TAR Lombardia, Milano, Sez. III, 23 maggio 2013, n. 1348

Ordinamento didattico universitario-Laurea magistrale e dottorato di ricerca-Lingua di insegnamento-Primato della lingua italiana-Sussistenza-Affiancamento di una lingua straniera-Ammissibilità

Data Documento: 2013-05-23
Area: Giurisprudenza
Massima

Dal combinato disposto di cui agli artt. 271, r.d. 31 agosto 1933, n. 1592 (in cui si esclude, in ambito universitario, che l’italiano possa assumere un ruolo subordinato rispetto all’uso di altre lingue) e 2, comma 2, lett. l), legge 30 dicembre 2010, n. 240 (in cui si prevede la possibilità di introdurre corsi in lingua straniera al fine di favorire l’internazionalizzazione della ricerca), deriva un ordinamento didattico che consente l’affiancamento della lingua straniera a quella italiana, ma non l’esclusione di quest’ultima. Ne consegue che l’internazionalizzazione delle Università deve necessariamente essere compiuta rispettando il primato della lingua italiana.

La scelta di valorizzare in modo assorbente l’uso della lingua inglese per tutti i corsi delle lauree magistrali e per i dottorati, senza tenere conto della specificità dei diversi insegnamenti, della possibilità di valorizzare altre lingue straniere e della necessità di attuare l’apertura verso l’estero mantenendo il primato della lingua italiana, secondo i principi emergenti dalla Costituzione, contrasta anche con la libertà di insegnamento, garantita dall’art. 33 cost. e con il correlato diritto allo studio. L’italiano non è infatti tutelato dal nostro ordinamento quale mero mezzo di comunicazione orale o scritta, ma per l’insieme di valori culturali che esso sottende. È consequenziale rilevare che la piena esplicazione della libertà di insegnamento presuppone la possibilità di utilizzare l’italiano, nel senso che il docente che esercita in una istituzione pubblica deve poter scegliere di trasmettere le conoscenze nella lingua italiana. Simmetricamente, il discente deve essere posto in condizione di avvalersi della lingua italiana per la formazione praticata in una Università italiana.
 

Contenuto sentenza

N. 01348/2013 REG.PROV.COLL.
N. 01998/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1998 del 2012, proposto da: 
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Antola, [#OMISSIS#] Anzani, [#OMISSIS#] Arosio, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Arturi, [#OMISSIS#] Augelli, [#OMISSIS#] Bacchelli, [#OMISSIS#] Baron, [#OMISSIS#] Basile, Giovanni Baule, [#OMISSIS#] Bersani, Serena Biella, [#OMISSIS#] Boatti, Pellegrino Bonaretti, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] Boschetti, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Breda, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Cabiddu, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] Campanella, [#OMISSIS#] Campi, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] Carminati, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] Leyla Ciagà, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Colombo, [#OMISSIS#] Consonni, Emilia [#OMISSIS#] Costa, [#OMISSIS#] Costa, [#OMISSIS#] Crespi Reghizzi, [#OMISSIS#] Cusimano, [#OMISSIS#] Dama, [#OMISSIS#] De [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Delera, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Ferrara, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] Fianchini, [#OMISSIS#] Fosso, [#OMISSIS#] Frontini, [#OMISSIS#] Ghiringhelli, [#OMISSIS#] Giacomini, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Gibelli, [#OMISSIS#] Ginelli, [#OMISSIS#] Goggi, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Guida F, Franco Guzzetti, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Iannilli, [#OMISSIS#] Pompeiana Iarossi, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Lanzani, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] Assunta Macchia, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Marescotti, [#OMISSIS#] Matricciani, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Meille, [#OMISSIS#] Mezzalira, Marina Molon, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] Ottolini, [#OMISSIS#] Palterer, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Penati, [#OMISSIS#] Pertot, [#OMISSIS#] Pileri, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Pizzocaro, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Premoli, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Quartapelle, [#OMISSIS#] Ricci, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] Rossi, [#OMISSIS#] Scapellato, Aurora [#OMISSIS#] Aurora, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Servi, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Testa, [#OMISSIS#] Tironi, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Tonelli, [#OMISSIS#] Tonon, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] Ugolini, [#OMISSIS#] Varisco, [#OMISSIS#] Varoli, [#OMISSIS#] Varvaro, Massimo Venturi Ferriolo, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] Zanni, Salvatore [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Bruchè, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Porta, rappresentati e difesi dall’avv. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Cabiddu, con domicilio eletto presso [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Cabiddu in Milano, piazza [#OMISSIS#], 1; 
contro
Politecnico di Milano, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Milano, presso i cui Uffici domicilia in Milano, via Freguglia, 1; 
Ministero dell’Istruzione dell’Universita’ e della Ricerca, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato Milano, presso i cui Uffici domicilia in Milano, via Freguglia, 1; 
nei confronti di
Ministero dell’Economia e delle Finanze, Presidenza del Consiglio dei Ministri; 
per l’annullamento
della delibera, adottata dal Senato accademico del Politecnico di Milano in data 21 maggio 2012,; delle delibere di approvazione delle Linee strategiche di Ateneo 2012-2014;
delle prime azioni sull’internazionalizzazione dell’Ateneo;
di tutti gli atti connessi.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Politecnico di Milano e di Ministero dell’Istruzione dell’Universita’ e della Ricerca;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Designato relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 marzo 2013 il dott. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
I ricorrenti impugnano gli atti indicati in epigrafe, deducendone l’illegittimità per violazione di legge ed eccesso di potere sotto diversi profili, chiedendone l’annullamento.
Si è costituito in giudizio il Politecnico di Milano, eccependo l’inammissibilità e, comunque, l’infondatezza del ricorso avversario.
Le parti hanno prodotto memorie e documenti.
All’udienza del 26 marzo 2013 la causa è stata trattenuta in decisione..
DIRITTO
1) Sul piano fattuale va osservato che:
– con deliberazione del 15 dicembre 2011, il Senato accademico del Politecnico di Milano ha approvato le linee strategiche per il biennio 2012 – 2014, prevedendo, tra l’altro, la configurazione di un Ateneo a rilevanza internazionale, con aumento dell’internazionalizzazione del corpo docente in modo da assicurare che entro il 2014 “almeno 100 insegnamenti siano tenuti da docenti stranieri”. In tale contesto le linee guida hanno stabilito l’attivazione a partire dall’anno 2014 delle lauree magistrali e dei dottorati di ricerca “esclusivamente in inglese”, con conseguente sviluppo di un piano integrato per la formazione dei docenti e il conseguente sostegno agli studenti;
– con deliberazione datata 20 dicembre 2011, anche il Consiglio di Amministrazione del Politecnico di Milano ha approvato le linee strategiche per il biennio 2012 – 2014;
– con deliberazione del 23 gennaio 2012, il Senato accademico ha deliberato le “prime azioni sull’internazionalizzazione dell’Ateneo”, individuando alcune priorità per l’attuazione delle linee strategiche 2012 – 2014, riferendosi all’identificazione dei fabbisogni formativi per i docenti in ordine all’uso della lingua inglese nella didattica, al fine di attivare i corrispondenti processi di formazione, nonché agli interventi relativi al reclutamento dei docenti stranieri e, infine, alla determinazione del livello minimo di conoscenza della lingua inglese che è opportuno richiedere agli studenti, sia a livello di laurea magistrale, sia a livello di dottorato di ricerca;
– in data 2 maggio 2012 numerosi docenti e ricercatori del Politecnico hanno presentato un appello al Rettore e agli organi di governo dell’Ateneo a difesa della libertà di insegnamento, chiedendo di non dare seguito alle delibere recanti l’approvazione delle linee strategiche di Ateneo per il biennio 2012 – 2014, di sospenderne l’efficacia e di disporne la revoca nella parte in cui hanno imposto l’uso esclusivo della lingua inglese per l’insegnamento dei corsi di laurea magistrali a partire dall’anno accademico 2014. Le ragioni poste a fondamento dell’appello possono essere così sintetizzate: 1) l’uso esclusivo della lingua inglese per l’erogazione dei corsi di laurea magistrale è in contrasto con il principio della libertà di insegnamento posto dall’art. 33 Cost., perché comprime la libertà di scelta di docenti e studenti e il pluralismo dell’offerta formativa; 2) le linee guida introducono un criterio di discriminazione su base linguistica, in violazione del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., con effetti sulle carriere del personale docente e su quelle degli studenti; 3) le linee guida, da un lato, contrastano con l’art. 271 del r.d. 1933, n. 1592, nella parte in cui stabilisce che la lingua italiana è la lingua ufficiale dell’insegnamento e degli esami in tutti gli stabilimenti universitari, dall’altro, stravolgono il senso dell’art. 2, comma 2, della legge 240/2010 che, nel promuovere l’internazionalizzazione dell’Università, mira a promuovere l’integrazione fra le culture e non ad imporne una a scapito delle altre; 4) l’imposizione della lingua inglese non si correla alla valorizzazione della qualità degli insegnamenti impartiti.
– sempre in ordine ai contenuti delle linee guida approvate dal Senato accademico il 15 dicembre 2011, sono stati presentati una mozione della Scuola di architettura e società in data 3 maggio 2012, una lettera redatta da un docente e datata 1° maggio 2012, un parere di alcuni rappresentanti degli studenti formulato il 20 maggio 2012;
– in relazione al contenuto dei documenti appena richiamati è stata indetta una riunione del Senato accademico il giorno 21 maggio 2012 (cfr. doc. 9 di parte resistente), articolatasi nell’illustrazione dell’appello da parte di uno dei docenti firmatari, nell’esposizione della posizione della Scuola di architettura e società ad opera di un altro docente e nello svolgimento della discussione. Dal verbale della seduta del 21 maggio 2012, risulta che all’esito della discussione il Senato accademico ha approvato a maggioranza la mozione centrata sull’adozione della lingua inglese per i corsi di laurea magistrale e di dottorato di ricerca.
2) Devono essere esaminate con precedenza le eccezioni preliminari di [#OMISSIS#] sollevate dall’Avvocatura distrettuale.
2.1) Con la prima eccezione si deduce l’inammissibilità del ricorso per tardività, in quanto le linee strategiche approvate con la deliberazione del Senato accademico del 15 dicembre 2012 sono state contestate solo mediante l’impugnazione della successiva deliberazione del 21 maggio 2012, che però sarebbe priva di contenuto innovativo o anche solo attuativo delle linee strategiche, essendosi limitata a ripercorrere le ragioni della scelta già effettuata.
L’eccezione non può essere condivisa.
La difesa del Politecnico sostiene che la deliberazione del 21 maggio 2012 sarebbe priva di reale autonomia, limitandosi a confermare le linee strategiche già approvate, con conseguente tardività della loro contestazione, perché articolata solo in sede di impugnazione della deliberazione ora richiamata.
Si tratta di una impostazione che non tiene conto dei contenuti della deliberazione del 21 maggio 2012 e delle ragioni sottese alla sua adozione.
Sul punto va richiamata la distinzione, consolidata a livello giurisprudenziale, tra atto di conferma e atto meramente confermativo, con i conseguenti riflessi in punto di tempestività dell’impugnazione.
Sussiste un atto meramente confermativo (c.d. conferma impropria) quando l’amministrazione, in esito ad una istanza di revoca di un suo precedente provvedimento, si limiti a dichiararne l’esistenza, senza compiere alcuna nuova istruttoria e senza una nuova ponderazione degli interessi pubblici e privati implicati nella fattispecie.
Si ha, invece, conferma in senso proprio allorché l’amministrazione, in luogo di limitarsi ad una constatazione dell’esistenza di un precedente provvedimento, dia inizio a un vero e proprio procedimento di riesame, esaminando nuovamente la situazione di fatto e di diritto.
In altri termini, in caso di mera conferma, l’amministrazione si esime dal prendere posizione sulle questioni sollevate con la nuova istanza, limitandosi ad un rifiuto pregiudiziale di riesame, con il quale nega, anche implicitamente, l’esistenza delle condizioni per valutare il merito dell’istanza stessa; insomma, l’amministrazione si limita a rilevare che esiste un precedente provvedimento e che non vi sono ragioni per ritornare sulle proprie decisioni.
Per queste sue caratteristiche, l’atto meramente confermativo non riapre i termini per impugnare: esso non rappresenta, infatti, un’autonoma determinazione dell’amministrazione, sia pure identica nel contenuto alla precedente, ma solo la manifestazione della decisione dell’amministrazione di non ritornare sulle scelte già effettuate.
Viceversa, la conferma in senso proprio integra una nuova determinazione, mediante la quale l’amministrazione ribadisce la disciplina già dettata rispetto ad una determinata fattispecie, così confermandola, ma dopo avere aperto un nuovo procedimento amministrativo e in forza di una specifica rivalutazione della situazione complessiva ed in particolare degli interessi complessivamente implicati nella vicenda.
Ne consegue che la conferma in senso proprio integra un atto nuovo, autonomamente lesivo della sfera giuridica dell’interessato, anche se confermativo del primo provvedimento.
La distinzione tra conferma impropria e conferma in senso proprio ha conseguenze pratiche importanti quanto all’ammissibilità del ricorso giurisdizionale avverso il secondo atto, ove tale ricorso venga proposto, come nella fattispecie in esame, dopo che è scaduto il termine per impugnare il primo provvedimento.
Difatti, mentre la conferma propria, che assorbe e sostituisce l’atto confermato, è sicuramente impugnabile nel termine di decadenza, senza preclusione alcuna derivante dalla precedente determinazione non impugnata, a diverse conclusioni deve pervenirsi quando si è in presenza di un atto meramente confermativo.
Quest’ultimo, invero, a differenza della conferma non assorbe il precedente, né lo sostituisce, con effetti ex tunc, nella disciplina del rapporto.
Da ciò la conseguenza che la mancata tempestiva impugnazione del primo provvedimento determina l’inammissibilità (per difetto di interesse) del gravame avverso il secondo provvedimento: ciò si verifica, in particolare, in tutti i casi in cui il privato non possa ottenere alcuna utilità dall’annullamento giurisdizionale del secondo provvedimento, a causa degli effetti ormai consolidatisi derivanti dal primo atto non impugnato.
Al contrario, la conferma propria, che assorbe e sostituisce l’atto confermato, è sicuramente impugnabile nel termine di decadenza, senza preclusioni derivanti dalla precedente determinazione non impugnata (cfr. T.A.R. Lombardia Milano, sez. III, 11 maggio 2010, n. 1453; in argomento si considerino anche T.A.R. Valle d’Aosta sez. I, 13 febbraio 2013, n. 5; T.A.R. Roma Lazio, sez. II, 04 gennaio 2013, n. 41; T.A.R. Napoli Campania, sez. IV, 12 dicembre 2012, n. 5099; Consiglio di Stato, sez. V, 03 ottobre 2012, n. 5196).
Applicando tali principi alla situazione in esame, il Tribunale evidenzia che la deliberazione assunta dal Senato accademico in data 21 maggio 2012, trae origine da un appello proposto al Rettore da un gruppo di docenti, diretto ad ottenere il riesame delle linee strategiche approvate con la deliberazione del 15 dicembre 2011 nella parte in cui prescrivono l’adozione della lingua inglese per i corsi di laurea magistrale e di dottorato di ricerca.
Si tratta, quindi, di una determinazione che trae impulso da uno specifico atto di iniziativa procedimentale e che ha dato luogo ad uno specifico procedimento amministrativo di riesame delle linee strategiche, seppure nella sola parte relativa all’introduzione dell’obbligatorietà dell’utilizzo della lingua inglese.
Non solo, la deliberazione esplicita di prendere le mosse, oltre che dall’appello al Rettore, anche da altri atti successivi all’approvazione delle linee strategiche, quali una specifica mozione presentata dalla Scuola di architettura e società, una lettera trasmessa da un docente, nonché un parere di alcuni rappresentanti degli studenti in ordine alla decisione di erogare in lingua inglese tutti gli insegnamenti delle lauree magistrali.
Pertanto, la determinazione impugnata valorizza non solo lo specifico atto di appello già richiamato, ma anche ulteriori atti di impulso procedimentale, assunti a presupposti istruttori della nuova deliberazione.
Del resto, il verbale della riunione del Senato accademico del 21 maggio 2012 precisa come la nuova deliberazione sia stata assunta all’esito di un’ampia discussione, consistita nell’illustrazione dell’atto di appello e dei contenuti della mozione, nonché in un’articolata discussione, in cui sono stati prospettati interessi antagonisti rispetto all’obbligatorietà dell’uso della lingua inglese, correlati agli obiettivi didattici perseguiti, ai contenuti degli insegnamenti, allo status giuridico dei docenti e alla necessità di evitare misure che possano comportare trattamenti discriminatori tra gli studenti.
Ne deriva che la deliberazione del 21 maggio 2012, pur approvando la mozione sull’adozione della lingua inglese per i corsi di laurea magistrale e di dottorato di ricerca, così confermando in parte qua le linee strategiche 2012 – 2014 già approvate dal Senato accademico, si pone all’esito di uno specifico procedimento di riesame, attivato in forza di specifici atti di impulso espressivi di interessi differenti, che il Senato accademico ha valutato per giungere a confermare l’adozione esclusiva della lingua inglese.
Ecco allora, che la deliberazione in esame, lungi dall’integrare un atto meramente confermativo delle linee strategiche, costituisce una conferma in senso proprio, che, per la parte trattata, assorbe e sostituisce le linee strategiche già approvate.
Trattandosi di una conferma propria, la deliberazione è autonomamente impugnabile, entro gli ordinari termini di decadenza, con conseguente infondatezza dell’eccezione in esame.
2.2) Con la seconda eccezione di [#OMISSIS#], la difesa del Politecnico sostiene che la determinazione impugnata avrebbe natura meramente programmatica e sarebbe priva di attitudine lesiva immediata, con conseguente mancanza di un interesse concreto ed attuale al suo annullamento.
L’eccezione è infondata.
In linea generale va evidenziato che, secondo un consolidato e condivisibile orientamento giurisprudenziale, il requisito dell’attualità dell’interesse a ricorrere non sussiste allorché il pregiudizio derivante dall’atto amministrativo sia meramente eventuale, ossia quando l’emanazione del provvedimento non sia di per sé in grado di arrecare una lesione nella sfera giuridica del soggetto che lo impugna, né sia certo che una siffatta lesione comunque si realizzerà in un secondo tempo (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 7 giugno 2012, n. 3365 che ribadisce Consiglio Stato, sez. IV, 19 giugno 2006, n. 3656; nonché in relazione agli atti di natura programmatica Tar Campania, sez. III, 16 gennaio 2012 n. 197).
Nel caso di specie, la deliberazione impugnata dispone in modo puntuale che, a partire dall’anno accademico 2014 – 2015, i corsi di laurea magistrale e i dottorati di ricerca dovranno essere tenuti in lingua inglese.
Si tratta di una previsione specifica, che determina direttamente l’obbligo per i docenti dei corsi di laurea magistrale di utilizzare la lingua inglese, sicché essa, pur inserendosi nel contesto di linee strategiche di natura programmatica, da un lato, si rivolge a destinatari immediatamente identificabili, dall’altro, assume un carattere immediatamente cogente, che non richiede di per sé l’adozione di ulteriori atti.
Certo, l’introduzione di detto obbligo si collega, secondo i contenuti delle linee strategiche, all’attivazione di strumenti di formazione linguistica, che però non incidono sull’esistenza dell’obbligo medesimo.
Ne deriva che la determinazione incide immediatamente nella sfera giuridica dei ricorrenti, perché dà vita direttamente ad un obbligo che incide sulle modalità di svolgimento dell’insegnamento.
Né è ipotizzabile una carenza di attualità dell’interesse per il mero fatto che l’obbligo di utilizzare la lingua inglese decorrerà dall’anno accademico 2014 – 2015, atteso che sussiste già la certezza dell’incidenza dell’atto nella sfera giuridica dei ricorrenti, per effetto dell’obbligatorietà dell’insegnamento in lingua inglese nei corsi di laurea magistrale.
Del resto, come condivisibilmente dedotto dai ricorrenti, l’introduzione dell’insegnamento in lingua inglese comporta la necessità per i docenti di rielaborare la didattica complessiva in base alla lingua da utilizzare, sia in relazione ai testi adottati, sia rispetto alla struttura complessiva di ciascun corso, sia, infine, rispetto alla peculiare competenza linguistica richiesta all’insegnate.
Si tratta di profili che incidono immediatamente sulla posizione dei ricorrenti e che discendono direttamente dall’innovazione introdotta dalle linee strategiche contestate, sicché è priva di fondamento la tesi secondo la quale la deliberazione impugnata sarebbe priva di attuale attitudine lesiva.
Va, pertanto, ribadita l’infondatezza dell’eccezione in esame.
3) Con il primo, il secondo, il terzo e il quarto dei motivi proposti, che possono essere trattati congiuntamente perché strettamente connessi sul piano logico e giuridico, i ricorrenti lamentano, in termini di violazione di legge e di eccesso di potere, il contrasto dell’obbligatorietà dell’insegnamento in lingua inglese con il principio di rilevanza costituzionale dell’ufficialità della lingua italiana, quale lingua dello Stato italiano, rilevando come tale uso obbligatorio ed esclusivo precluda il pieno esercizio della libertà di insegnamento costituzionalmente garantita e del diritto allo studio ad essa correlato.
Inoltre, si lamenta la violazione sia dell’art. 271 del r.d. del 31 agosto 1933 n. 159, nella parte in cui prevede che “la lingua italiana è la lingua ufficiale dell’insegnamento e degli esami in tutti gli stabilimenti universitari”, sia dell’art. 2, comma 2, lett. l), della legge 2010 n. 240, nella parte in cui prevede il rafforzamento dell’internazionalizzazione degli atenei, ma senza consentire che sia reso obbligatorio l’uso di un’unica lingua straniera per i corsi di laurea magistrale con esclusione della lingua italiana.
Infine, si deduce la violazione del principio, interno e comunitario, di proporzionalità, perché le misure deliberate non sono realmente funzionali all’internazionalizzazione del Politecnico e, comunque, limitano in modo esorbitante tanto la libertà di insegnamento, cui si collega lo status dei docenti universitari, quanto il diritto allo studio.
3.1) Per stabilire se sia legittima l’esclusività dell’uso della lingua inglese nei corsi di laurea magistrale e nei dottorati di ricerca, stabilita dal Senato accademico del Politecnico di Milano mediante i provvedimenti impugnati, occorre analizzare quale sia il ruolo che l’ordinamento riconosce alla lingua italiana, in generale e con particolare riferimento all’insegnamento.
E’ pacifico che le norme della Costituzione non contengono una diretta affermazione dell’ufficialità della lingua italiana, tuttavia tale carattere è chiaramente percepibile in via indiretta dall’art. 6 Cost. che prevede la tutela delle minoranze linguistiche rimettendone l’attuazione ad apposite norme.
E infatti, l’esigenza costituzionale di tutelare minoranze linguistiche, non predeterminate dalla carta costituzionale, sorge proprio in dipendenza del carattere ufficiale della lingua italiana, come lingua che caratterizza lo Stato italiano.
Anche disposizioni di legge costituzionale riconoscono l’italiano come lingua ufficiale dello Stato; si pensi all’art. 99 del Testo unico approvato con d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 – recante l’approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino Alto Adige – ove si prevede che “nella regione la lingua tedesca è parificata a quella italiana che è la lingua ufficiale dello Stato”.
In tale senso è significativo che la legge 15 dicembre 1999, n. 482, diretta a introdurre “norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche”, esordisca all’art. 1 stabilendo che “la lingua ufficiale della Repubblica è l’italiano”, per poi precisare al comma successivo che “la Repubblica … valorizza il patrimonio linguistico e culturale della lingua italiana” e aggiungendo che la Repubblica “promuove altresì la valorizzazione delle lingue e delle culture tutelate dalla presente legge”.
Non è dubitabile, come puntualmente rilevato dall’Avvocatura distrettuale, che la tutela delle minoranze linguistiche sia correlata alle specificità storiche e culturali di determinate parti del territorio della Repubblica, ma ciò non toglie che l’esigenza di tutelare talune minoranze, riconoscendone l’identità linguistica, sorga in dipendenza della dichiarata ufficialità della lingua italiana.
Ufficialità che non può tradursi in una vuota formula o in una mera dichiarazione di intenti, ma che assume [#OMISSIS#] di principio cogente, immediatamente operativo, tanto che per la valorizzazione di determinate minoranze linguistiche si è resa necessaria l’adozione di una specifica disciplina correlata ad un precetto costituzionale.
Ovviamente ciò non significa che l’uso della lingua inglese previsto dal Senato accademico del Politecnico rientri nella tematica della tutela delle minoranze linguistiche, ma consente di evidenziare il carattere centrale che l’ordinamento attribuisce alla lingua italiana come espressione del patrimonio linguistico e culturale dello Stato.
Centralità riconosciuta dalla Corte Costituzionale, che, seppure in un giudizio relativo alla legittimità di alcune disposizioni del codice di procedura penale, ha affermato, con valore di principio, che la “Costituzione conferma per implicito che il nostro sistema riconosce l’italiano come unica lingua ufficiale, da usare obbligatoriamente, salvo le deroghe disposte a tutela dei gruppi linguistici minoritari, da parte dei pubblici uffici nell’esercizio delle loro attribuzioni” (cfr. Corte Cost. 20 gennaio 1982, n. 28).
Sempre la Corte Costituzionale ha chiarito la portata dell’ufficialità della lingua italiana, precisando che la consacrazione, nell’art. 1, comma 1, della legge n. 482 del 1999, della lingua italiana quale «lingua ufficiale della Repubblica» non ha evidentemente solo una funzione formale, ma funge da criterio interpretativo generale delle diverse disposizioni che prevedono l’uso delle lingue minoritarie, “evitando che esse possano essere intese come alternative alla lingua italiana o comunque tali da porre in posizione marginale la lingua ufficiale della Repubblica; e ciò anche al di là delle pur numerose disposizioni specifiche che affermano espressamente nei singoli settori il primato della lingua italiana” (cfr. Corte Cost. 22 maggio 2009, n. 159).
Ne deriva, in primo luogo, che il carattere ufficiale della lingua italiana ne determina il primato in ogni settore della vita dello Stato, anche al di là di specifiche disposizioni che di volta in volta la tutelano; inoltre, il primato della lingua italiana comporta che ad essa non possa essere attribuito all’interno dello Stato un ruolo subordinato rispetto ad altre lingue e ciò, se non è possibile, in base al quadro normativo richiamato, nel rapporto con le lingue minoritarie espressamente tutelate dall’ordinamento, a maggiore ragione non può verificarsi rispetto a lingue straniere che difettino di specifiche disposizioni di salvaguardia.
La centralità della lingua italiana è ribadita con specifico riferimento all’insegnamento, seppure sempre nel rapporto con le lingue minoritarie tutelate, proprio dalle disposizioni della legge 1999 n. 482, che pongono garanzie a salvaguardia dell’italiano.
Così, gli artt. 4 e 5 della legge n. 482 prevedono per le scuole materne, elementari e medie inferiori, accanto all’uso della lingua italiana anche l’uso della lingua della particolare minoranza per lo svolgimento delle attività educative, rimettendo alle istituzioni scolastiche la definizione delle modalità di svolgimento delle attività di insegnamento della lingua e delle tradizioni culturali delle comunità locali; allo stesso modo l’art. 6, con riferimento alle Università, attribuisce all’autonomia dei singoli Istituti l’assunzione di iniziative “compresa l’istituzione di corsi di lingua e cultura delle lingue” minoritarie, ricerca scientifica e attività culturali e formative a sostegno delle finalità poste dalla legge n. 482.
Ancora una volta il dato normativo conduce ad evidenziare che nelle situazioni in cui l’ordinamento prevede la tutela di specifiche lingue minoritarie, viene comunque preservato il primato della lingua italiana, che non può comunque assumere un ruolo subordinato o secondario.
A maggior ragione, una volta chiarito che il principio del primato della lingua italiana ha portata generale, come precisato dalla Corte Costituzionale, sussiste la necessità di garantire che la lingua italiana non subisca trattamenti deteriori anche quando il rapporto non sia con lingue minoritarie tutelate, ma con lingue straniere rispetto alle quali non sussistano specifiche norme di tutela.
A ben vedere, tale principio è esplicitato, per gli insegnamenti erogati in ambito universitario, dall’art. 271 del R.D. 31 agosto 1933, n. 1592, recante l’approvazione del testo unico delle leggi sull’istruzione superiore, ove si prevede che “la lingua italiana è la lingua ufficiale dell’insegnamento e degli esami in tutti gli stabilimenti universitari”.
La disposizione ribadisce il primato della lingua italiana nel contesto degli insegnamenti universitari, sicché in relazione ad essi l’italiano non può assumere un ruolo subordinato o comunque secondario rispetto all’uso di altre lingue.
L’Avvocatura distrettuale pone il problema della compatibilità della norma appena richiamata con l’art. 2, comma 2, lett. l), della legge 2010 n. 240, rilevando che, quand’anche non si ritenga che la seconda disposizione abbia abrogato implicitamente la prima, nondimeno quest’ultima non potrebbe operare qualora le Università decidessero, come nel caso concreto, di rafforzare il profilo dell’internazionalizzazione, mediante l’attivazione di corsi di studio in lingua straniera.
La tesi, pur se diffusamente argomentata, non può essere condivisa.
Occorre muovere dal contenuto dell’art. 2, comma 2, lett. l), della legge 2010 n. 240, ove si prevede che “…le università statali modificano, altresì, i propri statuti in tema di articolazione interna, con l’osservanza dei seguenti vincoli e criteri direttivi: … l) rafforzamento dell’internazionalizzazione anche attraverso una maggiore mobilità dei docenti e degli studenti, programmi integrati di studio, iniziative di cooperazione interuniversitaria per attività di studio e di ricerca e l’attivazione, nell’ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente, di insegnamenti, di corsi di studio e di forme di selezione svolti in lingua straniera”.
La norma pone un criterio direttivo, che deve orientare l’autonomia universitaria al fine di rafforzare il processo di internazionalizzazione, consentendo alle istituzioni universitarie di istituire insegnamenti, corsi di studio e forme di selezione svolti in lingua straniera.
Il rapporto tra la norma appena citata e l’art. 271 del R.D. 1931, n. 1592, non é strutturabile in termini di incompatibilità, con conseguente abrogazione implicita della disposizione più remota, perché le due norme hanno ambiti di operatività differenti.
In particolare, l’art. 271 sancisce il primato della lingua italiana per gli insegnamenti universitari, mentre l’art. 2, comma 2, lett. l), della legge 2010, n. 240, prevede la possibilità di introdurre dei corsi in lingua straniera per incrementare la vocazione internazionale degli istituti universitari.
Insomma, tra le due norme non ricorre un rapporto di incompatibilità logica, né sussiste un’inconciliabilità tra i loro contenuti precettivi, sicché non vi è spazio per configurare un’abrogazione tacita per incompatibilità, ai sensi dell’art. 15 delle disposizioni preliminari al codice civile.
Ecco, allora, che il rapporto che intercorre tra le due norme deve essere costruito tenendo conto del principio del primato della lingua italiana, che, come già precisato, emerge indirettamente dalla carta costituzionale ed è sancito direttamente da alcune leggi costituzionali, come il Testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino Alto Adige.
Ne deriva che l’internazionalizzazione delle Università deve essere compiuta rispettando il primato della lingua italiana, da intendere secondo le precisazioni sviluppate dalla Corte Costituzionale (cfr. (cfr. Corte Cost. 20 gennaio 1982, n. 28; Corte Cost. 22 maggio 2009, n. 159).
Proprio applicando i già richiamati criteri elaborati dalla Corte, si deve ritenere che il processo di internazionalizzazione sia compatibile con l’ordinamento nella misura in cui non collochi la lingua italiana in posizione marginale rispetto ad altre lingue, facendole assumere un ruolo subordinato nel contesto dell’insegnamento universitario.
Da ciò deriva che il rapporto tra l’art. 271 del R.D. 1933, n. 1592 e l’art. 2, comma 2, lett. l), della legge 2010 n. 240, non è qualificabile in termini di deroga, nel senso che la seconda disposizione legittima una deroga al principio sancito dalla prima, come pure prospettato dall’Avvocatura, anche nel corso della discussione in pubblica udienza, perché questa ricostruzione condurrebbe a porre in contrasto l’art. 2, comma 2, lett. l), con il principio costituzionale del primato della lingua italiana.
Contrasto non insuperabile, perché l’art. 2, comma 2, lett. l), si presta ad essere interpretato in modo coerente con il quadro costituzionale e con le norme che,