In relazione ai procedimenti per la chiamata dei ricercatori, la lett. c) dell’articolo 18 della legge 30 dicembre 2010, n.240, dispone l’applicazione dei criteri di cui alla lettera b) ultimo periodo (ovvero il regime di incompatibilità) in relazione “alla stipulazione dei contratti di cui all’art. 24”. Nel primo caso la sussistenza di una incompatibilità impedisce la partecipazione alla procedura, nel secondo caso la stipulazione del contratto. La ratio della norma è quella di evitare fenomeni di nepotismo che condizionino l’accesso alla carriera universitaria. Corollario della disposizione è che il parente o l’affine quale “professore appartenente al dipartimento o alla struttura che effettua la chiamata” eserciti un ruolo decisorio nelle diverse fasi della procedura e condizioni l’imparzialità degli organi preposti alle diverse fasi; tuttavia, non è individuabile alcuna incompatibilità laddove il parente o l’affine del partecipante alla procedura rivesta la posizione di professore a contratto, facente parte del solo consiglio didattico e non del consiglio si dipartimento, non potendo lo stesso esprimere alcuna volontà, né formalmente incidere, non facendo parte del predetto organo: l’appartenenza del professore al dipartimento o alla struttura deve essere un’appartenenza giuridicamente rilevante e non un mero gravitare negli ambienti universitari, un’appartenenza, cioè, in grado di incidere nei processi decisionali.
TAR Lombardia, Milano, Sez. III, 23 marzo 2017, n. 701
Procedura di valutazione comparativa copertura posto di ricercatore-Incompatibilità
N. 00701/2017 REG.PROV.COLL.
N. 01807/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1807 del 2016, proposto da:
[#OMISSIS#] D’Ancona, rappresentato e difeso dagli avvocati [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e [#OMISSIS#] D’Ancona, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Milano, via A. Cadamosto, n. 8;
contro
Università degli Studi di Pavia, in persona del Rettore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, con domicilio eletto in Milano, via Freguglia, n.1;
nei confronti di
[#OMISSIS#] Pampanin, rappresentato e difeso dall’avvocato Martino [#OMISSIS#], con domicilio eletto presso la Segreteria del T.A.R. in Milano Via Corridoni, n. 39;
[#OMISSIS#] Averardi, rappresentato e difeso dagli avvocati [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Kostandin [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] Fortuna, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. [#OMISSIS#] Giannì in Milano, corso Monforte, n. 21;
per l’annullamento
– del decreto del Rettore dell’Università degli Studi di Pavia n. 783/2016 del 6 maggio 2016 comunicato in pari data via pec e avente ad oggetto “Approvazione atti di procedura di selezione per l’assunzione di n. 1 Ricercatore a tempo determinato ai sensi dell’art. 24 comma 3 lett. a) della Legge 240/2010 – Settore concorsuale 12/D1 – Diritto Amministrativo – SSD – IUS/10 – Diritto Amministrativo” con il quale il Rettore ha approvato gli atti e i verbali della procedura richiamata in oggetto;
– del Verbale n. 1 della Commissione di concorso datato 18 marzo 2016 in cui sono stati predeterminati i criteri per la valutazione dei titoli e delle pubblicazioni, nelle parti di cui si dirà in parte Conclusioni;
– del Verbale n. 2 della Commissione di concorso datato 8 aprile 2016 nelle parti di cui si dirà in parte Conclusioni;
– del Verbale n. 3 della Commissione di concorso datato 2 maggio 2016, della Relazione finale, degli allegati comprese le griglie valutative e i giudizi analitici espressi;
nonché ove occorrer possa,
del Decreto del Rettore dell’Università degli Studi di Pavia n. 2009/2015 del 2 ottobre 2015, pubblicato in data 13 ottobre 2015 (Bando), con cui è stata indetta la Procedura di selezione per l’assunzione di n. 2 Ricercatore a tempo determinato ai sensi dell’art. 24 comma 3 lett. a) della Legge 240/2010, limitatamente all’art. 6 recante Incompatibilità e previa disapplicazione e/o annullamento di ogni altro atto o norma anche regolamentare dell’Università degli Studi di Pavia, in cui si prevede che il grado di parentela o affinità fino al quarto grado limita esclusivamente il diritto a stipulare il contratto da parte di chi è risultato vincitore della procedura selettiva;
Ove occorrer possa, per la declaratoria di inefficacia o annullamento o nullità
del contratto di lavoro eventualmente stipulato, nelle more, tra il dott. Pampanin e l’Università degli Studi di Pavia.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Università degli Studi di Pavia nonché dei controinteressati [#OMISSIS#] Pampanin e [#OMISSIS#] Averardi;
Viste le memorie difensive;
Visti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 24 gennaio 2017 la dott.ssa [#OMISSIS#] Mameli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con Decreto del Rettore del 2 ottobre 2015 l’Università degli Studi di Pavia indiceva una procedura concorsuale, per titoli e pubblicazioni, per l’assunzione di due ricercatori a tempo determinato (3 anni).
Uno dei due posti oggetto della selezione si riferiva al settore concorsuale Diritto Amministrativo (12/D1), ed in particolare allo specifico settore scientifico Diritto Amministrativo IUS/10.
L’iniziativa per l’avvio del concorso era stata deliberata dal Consiglio di Dipartimento di Giurisprudenza in data 14 luglio 2015.
Il Bando di concorso veniva pubblicato sul sito dell’Università in data 13 ottobre 2015, fissando al 12 novembre 2015 il termine per la presentazione delle domande di partecipazione.
In data 11 dicembre 2015 il Rettore nominava quali componenti della Commissione i Professori [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] (Presidente), Bruno Tonoletti e [#OMISSIS#] Del Signore.
In data 18 marzo 2016 la Commissione si riuniva per la prima volta (Verbale n. 1) e determinava sia i criteri che i punteggi da attribuire ai titoli e alla produzione scientifica come di seguito indicato:
a) per titoli professionali: fino a un massimo di 10 punti;
b) per titoli accademici: fino a un massimo di 10 punti;
c) per pubblicazioni: fino a un massimo di 40 punti;
Riguardo ai titoli accademici il punteggio (10 punti) veniva ulteriormente ripartito come segue:
– possesso del titolo di dottore di ricerca o equipollenti: fino ad un massimo di 6 punti;
– laurea: fino a un massimo di 4 punti.
In ordine ai criteri di valutazione delle pubblicazioni (per cui era stato stabilito il punteggio massimo di 40 punti), la Commissione, “ritenendo che nel settore scientifico disciplinare relativo alla procedura in oggetto non esistano indici statistici affidabili o affermati (numero delle citazioni, numero medio di citazioni per pubblicazione, impact factor totale e medio, indice di Hirsh o simili, etc.)“, stabiliva che il punteggio complessivo sarebbe stato distribuito in sotto-punteggi sulla base di alcuni criteri dalla stessa Commissione stabiliti, ovvero:
a) per originalità, innovatività, rigore metodologico scientifico e rilevanza di ciascuna pubblicazione scientifica: fino a un massimo di punti 35;
b) per la congruenza di ciascuna pubblicazione con il settore concorsuale per il quale è bandita la procedura e con l’eventuale profilo, definito esclusivamente tramite indicazione di uno o più settori scientifico-disciplinari, ovvero con tematiche interdisciplinari ad essi correlate: fino a un massimo di punti 2;
c) per la rilevanza scientifica della collocazione editoriale di ciascuna pubblicazione e sua diffusione all’interno della comunità scientifica: fino a un massimo di punti 3.
Successivamente, in data 8 aprile 2016, la Commissione si riuniva e, presa visione dell’elenco dei candidati fornito dall’Amministrazione, procedeva all’apertura dei plichi.
Tra i cinque candidati risultavano, tra gli altri, l’attuale ricorrente, e i due odierni controinteressati Pampanin [#OMISSIS#] e Averardi [#OMISSIS#].
Esaminati i curricula e l’elenco delle pubblicazioni, la Commissione rilevava che, per le pubblicazioni nn. 5 e 6 di Averardi e nn. 3, 9, 10 di Pampanin, i candidati avevano dichiarato che le stesse erano in corso di pubblicazione; tuttavia nulla avevano allegato a supporto di tale dichiarazione, considerato che, ai sensi dell’art. 4 del bando, erano considerate valutabili ai fini della selezione esclusivamente pubblicazioni o testi accettati per la pubblicazione secondo le norme vigenti. Pertanto la Commissione decideva di prendere in considerazione tali lavori, ai fini della valutazione preliminare, “salva verifica dell’effettiva esistenza delle dichiarazioni di accettazione per la pubblicazione emesse in data anteriore alla scadenza del bando, ai fini dell’attribuzione del punteggio ai singoli lavori”.
Successivamente i concorrenti Pampanin e Avelardi producevano la documentazione a supporto delle pubblicazioni oggetto di riserva da parte della Commissione.
In data 2 maggio 2016 si svolgeva la terza e ultima riunione della Commissione per lo svolgimento del colloquio con candidati, cui partecipavano il ricorrente, il Dott. Pampanin e il Dott. Averardi.
A seguito del colloquio la Commissione procedeva all’attribuzione dei punteggi (Allegato 1 al Verbale n. 3), individuando il Dott. Pampanin quale idoneo alla selezione, con punti 29,08, secondo in graduatoria il dott. Averardi con 25,68 punti e terzo il ricorrente con 23.38 punti.
Con Decreto n. 19365 del 6 maggio 2016 il Rettore approvava i verbali e gli allegati della Commissione giudicatrice, inclusa la dichiarazione di idoneità del Pampanin e la graduatoria.
Avverso tale decreto e tutti gli atti della procedura il dott. D’Ancona proponeva il ricorso indicato in epigrafe.
Si costituivano in giudizio sia l’Università intimata sia i controinteressati, resistendo al ricorso e chiedendone il rigetto.
Alla camera di consiglio dell’8 settembre 2016, fissata per l’esame della domanda cautelare contestualmente formulata, il ricorrente vi rinunciava.
In vista della trattazione nel merito del ricorso le parti scambiavano memorie e repliche, insistendo nelle rispettive conclusioni.
Indi all’udienza pubblica del 24 gennaio 2017 la causa veniva chiamata e trattenuta per la decisione.
DIRITTO
I) Il ricorso proposto è affidato ai motivi di gravame di seguito sintetizzati:
1) Eccesso di potere per violazione dell’art. 18, comma 1, lettere b) e c), della legge n. 240 del 2010. Eccesso di potere per sviamento dal fine pubblico. Violazione del principio di imparzialità e dell’art. 97 Cost. In via meramente eventuale, Illegittimità dell’art. 6 del Bando di concorso:
il candidato risultato idoneo, [#OMISSIS#] Pampanin, è figlio di un Professore, [#OMISSIS#] Pampanin, che, al momento in cui è stata avviata la procedura, era afferente (Professore a contratto) al Dipartimento di Giurisprudenza, ovvero al Dipartimento che aveva proposto l’avvio della procedura stessa. Per di più, il Prof. Pampanin era docente di una disciplina (Diritto Urbanistico) appartenente al medesimo Settore scientifico (Diritto Amministrativo) per cui è stato bandito il concorso oggetto del presente giudizio. Il Prof. Pampanin ha insegnato, ininterrottamente, presso quel Dipartimento di Giurisprudenza dell’Ateneo resistente, dal 1973, come Assistente nel settore scientifico Diritto Amministrativo e dal 1983 fino al 2012 (anno del pensionamento) come Professore Associato. Inoltre a partire dall’anno accademico 2014-2015 avrebbe continuato a farne parte come Professore a contratto di Diritto Urbanistico, fino all’Anno Accademico 2015-2016 nel corso del quale ha rassegnato le proprie dimissioni, tuttavia successivamente all’avvio della procedura per cui è causa; infatti il bando di concorso è stato pubblicato in data 11 ottobre 2015 e il prof. Pampanin avrebbe rassegnato le dimissioni solo in data 19 ottobre 2015. Tali circostanze si porrebbero in contrasto con l’art. 18 comma 1 lett. b) della L. 240/2010;
2) Illegittimità, in parte, della determinazione dei criteri e della distribuzione dei punteggi per quanto riguarda i titoli accademici (Verbale n. 1 del 18 marzo 2016). Violazione dell’art. 2 del Bando di concorso recante Requisiti per l’ammissione alla valutazione comparativa. Violazione dell’art. 3 del D.M. 22 ottobre 2004 e dell’art. 74 del D.P.R. 11 luglio 1980, n. 13. Eccesso di potere per manifesta irragionevolezza. Violazione dell’art. 4 comma 4 D.P.R. 23 marzo 2000, n. 117. Violazione dell’art. 2 D.M. 28 luglio 2009:
nella seduta del 18 marzo 2016 la Commissione ha stabilito i criteri di valutazione, inserendo la laurea tra i titoli accademici valutabili. Tale determinazione sarebbe illegittima in quanto violerebbe: – l’art. 2 del Bando, poiché la Commissione avrebbe fatto transitare il titolo della Laurea dall’area dei requisiti per l’ammissione alla selezione all’area dei criteri di valutazione; – l’art. 3 del D.M. 22 ottobre 2004, rubricato proprio “Titoli e corsi di Studio”, essendo la laurea è disciplinata come titolo di studio, non già come un titolo accademico. Per l’opposto, costituirebbe “qualificazione accademica”, secondo l’esatta dizione dell’art. 74 del DPR n. 382/80, il Dottorato di ricerca; – l’art. 4 comma 4 del DPR 114/2000, in quanto il legislatore ha previsto che “costituiscono, in ogni caso, titoli da valutare specificamente nelle valutazioni comparative” una serie di titoli, tra cui non vi sarebbe la Laurea;
3) Illegittimità della determinazione dei punteggi relativamente ai Titoli accademici di Pampanin, Averardi, D’Ancona (allegato n. 1 al verbale n. 3 e relativa griglia di punteggi). Eccesso di potere per carenza e contraddittorietà della motivazione. Eccesso di potere per violazione del principio di par condicio tra i concorrenti. Eccesso di potere per manifesta. Irragionevolezza:
sarebbe illegittima l’attribuzione di un solo punto al ricorrente per il dottorato di ricerca, a fronte dei quattro punti attribuiti agli altri due concorrenti;
4) Illegittimità della determinazione dei criteri e della distribuzione dei punteggi per quanto riguarda le Pubblicazioni (Verbale n. 1, 18 marzo 2016). Violazione e falsa applicazione dell’art. 4 comma 2 del D.P.R. 23 marzo 2000 n. 117. Violazione dell’art. 3 commi 2 e 3 D.M. 28 luglio 2009. Eccesso di potere per manifesta irragionevolezza. Eccesso di potere per violazione del principio di proporzionalità. Violazione del principio di buon andamento e dell’art. 97 Cost. Violazione del principio di trasparenza. Eccesso di potere per contraddittorietà e illogicità manifesta nella determinazione dei criteri e relativi punteggi:
nella seduta del 18 marzo 2016 la Commissione di concorso ha determinato i criteri e i relativi punteggi da attribuire ad ogni pubblicazione. Il punteggio complessivo massimo attribuibile per ogni Pubblicazione veniva stabilito in 40 punti ripartiti tra tre criteri nella seguente misura: a) per originalità, innovatività, rigore metodologico scientifico e rilevanza di ciascuna pubblicazione scientifica: punti 35; b) per congruenza di ciascuna pubblicazione con il settore concorsuale per il quale è bandita la procedura e con l’eventuale profilo, definito esclusivamente tramite indicazione di uno o più settori scientifico-disciplinari, ovvero con tematiche interdisciplinari ad essi correlate: punti 2; c) per rilevanza scientifica della collocazione editoriale di ciascuna pubblicazione e sua diffusione all’interno della comunità scientifica: punti 3. Tale distribuzione dei punteggi sarebbe illegittima in relazione sia al D.P.R. 23 marzo 2000 n. 117 sia al D.M. 28 luglio 2009. Inoltre sarebbe illegittima la mancata previsione, tra i criteri di valutazione delle pubblicazioni, del criterio di cui alla lett. e) dell’art. 4 comma 2 del DPR 117/2000 (continuità temporale della produzione scientifica, anche in relazione alla evoluzione delle conoscenze nello specifico settore scientifico-disciplinare), funzionale a ponderare la “affidabilità” scientifica nel tempo degli aspiranti ricercatori. La ripartizione dei punteggi tra i tre criteri suddetti sarebbe irragionevole e sproporzionata. Inoltre la Commissione non avrebbe stabilito un criterio che tenesse conto delle diverse tipologie di produzioni (Note a sentenza, Articoli, Monografie). Indicativo dell’irragionevolezza sarebbe poi il punteggio attribuito alla tesi di dottorato del ricorrente (1 punto) rispetto alle note a sentenza del concorrente Averardi, cui è stato assegnato un punteggio maggiore;
5) Violazione del principio di par condicio dei concorrenti. Violazione del principio di imparzialità dell’art. 97 Cost. Violazione dell’art. 3 comma 1 D.M. 28 luglio 2009. Violazione e falsa applicazione dell’art. 4 del Bando. Violazione dei principi in materia di documenti amministrativi di cui al D.P.R. n. 445/200. Violazione degli artt. 20- 23quater D.lgs. n. 82/2005. Eccesso di potere per travisamento del fatto e carenza di istruttoria. (Illegittimità dell’ammissione alla valutazione delle pubblicazioni nn. 5 e 6 di Averardi e nn. 3,9 e n. 10 di Pampanin e invalidità derivata degli atti conseguenti che attribuiscono i punteggi alle predette pubblicazioni (Giudizi nonché tabella con punteggi e griglia):
sia il dott. Pampanin che il dott. Averardi hanno presentato, come pubblicazioni da valutare, alcuni articoli in corso di pubblicazione in formato cartaceo, su carta semplice, senza produrre alcuna dichiarazione a supporto. A seguito della richiesta della Commissione di integrare la documentazione, entrambi i candidati – odierni controinteressati – avrebbero allegato alcuni documenti del tutto inadeguati a provare l’accettazione della pubblicazione dei contributi prima della scadenza del termine previsto dal Bando;
6) Eccesso di potere per travisamento del fatto e manifesta illogicità. Eccesso di potere per manifesta disparità e incongruenza. Eccesso di potere per manifesta irragionevolezza. Eccesso di potere per contraddittorietà nella motivazione (Illegittimità dei Giudizi espressi dalla Commissione sulla produzione scientifica del ricorrente e dei controinteressati):
sarebbero illegittimi perché privi di motivazione i punteggi attribuiti alla monografia, alla tesi di dottorato di ricerca e all’articolo del ricorrente in raffronto con i punteggi attribuiti agli altri due concorrenti.
II) In relazione ai motivi di gravame sopra elencati e sintetizzati il ricorrente formula conseguentemente le seguenti gradate domande: in via principale l’accertamento del diritto del ricorrente ad essere dichiarato idoneo e vincitore della selezione, e in via subordinata l’annullamento dell’intera procedura.
Ad avviso del Collegio la domanda di accertamento non può trovare accoglimento.
Invero anche i motivi apparentemente volti ad ottenere l’accertamento del proprio diritto ad essere dichiarato idoneo (ovvero quelli involgenti l’attribuzione dei punteggi) impattano con profili di discrezionalità valutativa della Commissione, che non consentirebbero al Tribunale una pronuncia accertativa del diritto, ma il cui accoglimento comporterebbe l’annullamento della procedura e l’obbligo di riedizione della stessa.
In altri termini l’impianto impugnatorio, nei limiti entro cui può esercitarsi il sindacato giurisdizionale, consente, astrattamente, di pervenire soltanto ad una pronuncia di annullamento.
Ciò posto, va osservato che la diversa articolazione dei motivi riverbera sul momento procedimentale a partire dal quale – in tesi – si sarebbe determinata l’illegittimità.
Alla luce di tale chiave di lettura, logica e giuridica, i mezzi di gravame possono essere enucleati in relazione alla fase procedimentale che sono diretti a censurare, ovvero:
– la fase di ammissione dei candidati (rectius del candidato Pampanin, I motivo);
– la determinazione dei criteri di valutazione e dei relativi punteggi da parte della Commissione (II e IV motivo);
– le concrete valutazioni effettuate dalla Commissione (III, V, e VI motivo).
Pare evidente che l’accoglimento dei motivi relativi alla determinazione dei criteri renderebbe superfluo lo scrutinio dei mezzi diretti a contestare le valutazioni.
Nell’ordine e con la logica sopra evidenziati si passa quindi ad esaminare i motivi di gravame.
III) Con il primo motivo il ricorrente contesta l’ammissione alla procedura del concorrente dichiarato idoneo, in quanto il padre di questi avrebbe per anni insegnato quale professore associato presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università e, una volta collocato a riposo, avrebbe avuto l’incarico di professore a contratto di diritto urbanistico, incarico ricoperto al momento di indizione della procedura; le dimissioni sarebbero infatti intervenute a procedura già avviata. Ciò si porrebbe in contrasto con l’art. 18 comma 1 lett. b) della L. 240/2010.
Ad avviso del Collegio tale motivo non è meritevole di accoglimento.
La disposizione invocata dal ricorrente quale paradigma normativo a sostegno del primo motivo di ricorso – richiamata dalla lett. c) del medesimo articolo ai fini dell’applicazione anche alla stipulazione del contratti di ricercatore di cui all’art. 24 – stabilisce che “1. Le università, con proprio regolamento adottato ai sensi della legge 9 maggio 1989, n. 168, disciplinano, nel rispetto del codice etico, la chiamata dei professori di prima e di seconda fascia nel rispetto dei principi enunciati dalla Carta europea dei ricercatori, di cui alla raccomandazione della Commissione delle Comunità europee n. 251 dell’11 marzo 2005, e specificamente dei seguenti criteri: a) pubblicità del procedimento di chiamata sulla Gazzetta Ufficiale, sul sito dell’ateneo e su quelli del Ministero e dell’Unione europea; specificazione del settore concorsuale e di un eventuale profilo esclusivamente tramite indicazione di uno o più settori scientifico-disciplinari; informazioni dettagliate sulle specifiche funzioni, sui diritti e i doveri e sul relativo trattamento economico e previdenziale; b) ammissione al procedimento, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 29, comma 8, di studiosi in possesso dell’abilitazione per il settore concorsuale ovvero per uno dei settori concorsuali ricompresi nel medesimo macrosettore e per le funzioni oggetto del procedimento, ovvero per funzioni superiori purché non già titolari delle medesime funzioni superiori. Ai procedimenti per la chiamata di professori di prima e di seconda fascia possono partecipare altresì i professori, rispettivamente, di prima e di seconda fascia già in servizio, nonché gli studiosi stabilmente impegnati all’estero in attività di ricerca o insegnamento a livello universitario in posizioni di livello pari a quelle oggetto del bando, sulla base di tabelle di corrispondenza, aggiornate ogni tre anni, definite dal Ministro, sentito il CUN. In ogni caso, ai procedimenti per la chiamata, di cui al presente articolo, non possono partecipare coloro che abbiano un grado di parentela o di affinità, fino al quarto grado compreso, con un professore appartenente al dipartimento o alla struttura che effettua la chiamata ovvero con il rettore, il direttore generale o un componente del consiglio di amministrazione dell’ateneo; c) applicazione dei criteri di cui alla lettera b), ultimo periodo, in relazione al conferimento degli assegni di ricerca di cui all’articolo 22 e alla stipulazione dei contratti di cui all’articolo 24 e di contratti a qualsiasi titolo erogati dall’ateneo…””.
Sotto un profilo letterale il Collegio osserva che in relazione ai procedimenti per la chiamata dei ricercatori, la lett. c) dell’articolo 18 sopra riportato dispone l’applicazione dei criteri di cui alla lettera b) ultimo periodo (ovvero il regime dell’incompatibilità) in relazione “alla stipulazione dei contratti di cui all’art. 24”.
Si può quindi concludere nel senso di un differente regime di incompatibilità per i procedimenti per la chiamata dei professori e per quelli per ricercatore di cui all’art. 24. Nel primo caso la sussistenza di un’incompatibilità impedisce la partecipazione alla procedura, nel secondo caso la stipulazione del contratto.
Al dato letterale si aggiunge l’esito di un’ermeneusi teleologica e sistematica rispetto ai principi generali.
La disposizione, infatti, in quanto comporta la limitazione alla partecipazione, deve essere interpretata in senso restrittivo.
La ratio della norma è quella di evitare fenomeni di nepotismo che condizionino l’accesso alla carriera universitaria.
Corollario della disposizione è che il parente o l’affine quale “professore appartenente al dipartimento o alla struttura che effettua la chiamata” eserciti un ruolo decisorio nelle diverse fasi della procedura e condizioni l’imparzialità degli organi preposti alle diverse fasi.
Ora, facendo applicazione di tali principi al caso di specie, puntualizzato che non è in discussione che il prof. [#OMISSIS#] Pampanin, padre dell’odierno controinteressato, fosse, all’epoca dell’indizione della procedura, professore a contratto, il Collegio osserva che ai sensi dell’art. 22 dello Statuto dell’Università degli Studi di Pavia il Consiglio di Dipartimento è costituito dai professori di ruolo, dai ricercatori di ruolo e dai ricercatori a tempo determinato, nonché da una rappresentanza degli studenti iscritti ai corsi di studio di pertinenza, degli studenti iscritti al dottorato di ricerca e dei titolari di assegni di ricerca. Nel Consiglio di Dipartimento quindi non siedono i professori a contratto, che invece fanno parte del Consiglio didattico (cfr. art. 30 dello Statuto).
Pertanto, sull’indizione della procedura di cui alla deliberazione del Consiglio di Dipartimento del 14 luglio 2015 il prof. [#OMISSIS#] Pampanin non poteva esprimere alcuna volontà, né formalmente incidere, non facendo parte del predetto organo.
D’altro canto, sotto un profilo di fatto, a margine dell’assenza del prof. Pampanin nelle predetta seduta, risulta espressamente dal relativo verbale che i professori a contratto siano stati convocati soltanto sui punti relativi alla didattica (che, evidentemente, non hanno alcuna rilevanza nella presente controversia) e che siano usciti dopo la trattazione dei punti all’ordine del giorno di loro competenza.
Ad avviso del Collegio, considerato che, come già anticipato, alla norma deve essere data un’interpretazione stretta, in tale ottica deve ritenersi che “l’appartenenza del professore al dipartimento o alla struttura” debba essere un’appartenenza giuridicamente rilevante e non un mero “gravitare negli ambienti universitari”, un’appartenenza cioè in grado di incidere nei processi decisionali.
Per le medesime ragioni non può ritenersi rilevante la sussistenza del rapporto contrattuale del prof. Pampanin con l’Università al momento della pubblicazione del bando ovvero della nomina della Commissione.
Per quanto sopra esposto, il primo motivo di ricorso non può trovare accoglimento.
IV) Con il secondo e quarto motivo di ricorso il ricorrente contesta la determinazione dei criteri di valutazione e dei relativi punteggi da parte della Commissione.
Va in proposito respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata dalla difesa del dr. Averadi, in quanto, a suo dire, il ricorrente avrebbe dovuto tempestivamente impugnare i criteri stabiliti nella seduta del 18 marzo 2016 e resi pubblici il successivo 22 marzo 2016.
L’eccezione non può essere condivisa, in quanto l’asserita lesione si è prodotta soltanto in occasione dell’applicazione dei criteri, che pertanto, in sé considerati, il ricorrente non aveva interesse ad impugnare.
IV.1) Venendo all’esame dei predetti mezzi di gravame, con il secondo mezzo si deduce l’illegittimità della determinazione della Commissione che, nella seduta del 18 marzo 2016, ha inserito la laurea tra i titoli accademici valutabili, stabilendo un punteggio fino ad un massimo di 4 punti. Al ricorrente è stato attribuito 1 punto, mentre agli altri due concorrenti il punteggio massimo.
Va premesso che, ai sensi dell’art. 29 comma 13 della L. 240/20101, fino all’anno 2015 la laurea magistrale o equivalente, unitamente ad un curriculum scientifico professionale idoneo allo svolgimento di attività di ricerca, è titolo valido per la partecipazione alle procedure pubbliche di selezione relative ai contratti di cui all’articolo 24; successivamente alla predetta data l’ammissione alle procedure è invece condizionata al possesso del titolo di dottore di ricerca o titolo equivalente.
Nella vicenda che ci occupa deve ritenersi applicabile la disposizione di cui all’art. 29 comma 13, essendo la selezione stata bandita nel 2015.
In relazione a tale motivo i controinteressati e l’Università hanno replicato, in sintesi, che
– la laurea, quale titolo valutato dalla Commissione, non sarebbe stato considerato in sé ma in relazione al relativo voto conseguito;
– il diploma di laurea costituiva, ai sensi dell’art. 2 del bando, uno dei requisiti di ammissione, in alternativa con il titolo di dottore di ricerca (o titolo equivalente) e anche il dottorato di ricerca è stato oggetto di valutazione nell’ambito dei titoli accademici, senza che il ricorrente abbia manifestato alcuna censura in relazione a tale determinazione;
– la normativa di riferimento ed in particolare l’art. 4 comma 4 del DPR n. 117/2000 non fornirebbe un elenco tassativo di titoli valutabili, ma un nucleo minimo.
Ad avviso del Collegio il motivo è fondato, sulla base della dirimente circostanza che la laurea non risulta prevista dal bando (Decreto del Rettore n. 2009 del 2 ottobre 2015) tra i titoli valutabili.
Dispone infatti l’art. 8 del bando che la Commissione effettua una motivata valutazione dei seguenti titoli debitamente documentati:
a) dottorato di ricerca o equipollente, ovvero, per i settori interessati, il diploma di specializzazione medica o equivalente conseguito In Italia o all’estero;
b) eventuale attività didattica a livello universitario in Italia o all’estero;
c) documentata attività di formazione o di ricerca presso qualificati istituti italiani o stranieri;
d) documentata attività in campo clinico relativamente ai settori concorsuali nei quali sono richieste tali specifiche competenze;
e) realizzazione di attività progettuale relativamente al settori concorsuali nei quali è prevista;
f) organizzazione, direzione e coordinamento di gruppi di ricerca nazionali e internazionali, o
partecipazione agli stessi;
g) titolarità di brevetti relativamente al settori concorsuali nei quali è prevista;
h) relatore a congressi e convegni nazionali e internazionali;
i) premi e riconoscimenti nazionali e internazionali per attività di ricerca;
j) diploma dl specializzazione europea riconosciuto da Board internazionali, relativamente a quei settori concorsuali nei quali è prevista.
Come risulta per tabulas la laurea non è ricompresa tra i titoli oggetto di valutazione da parte della Commissione.
E dunque, quand’anche fosse in astratto possibile – sulla base della normativa di riferimento complessivamente considerata – valutare la laurea quale titolo e ritenerla un titolo accademico, l’autolimitazione imposta dalla lex specialis preclude alla Commissione di derogarvi in sede di determinazione dei criteri di valutazione.
Il motivo è dunque fondato.
All’accoglimento tuttavia non consegue, come sopra anticipato, la “neutralizzazione” del punteggio massimo previsto per la laurea, come vorrebbe il ricorrente, e l’attribuzione in termini proporzionali dei 10 punti complessivi stabiliti per la valutazione dei titoli, in quanto la determinazione dei criteri costituisce un ambito di discrezionalità tecnica della Commissione sottratto al potere giurisdizionale, in ossequio al principio di riserva di amministrazione. In ogni caso, va detto che seppur si procedesse nei termini voluti dal ricorrente, lo stesso non potrebbe essere dichiarato idoneo, sopravanzando al secondo concorrente, ma non al primo classificato, e dunque non ottenendo alcun concreto vantaggio.
Diversamente l’accoglimento del secondo motivo, unitamente al terzo, come si dirà infra, determina l’annullamento della procedura a partire dalla determinazione dei criteri e l’obbligo dell’Amministrazione di riprovvedere.
IV.2) Come anticipato, è meritevole di accoglimento anche il quarto motivo di ricorso con il quale si deduce l’illegittimità della determinazione dei criteri e della distribuzione dei punteggi per quanto riguarda le pubblicazioni.
Sotto un profilo di fatto nella seduta del 18 marzo 2016 la Commissione ha stabilito in 40 punti il punteggio massimo attribuito alle pubblicazioni, così ripartito:
– 35 punti per “originalità, innovatività, rigore metodologico scientifico e rilevanza di ciascuna pubblicazione scientifica”
– 2 punti per “congruenza di ciascuna pubblicazione con il settore concorsuale per il quale è bandita la procedura e con l’eventuale profilo, definito esclusivamente tramite indicazione di uno o più settori scientifico-disciplinari, ovvero con tematiche interdisciplinari ad essi correlate”;
– 3 punti per “rilevanza scientifica della collocazione editoriale di ciascuna pubblicazione e sua diffusione all’interno della comunità scientifica”.
Il ricorrente lamenta che la Commissione avrebbe escluso il criterio relativo alla “continuità temporale della produzione scientifica, anche in relazione alla evoluzione delle conoscenze nello specifico settore scientifico-disciplinare”, funzionale a ponderare la “affidabilità” scientifica nel tempo degli aspiranti ricercatori, espressamente previsto dalla lett. e del comma 2 dell’art. 4 del DPR 117/2000 e co