l’eliminazione dall’ordinamento con effetti erga omnes ed ex tunc, derogando, dunque, alla regola generale recata dall’art. 2909 c.c., secondo cui “la sentenza fa stato tra le parti, i loro eredi e gli aventi causa” e, quanto ai limiti soggettivi del giudicato, da un lato, l’estensione ultra partes della sentenza di annullamento del regolamento si spiega in quanto il carattere generale ed indivisibile dell’atto normativo non consente il frazionamento del suo contenuto e trova, pertanto, applicazione il principio dell’effeicacia ultra partes della pronuncia caducatoria generalmente applicato agli atti a contenuto inscindibile; dall’altro, l’estensione soggettiva del relativo giudicato risponde a istanze di certezza giuridica, garantendo che l’atto normativo, dichiarato illegittimo, non sia più applicato dall’amministrazione, essendo la sua natura, sostanzialmente unitaria, incompatibile con un’applicazione limitata soltanto ad alcuni destinatari, ovvero solo a quelli che non hanno preso parte al relativo procedimento.
Quanto, invece, ai limiti oggettivi del giudicato, il problema principlae è quello di verificare quale sia la sorte dei provvedimenti attuativi del regolamento annullato, dovendosi, al riguardo, distinguersi l’ipotesi dei provvedimenti attuativi, impugnati contestualmente al regolamento, c.d. doppia impugnativa, i quali sono sicuramente travolti dalla caducazione di quest’ultimo, per invalidità derivata, atteso che l’annullamento dell’atto presupposto, ossia il regolamento, si rilfette sull’atto successivo a valle, che ne assimila il vizio, dall’ipotesi dei provvedimenti applicativi medio tempore adottati e non impugnati, tuttavia, tempestivamente da parte del diretto interessato
TAR Lazio, Roma, Sez. III bis, 23 gennaio 2017, n. 1140
Abilitazione scientifica nazionale-Annullamento regolamento amministrativo
N. 01140/2017 REG.PROV.COLL.
N. 06730/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Terza Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6730 del 2016, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
[#OMISSIS#] Zamperini e Ida Galli, rappresentati e difesi dagli avvocati [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] C.F. TDSFRC48A24H501P, [#OMISSIS#] Covino C.F. CVNGMR80S12H501O, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], in Roma, largo Messico n. 7;
contro
Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
Commissione Giudicatrice Per Conseguimento Abilitazione Professore di Prima Fascia non costituito in giudizio;
per l’annullamento
con il ricorso introduttivo
del silenzio serbato dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e dalla Commissione giudicatrice della procedura per il conseguimento dell’Abilitazione Scientifica Nazionale a professore di Prima Fascia – Settore concorsuale 11/E3 – Psicologia sociale, del lavoro e delle organizzazioni sull’istanza inviata dai ricorrenti il 24 marzo 2016 e ricevuta nei giorni 30 e 31 marzo 2016;
per la condanna
delle Amministrazioni intimate a provvedere, per quanto di rispettiva competenza, sulla citata istanza, entro il termine stabilito con l’adozione dei provvedimenti richiesti;
nonché per la declatoria
della fondatezza della pretesa dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 31, comma 3, del c.p.a., e della conseguente condanna delle Amministrazioni resistenti a procedere, previo inserimento dei nominativi nell’elenco presente nell’apposita piattaforma CINECA, al riesame e all’annullamento in autotutela dei giudizi collegiali espressi nei confronti dei Professori [#OMISSIS#] Zamperini e Ida Galli nell’ambito della procedura per il conseguimento dell’ASN alle funzioni di professore universitario di prima fascia nel settore concorsuale I 1/E3 — psicologia sociale, del lavoro e delle organizzazioni – per l’anno 2012, uniformandone l’esito al principio della maggioranza di tre voti favorevoli su cinque ai fini dell’abilitazione, come da circolare, a firma del Direttore Generale Dott. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#];
e per la nomina
di un commissario ad acta che, nell’ipotesi di perdurante inerzia oltre il termine assegnato, provveda, in via sostitutiva, all’adozione dei medesimi provvedimenti;
e con il ricorso per motivi aggiunti
della nota prot. n. 13198 del 14 ottobre 2016 del Ministero dell’Istruzione,
dell’Università e della Ricerca – Dipartimento per la formazione superiore e per la ricerca – Direzione generale per la programmazione, il coordinamento e il finanziamento delle istituzioni della formazione superiore, depositata in giudizio in data 17 ottobre 2016, con la quale l’Amministrazione ha esposto le ragioni per cui non ha ritenuto di agire in autotutela sui giudizi dei ricorrenti;
della Circolare del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca di cui al prot. n. 1844 dell’ 11 febbraio 2016, avente ad oggetto “Abilitazione Scientifica Nazionale – Commissioni nominate in esecuzione di provvedimenti giurisdizionali. Legittimità articolo 8, comma 5, D.P.R. 222/2011”, ove interpretata nel senso di escludere dalla rivalutazione imposta dall’annullamento dell’art. 8, comma 5, del d.P.R. n. 222/2011, i ricorrenti che, pur avendo ottenuto il voto favorevole di tre commissari su cinque e pur avendo tempestivamente proposto ricorso contro il giudizio negativo ricevuto sulla base di tale norma, non avrebbero presentato un specifica censura di illegittimità della norma regolamentare annullata;
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 17 gennaio 2017 la dott.ssa [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Considerato che, con il ricorso introduttivo, i ricorrenti hanno dedotto che:
– sono entrambi docenti universitari di seconda fascia che hanno presentato domanda di partecipazione alla procedura per il conseguimento dell’abilitazione scientifica nazionale alle funzioni di professore universitario di prima fascia nel settore concorsuale 11/E3 – psicologia sociale, del lavoro e delle organizzazioni, ex art. 16 della L. n. 240/2010, per l’anno 2012;
– non hanno ottenuto l’abilitazione scientifica nazionale, in quanto la commissione ha deliberato solo a maggioranza semplice dei 3/5 in favore dell’attribuzione della stessa, come statuito dall’art. 8, comma 5, del D.P.R. n. 222/2011;
– avverso la predetta decisione gli stessi hanno proposto ricorso, depositato in data 14 marzo 2014 e incardinato con r.g. n. 3370/2014, allo stato pendente;
– nelle more del citato giudizio l’art. 8, comma 5, del D.P.R. n. 222/2011 è stato dichiarato illegittimo dal T.A.R. del Lazio con sentenza n. 13121 del 2015, confermata dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 470/2016, per mancanza nella fonte primaria di una previsione di maggioranze qualificate;
– visto il citato orientamento giurisprudenziale, il M.I.U.R. ha emanato una circolare, a firma del Direttore Generale Dott. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], diretta alle Commissioni per l’A.S.N. nominate in esecuzione di provvedimenti giurisdizionali, affermando che “l’annullamento della norma regolamentare in questione non possa ritenersi limitato alle sole fattispecie particolari ma abbia efficacia erga omnes” e prevedendo, quindi, che “per gli interventi già chiusi, le Commissioni, a far data dal 16 febbraio 2016, troveranno nell’apposita piattaforma CINECA l’elenco dei candidati per i quali sarà necessario procedere in autotutela all’adeguamento dei relativi giudizi collegiali, uniformandone l’esito al principio della maggioranza di tre voti favorevoli su cinque affini dell’abilitazione”;
– alla luce della citata circolare, gli stessi, rientrando i giudizi espressi nei loro confronti nella suddetta fattispecie, hanno inviato il 24 marzo 2016 un’apposita istanza al M.I.U.R. e alla Commissione giudicatrice la quale, tuttavia, non è stata riscontata da parte delle Amministrazioni resistenti, le quali hanno tenuto un illegittimo comportamento silente;
– gli elementi esposti nell’istanza dei medesimi consentivano di individuare compiutamente l’oggetto del procedimento amministrativo e, di conseguenza, di avviare il procedimento, rendendo all’esito al privato determinazioni, in [#OMISSIS#] o in merito, sulla domanda presentata;
– l’Amministrazione, nonostante con la citata circolare a firma del Direttore Generale si fosse autovincolata e avesse vincolato anche le Commissioni ad agire in casi come quello in esame, nessun provvedimento espresso è pervenuto ai ricorrenti entro 30 giorni dalla consegna dell’istanza di cui sopra;
– anche un’eventuale inammissibilità della domanda non avrebbe escluso l’obbligo di pronuncia espressa, ciò ricavandosi dal dettato dell’articolo 2, comma 1, della legge n. 241/1990 sopra esposto;
– i giudizi dei ricorrenti, essendo stati espressi in senso positivo per l’abilitazione a maggioranza del 3/5 ed essendo oggetto di ricorso pendente, rientrano nella categoria di quelli per cui la competente commissione deve necessariamente procedere in autotutela, come previsto dal M.I.U.R.;
– emerge con ogni evidenza il carattere vincolato o, comunque, l’assenza di margini di discrezionalità dell’attività cui è chiamata l’Amministrazione in quanto delimitata dagli obblighi di legge e dai precedenti determinazioni organizzative e conformative dell’attività dell’ufficio;
– l’art. 31, comma 3, del c.p.a., sul ricorso avverso il silenzio della PA, consente al GA di pronunciarsi sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio “quando si tratti di attività vincolata o quando risultano che non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non sono necessari adempimenti istruttori che debbono essere compiuti dall ‘amministrazione”.
A riguardo la giurisprudenza ha avuto modo di puntualizzare che nel [#OMISSIS#] del silenzio, ben può essere richiesta l’accertamento della fondatezza della pretesa dedotta in giudizio anche per un’attività che, sebbene in astratto connotata da discrezionalità, si presenti nel caso concreto del tutto vincolata per essersi esauriti i profili di valutazione spettanti alla P.A.;
Considerato che il M.I.U.R. si è costituito in giudizio con atto di mera forma in data 21.6.2016 depositando documentazione concernente la vicenda in data 25.7.2016 e in data 17.10.2016 e, infine, in data 17.1.2017;
Considerato che i ricorrenti hanno, quindi, proposto ricorso per motivi aggiunti, depositato in data 21.12.2016, con il quale hanno impugnato:
— la nota prot. n. 13198 del 14 ottobre 2016 del Ministero dell’Istruzione,
dell’Università e della Ricerca – Dipartimento per la formazione superiore e per la ricerca – Direzione generale per la programmazione, il coordinamento e il finanziamento delle istituzioni della formazione superiore, depositata in giudizio in data 17 ottobre 2016, con la quale l’Amministrazione ha esposto le ragioni per cui non ha ritenuto di agire in autotutela sui giudizi dei ricorrenti;
– la Circolare del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca di cui al prot. n. 1844 dell’ 11 febbraio 2016, avente ad oggetto “Abilitazione Scientifica Nazionale – Commissioni nominate in esecuzione di provvedimenti giurisdizionali. Legittimità articolo 8, comma 5, D.P.R. 222/2011”, ove interpretata nel senso di escludere dalla rivalutazione imposta dall’annullamento dell’art. 8, comma 5, del d.P.R. n. 222/2011, i ricorrenti che, pur avendo ottenuto il voto favorevole di tre commissari su cinque e pur avendo tempestivamente proposto ricorso contro il giudizio negativo ricevuto sulla base di tale norma, non avrebbero presentato un specifica censura di illegittimità della norma regolamentare annullata;
Considerato che, con il predetto ricorso, i ricorrenti hanno dedotto che:
– il M.I.U.R., con la nota adottata in riscontro all’istanza formulata da parte ricorrente e impugnata in via principale, ha negato l’estendibilità degli effetti dell’annullamento giurisdizionale dell’art. 8, comma 5, del D.P.R. n. 222/2011, ovvero di un atto amministrativo generale, anche alla posizione dei ricorrenti, perché essi non avrebbero preso parte al relativo giudizio, pur avendo comunque impugnato in via giurisdizionale l’esito della loro valutazione;
– l’Amministrazione ha inopinatamente accomunato la posizione dei ricorrenti con quella di coloro che non hanno affatto proposto ricorso avverso l’esito negativo dell’abilitazione, considerando così le situazioni giuridiche degli stessi ormai esaurite;
– ciò è, tuttavia, avvenuto in totale contraddizione rispetto a quanto previsto da parte dello stesso M.I.U.R. nella circolare di cui al prot n. 1844 dell’11 febbraio 2016, con la quale è stato espressamente chiarito che l’annullamento dell’art. 8, comma 5, del D.P.R. n. 222/2011 “non possa ritenersi limitato alle sole fattispecie particolari ma abbia efficacia erga omnes”, con la sola esclusione dei provvedimenti emessi antecedentemente all’annullamento de quo nei confronti di candidati che non abbiano tempestivamente proposto ricorso;
– nel caso di specie, la posizione dei ricorrenti è, invece, da ritenersi tutt’altro che esaurita, non avendo i giudizi resi nei loro confronti ancora assunto alcun carattere di definitività, attesa l’incontestata e incontestabile pendenza del ricorso giurisdizionale avverso di essi incardinato presso questo Tribunale;
– non assume alcuna rilevanza la circostanza dedotta dal M.I.U.R. circa la presunta assenza nel ricorso della formulazione della specifica censura di illegittimità della norma regolamentare di cui trattasi, in quanto le statuizioni contenute nella sentenza del Consiglio di Stato n. 470/2016 avrebbero efficacia erga omnes, stante la natura regolamentare dell’atto impugnato, suscettibile di applicazione generale ed astratta;
– secondo la prevalente giurisprudenza, il principio dell’efficacia fra le parti del giudicato amministrativo non trova applicazione nei confronti delle pronunce di annullamento di atti amministrativi generali (come i regolamenti) che hanno una pluralità di destinatari, un contenuto inscindibile e sono invalidi per un vizio che ne inficia il contenuto in modo indivisibile per i destinatari;
– nel caso di specie, è indubbio che il D.P.R. n. 222/2011 costituisca atto generale a contenuto inscindibile, sicché la decisione di annullamento non si estrinseca nei confronti delle sole parti in causa, ma esplica i suoi effetti anche nei confronti di coloro che – pur essendo estranei al giudizio conclusosi con le decisioni che hanno acclarato l’illegittimità dell’atto – si trovano nell’identica condizione;
– anche nella fattispecie de qua, il M.I.U.R. e la competente commissione di A.S.N. avrebbero dovuto prendere atto dell’avvenuto annullamento con efficacia erga omnes del regolamento citato, dichiarando il diretto conseguimento dell’abilitazione scientifica al molo di professore universitario di prima fascia da parte dei ricorrenti;
Considerato che, avendo il M.I.U.R. sostanzialmente dato riscontro all’istanza dei ricorrenti con l’adozione della nota impugnata con il ricorso per motivi aggiunti, è venuto meno, nelle more del presente giudizio, l’interesse dei ricorrenti alla trattazione nel merito del ricorso introduttivo del presente giudizio il quale, pertanto, deve essere dichiarato improcedibile;
Considerato che, sulla base del consolidato orientamento nella materia della sezione (cfr., da ultimo, sentenza n. 468/2017), si ribadisce che:
– la pretesa sostanziale azionata da parte ricorrente è quella dell’estensione del giudicato di annullamento discendente dalla sentenza del C.d.S. n. 470 del 2015 ai giudizi di non abilitazione fondati sul voto favorevole di tre commissari e su quello negativo dei restanti due commissari;
– al riguardo, si rileva che la sentenza del C.d.S. n. 470 del 2015 ha confermato l’annullamento di una norma contenuta in un atto normativo di rango secondario, stabilendo, conseguentemente, in modo implicito, la regola della maggioranza assoluta per tutte le deliberazioni delle Commissioni nazionali per l’abilitazione scientifica nazionale;
– quanto alle conseguenze che derivano dal predetto annullamento, si rileva che:
— mentre, per le procedure abilitative che sono ancora aperte, non può esservi dubbio che il quadro normativo applicabile sia stato inciso dalla decisione del Consiglio di Stato e, pertanto, le Commissioni di cui sopra dovranno necessariamente conformarsi a esso con l’ulteriore conseguenza che, nelle procedure abilitative ancora in corso, in relazione alle quali, pertanto, gli atti della procedura non siano ancora stati approvati formalmente da parte dell’amministrazione, le Commissioni dovranno attenersi al principio secondo cui, in presenza della maggioranza qualificata dei tre quinti dei giudizi individuali favorevoli, il candidato deve ritenersi abilitato;
— invece, ci si deve chiedere se, e in quali termini, la sentenza di cui trattasi possa produrre effetti giuridici anche nei confronti delle procedure abilitative che sono ormai concluse, e nell’ambito delle quali l’abilitazione scientifica non è stata attribuita proprio in virtù del voto contrario di soli due commissari;
– quanto a quest’ultima ipotesi, appare necessario distinguere due diversi piani di indagine, il primo, che assume [#OMISSIS#] prettamente processuale, attiene agli eventuali effetti diretti della sentenza di cui trattasi mentre, invece, il secondo, riconducibile all’ambito operativo sostanziale dell’amministrazione, attiene proprio alle autonome iniziative che l’Amministrazione può adottare sulla base della richiamata sentenza:
— quanto al primo piano di indagine, si rileva che, per [#OMISSIS#] giurisprudenza, la sentenza costitutiva di annullamento di un regolamento amministrativo, in quanto atto generale ed astratto, ne procura l’eliminazione dall’ordinamento con effetti erga omnes ed ex tunc, derogando, dunque, alla regola generale recata dall’art. 2909 c.c., secondo cui “la sentenza fa stato tra le parti, i loro eredi e gli aventi causa” e, quanto ai limiti soggettivi del giudicato, da un lato, l’estensione ultra partes della sentenza di annullamento del regolamento si spiega in quanto il carattere generale e indivisibile dell’atto normativo non consente il frazionamento del suo contenuto e trova, pertanto, applicazione il principio dell’efficacia ultra partes della pronuncia caducatoria generalmente applicato agli atti a contenuto inscindibile e, dall’altro, l’estensione soggettiva del relativo giudicato risponde a istanze di certezza giuridica, garantendo che l’atto normativo, dichiarato illegittimo, non sia più applicato dall’amministrazione, essendo la sua natura, sostanzialmente unitaria, incompatibile con un’applicazione limitata soltanto ad alcuni destinatari, ovvero solo a quelli che non hanno preso parte al relativo procedimento e, quanto, invece, ai limiti oggettivi del giudicato, il problema principale è quello di verificare quale sia la sorte dei provvedimenti attuativi del regolamento annullato, dovendosi, al riguardo, distinguersi l’ipotesi dei provvedimenti attuativi, impugnati contestualmente al regolamento, c.d. doppia impugnativa, i quali sono sicuramente travolti dalla caducazione di quest’ultimo, per invalidità derivata, atteso che l’annullamento dell’atto presupposto, ossia il regolamento, si riflette sull’atto successivo a valle, che ne assimila il vizio, dall’ipotesi dei provvedimenti applicativi medio tempore adottati e non impugnati tuttavia tempestivamente da parte del diretto interessato;
– con specifico riferimento a questa ultima fattispecie, le soluzioni prospettate sono sostanzialmente due, atteso che, secondo un primo orientamento, più radicale, opera l’invalidità derivata a effetto caducante, prodotta dall’annullamento del regolamento nei confronti degli atti applicativi medio tempore adottati, e quindi l’effetto retroattivo dell’annullamento del regolamento procura la caducazione retroattiva automatica dei provvedimenti attuativi senza che sia necessaria l’apposita impugnazione degli stessi, mentre, invece, secondo un opposto e prevalente indirizzo, dall’annullamento giurisdizionale del regolamento consegue un’invalidità derivata a effetto soltanto viziante dell’atto applicativo, cosicché all’annullamento del regolamento non consegue la caducazione automatica dei provvedimenti applicativi medio tempore adottati, attesa la loro definitività per effetto della decorrenza del termine decadenziale, sebbene resti salva, comunque, la possibilità, per l’amministrazione, di procedere alla loro rimozione agendo in via di autotutela, qualora ricorrano ragioni di pubblico interesse che sollecitino la rimozione del provvedimento attuativo divenuto oramai inoppugnabile;
Considerato che il Collegio ritiene di dovere aderire, attesa la sua maggiore persuasività, proprio al suddetto secondo orientamento, con la conseguenza che, dall’annullamento del regolamento di cui trattasi nella parte interessata, non consegue che debba ritenersi che i giudizi collegiali resi con tre giudizi individuali positivi e solo due giudizi individuali negativi siano di per sé nulli e/o annullabili e/o inefficaci, quando sia oramai decorso il termine per la loro impugnazione e gli stessi siano, pertanto, divenuti definitivi;
Considerato che, pertanto, un limite all’estensione del giudicato di annullamento di un regolamento deve rinvenirsi nei rapporti già esauriti e, quindi, il principio dell’efficacia erga omnes dell’annullamento di atti normativi e di cui sopra incontra proprio il suddetto “limite delle situazioni esaurite”, ne consegue che, appunto, il provvedimento demolitorio non travolge gli atti, attuativi del regolamento, che siano divenuti inoppugnabili per mancata impugnazione nei termini decadenziali brevi di legge e non può nemmeno interferire sulle situazioni oramai definite con sentenza passata in giudicato anche perché, altrimenti, si andrebbe incontro a un grave sovvertimento dell’operato dell’amministrazione che si vedrebbe costretta a riprendere in esame una lunga serie di atti e provvedimenti alcune volte già da anni pacificamente eseguiti, con tutte le relative conseguenze, con la conseguenza che l’annullamento di cui trattasi non è in grado di travolgere retroattivamente tutti i giudizi collegiali di non abilitazione, adottati prima della pubblicazione della sentenza e fondati sul voto contrario di soli due commissari;
Considerato che le argomentazioni che precedono sono svolte con precipuo riferimento alla situazione dell’interessato che non abbia impugnato nei termini decadenziali di legge il giudizio di inidoneità al conseguimento dell’abilitazione fondato sulla base del mancato raggiungimento della maggioranza qualificata di cui ai 4/5 e di cui al comma 5 dell’art. 8 del d.P.R. n. 222/2011 che è stato appunto annullato definitivamente con la sentenza del C.d.S. n. 470 del 2016, deve, altresì, rilevarsi che, un problema peculiare si pone, invece, solo nell’ipotesi in cui il giudizio di non abilitazione sia stato, in effetti, impugnato in sede giurisdizionale e il relativo giudizio non si sia, tuttavia, ancora definitivamente concluso qualora, tra gli specifici motivi di censura, non sia stato articolato anche quello concernente l’illegittimità del criterio della maggioranza qualificata di cui al comma 5 dell’articolo 8 del d.P.R. n. 222 del 2011, atteso che, si potrebbe, infatti, ritenere, al riguardo, che, attesa la persistente vigenza nel giudizio amministrativo del principio della corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c., il Collegio eventualmente adito non possa accertare l’invalidità di un provvedimento sulla base di un motivo non presente nel thema decidendum;
Considerato che, nella fattispecie, ricorre esattamente la predetta ultima ipotesi, nel merito valgono le considerazioni di cui di seguito:
– si premette che si ritiene che, effettivamente, attesa la persistente vigenza nel giudizio amministrativo del principio della corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c., il Collegio adito con il ricorso di cui sopra proposto da parte dei ricorrenti avverso il giudizio di non abilitazione non possa accertare l’invalidità del predetto giudizio negativo sulla base di un motivo non presente nel thema decidendum e che, peraltro, l’interessato non possa nemmeno legittimamente introdurre nel predetto giudizio già pendente il motivo di censura di cui trattasi attraverso la proposizione di motivi aggiunti avuto riguardo alla circostanza che non può ritenersi che l’annullamento definitivo della nota regolamentare in sede giurisdizionale concretizzi effettivamente un fatto nuovo, rilevante giuridicamente e legittimante in tal senso;
– e tuttavia – ribadito quanto sopra in ordine ai limiti dell’estensione erga omnes dell’annullamento di una disposizione regolamentare – deve ritenersi che, nel caso dell’impugnazione tempestiva di un giudizio di non abilitazione non definitivamente deciso, non possa, invece, fondatamente sostenersi che si tratti di una situazione oramai definita, avuto riguardo alla sola circostanza della mancata proposizione nel predetto giudizio di impugnazione del motivo di censura avente a oggetto l’illegittimità della disposizione regolamentare sulla base della quale il giudizio negativo è stato reso atteso che – sebbene sia precluso all’interessato di fare valere tardivamente in giudizio, con la proposizione di un ricorso ex novo o anche solo con la proposizione di un ricorso per motivi aggiunti, il predetto motivo di censura sulla base della considerazione di cui sopra – comunque, non può fondatamente ritenersi che la situazione dell’interessato sia definitivamente esaurita proprio in conseguenza della perdurante pendenza dell’originario giudizio impugnatorio;
– in sostanza, proprio in quanto la sua situazione dell’interessato è da ritenersi ancora aperta, e quindi non definita, in conseguenza della predetta pendenza del giudizio impugnatorio di cui sopra, nella fattispecie addirittura ancora pendente in primo grado, gli effetti dell’annullamento della norma regolamentare sulla base della quale è stato assunto il provvedimento negativo non possono non estendersi anche nei suoi confronti, indipendentemente dalla circostanza che il predetto motivo di censura non sia proprio stato articolato da parte di quest’ultimo, atteso che, peraltro, in detta fattispecie, non può nemmeno ritenersi sussistente l’esigenza sottesa ai limiti dell’estensione del giudicato di annullamento di atto regolamentare erga omnes e da rinvenirsi, appunto, nella necessità di impedire che si possa verificare un grave sovvertimento dell’operato dell’amministrazione che si vedrebbe costretta a riprendere in esame una lunga serie di atti e provvedimenti alcune volte già da anni pacificamente eseguiti, con tutte le relative conseguenze, atteso che, appunto, in realtà, l’operato dell’amministrazione in questo caso è ancora sub judice;
– in definitiva, si ritiene che la mancata proposizione del motivo di censura di cui trattasi operi, diversamente alla luce dei diversi piani di osservazione presi in considerazione;
Considerato che, pertanto, il ricorso per motivi aggiunti è fondato sulla base delle argomentazioni che precedono e che, tuttavia, si ritiene che sussistano giusti motivi per disporre tra le parti costituite la compensazione delle spese del presente giudizio;
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza bis), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, dichiara improcedibile il ricorso introduttivo e accoglie il ricorso per motivi aggiunti e, per l’effetto, annulla i provvedimenti impugnati.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 gennaio 2017 con l’intervento dei magistrati:
[#OMISSIS#] Savoia, Presidente
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere, Estensore
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Immacolata Pisano, Consigliere
Pubblicato il 23/01/2017