N. 00872/2018 REG.PROV.COLL.
N. 02919/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 2919 del 2017, proposto da:
[#OMISSIS#] Azzaro, rappresentato e difeso dagli avvocati [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. [#OMISSIS#] Carmicino in Milano, via Sardegna n. 51;
contro
Università degli Studi Milano Bicocca, in persona del Rettore pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, con domicilio eletto in Milano, via Freguglia, n.1;
nei confronti
C.I.Di.S. – Consorzio Pubblico Interuniversitario per la Gestione degli Interventi di Diritto allo Studio Universitario in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituito;
per l’annullamento
previa sospensione dell’efficacia
– della Determina n. 4083/2017, con cui l’Università degli Studi Milano Bicocca ha disposto la decadenza dai benefici relativi agli anni accademici 2014/2015 e 2015/2016 e l’applicazione delle sanzioni ex art. 10 del D.lgs. 68/2012 ed ex art. 38, c. 3 legge 122/2010, nonché l’adeguamento della contribuzione universitaria per i predetti anni accademici;
– dell’atto di avvio del procedimento di decadenza dalla borsa di studio e di adeguamento della contribuzione universitaria per gli anni accademici 2014/2015 e 2015/2016, del 3 luglio 2017;
– nonché, ogni altro atto o provvedimento, antecedente o successivo, comunque presupposto, connesso e/o consequenziale, ivi compreso, il Decreto Rettorale n. 10332 del 03.03.2015 nonché il Regolamento d’Ateo, adottato con delibera del consiglio di amministrazione dell’Università degli studi di Milano – Bicocca nella seduta del 26 aprile 2017, avente ad oggetto “la disciplina dell’applicazione delle sanzioni previste dall’art. 10, D.lgs. 68/2012 e dall’art. 38, comma 3, D.L. 78/2010, convertito in Legge con L. 122/2010, e per la disciplina delle rateizzazioni in caso di crediti vantati dall’Ateneo nei confronti di studenti conseguentemente a decadenza dai benefici del diritto allo studio o a rideterminazione della contribuzione universitaria”.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Università degli Studi Milano Bicocca;
Viste le memorie difensive;
Visti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 12 gennaio 2018 e del 20 febbraio 2018 la dott.ssa [#OMISSIS#] Mameli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
I) Il ricorrente, iscritto presso l’Università di Milano – Bicocca, ha ottenuto due borse di studio rispettivamente per gli anni accademici 2014/2015 e 2015/2016 nonchè altri benefici connessi alla condizione di borsista.
A seguito di controlli effettuati sui dati autocertificati negli attestati ISEE, l’Università ha verificato l’omissione di alcune poste reddituali e patrimoniali della madre e della nonna del ricorrente, facenti parte del nucleo familiare.
Con nota del 7 aprile 2017 l’Università ha chiesto quindi chiarimenti al ricorrente circa le discordanze emerse.
Esaminata la documentazione e acquisiti ulteriori elementi istruttori, in data 7 luglio 2017 l’Università ha comunicato al ricorrente l’avvio del procedimento volto a revocare i suddetti benefici, ad adeguare la contribuzione universitaria, nonché a rifondere l’Università della cifra complessiva di € 33.264,39.
Il ricorrente ha presentato le proprie osservazioni, sulla base delle quali l’Università ha ricalcolato l’importo dovuto per un totale di € 33.254,50, informando il ricorrente circa la possibilità di rateizzare il debito.
Non ricevendo alcuna ulteriore comunicazione dal ricorrente, in data 18 settembre 2017 l’Università ha concluso il procedimento e ha confermato la decadenza dai benefici per i due anni accademici, inviando all’interessato la determina dirigenziale prot. n. 4083/2017.
Con nota del 13 ottobre 2017 ha sollecitato il ricorrente al versamento del dovuto.
Con ricorso notificato in data 22 novembre 2017 e depositato il successivo 19 dicembre 2017 l’interessato ha impugnato il predetto provvedimento unitamente agli atti del procedimento indicati in epigrafe, chiedendone l’annullamento, previa tutela cautelare.
Si è costituita in giudizio l’Università intimata, contestando il ricorso nel merito e chiedendone il rigetto.
Successivamente alla camera di consiglio del 12 gennaio 2018, fissata per l’esame della domanda cautelare, il Collegio, con ordinanza n. 87 del 15 gennaio 2018, ha rilevato, ai sensi dell’art. 73 c.p.a., la sussistenza di dubbi in ordine alla giurisdizione del giudice amministrativo.
Il Collegio ha quindi assegnato alle parti il termine di 30 giorni per presentare memorie vertenti sulla questione di giurisdizione, dando espresso avviso alle parti della possibilità definire il giudizio, ai sensi dell’art. 60 c.p.a., con l’adozione di una sentenza in forma semplificata.
Sia il ricorrente sia l’Università hanno depositato memorie.
A seguito della camera di consiglio del 20 febbraio 2018 la causa è stata decisa.
II) Il ricorso può essere definito con sentenza in forma semplificata, ai sensi dell’art. 60 c.p.a., avendo per oggetto una questione di puro diritto e in [#OMISSIS#].
Il Collegio osserva che il provvedimento impugnato da un alto ha “annullato” i benefici economici precedentemente concessi, dall’altro ha comminato al ricorrente le sanzioni di cui all’art. 10 del D.lgs. 68/2012 e all’art. 38 comma 3 della L. 122/2010.
In relazione ad entrambi gli aspetti della determinazione assunta va dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.
II.1) Quanto all’annullamento dei benefici, a seguito dei controlli effettuati, va osservato che l’assegnazione dei benefici economici per il diritto allo studio universitario è disciplinata, ratione temporis, dalla L. 390/1991 nonché dal D.lgs. 29 marzo 2012 n. 68, applicabile a partire dall’anno accademico 2012/2013 (cfr. art. 23 comma 3 del citato decreto legislativo).
L’art. 4 della L. 390/1991 demanda ad un DPCM l’individuazione dei criteri per la determinazione del merito e delle condizioni economiche degli studenti, nonché per la definizione delle relative procedure di selezione, ai fini dell’accesso ai servizi e del godimento degli interventi di cui alla stessa legge non destinati alla generalità degli studenti, precisando che le condizioni economiche vanno individuate sulla base della natura e dell’ammontare del reddito imponibile e dell’ampiezza del nucleo familiare.
In attuazione della disposizione sopra richiamata sono stati adottati i DDPCM 30 aprile 1997 e 9 aprile 2001.
L’art. 5 del DPCM 9 aprile 2001 stabilisce i criteri per la determinazione delle condizioni economiche per l’accesso ai benefici da parte degli studenti.
La concessione dei benefici è subordinata soltanto alla ricorrenza dei presupposti individuati dalla richiamata normativa di riferimento nonché dagli atti generali e regolamentari dell’Università, adottati in conformità alla suddetta normativa.
In sede di concessione dei benefici non si configura alcuna attività discrezionale in capo all’Amministrazione.
La scelta dell’interesse pubblico perseguito (la rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano l’uguaglianza dei cittadini nell’accesso all’istruzione superiore – si veda art. 1 della L. 390/1991) è svolta a monte dalla legge, e dai delegati atti regolamentari anche nel quomodo. L’ente preposto alla concessione ed erogazione non deve compiere alcuna ulteriore valutazione per il perseguimento di tale interesse, non avendo alcun potere di incisione sull’assetto delle situazioni soggettive, ma dovendo semplicemente riscontrare la sussistenza o meno dei presupposti stabiliti a monte.
Secondo la [#OMISSIS#] giurisprudenza (cfr. SS. UU. 7 gennaio 2013, n. 150; Consiglio di Stato, Ad. Plen. 29 luglio 2013 n. 17 e 29 gennaio 2014 n. 6; Tar Milano sez. III 29 gennaio 2016 n. 196 e 6 novembre 2015 n. 2352) sussiste sempre la giurisdizione del giudice ordinario quando il finanziamento è riconosciuto direttamente dalla legge, così che alla Pubblica Amministrazione è demandato soltanto il compito di verificare l’effettiva esistenza dei relativi presupposti senza procedere ad alcun apprezzamento discrezionale circa l’an, il quid, il quomodo dell’erogazione.
Nel caso di specie la decadenza disposta dall’Università è stata determinata dall’accertamento, seppure ex post, dell’assenza in capo al ricorrente dei requisiti di reddito stabiliti dalla normativa applicabile, accertamento che non assume alcun connotato di discrezionalità. Nell’ipotesi in cui non vi sia alcuna attività riconducibile, anche mediatamente, all’esercizio di potere pubblico, la posizione giuridica soggettiva del privato è di diritto soggettivo, ed in quanto tale tutelabile davanti al Giudice ordinario.
II.2) Il provvedimento impugnato ha poi comminato le sanzioni pecuniarie di cui agli artt. 10 del D.lgs. 68/2012 e 38 comma 3 della L. 122/2010.
In proposito la difesa dell’Università ha argomentato in punto di giurisdizione distinguendo tra sanzioni ripristinatorie (cui sarebbe ascrivibile quella di cui all’art. 10 comma 3 del D.lgs. 68/2012, in ragione del fatto che la sanzione sarebbe commisurata all’entità del beneficio indebitamente percepito) che sarebbero devolute alla giurisdizione del GA, e sanzioni esclusivamente punitive (quali quella di cui all’art. 38 comma 3 della L. 122/2010) devolute invece alla cognizione del GO.
Ad avviso del Collegio tale tesi non è convincente.
La distinzione tra sanzioni ripristinatorie e sanzioni afflittive, nella giurisprudenza citata dall’Avvocatura (Tar Potenza n. 335/2014 e Tar Milano sez. I n. 309/2015, confermata da Cons. Stato sez. V n. 139/2016), ha riguardo a sanzioni non pecuniarie, da un lato, e sanzioni pecuniarie dall’altro. Le sanzioni ripristinatorie di cui alla giurisprudenza citata non hanno natura pecuniaria.
A margine di tale rilievo, va fatto riferimento alla distinzione, elaborata dalla dottrina e dalla giurisprudenza nell’ambito delle misure amministrative ad effetti limitativi della sfera giuridica, tra sanzione “in senso stretto” e sanzione “in senso lato”, assegnando alle due categorie di sanzioni un diversificato apparato di garanzie sostanziali, procedimentali e giurisdizionali.
La sanzione in “senso stretto” è irrogata tramite un procedimento diverso da quello previsto dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, è garantita dai principi di legalità, personalità e colpevolezza (per quanto mutuati dalla legislazione ordinaria e non dalla Costituzione), è suscettibile di integrale riesame giudiziale (senza, cioè, alcun limite di “merito” amministrativo). La relativa cognizione spetta alla giurisdizione del giudice ordinario ai sensi della L. 689/1981.
Viceversa le residue sanzioni (“senso lato”), alle quali si riconducono tradizionalmente le “sanzioni ripristinatorie” ed interdittive (ove non meramente accessorie alle sanzioni amministrative in senso stretto, altrimenti rientrando nella disciplina di cui all’art. 20, legge n. 689 del 1981), costituiscono una manifestazione tipica di potere amministrativo autoritativo e tendono a realizzare direttamente l’interesse pubblico leso dall’atto illecito (si pensi alla sanzione demolitoria in materia di abuso edilizio). In relazione a tale esercizio di potere il cittadino versa in una posizione di interesse legittimo, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo.
A tali diverse sanzioni si applicano i principi dell’attività amministrativa tradizionale (dettate dalla legge generale sul procedimento amministrativo), pure quando esse abbiamo carattere marcatamente punitivo.
Ora, nel caso di specie si è in presenza di sanzioni pecuniarie, che non sfuggono alla giurisdizione del giudice ordinario, non ravvisandosi nelle ipotesi in discussione alcuna finalità reintegratoria dell’interesse pubblico violato. L’applicazione delle sanzioni di cui si tratta è riconnessa al verificarsi concreto della fattispecie legale restando esclusa ogni discrezionalità in ordine alla loro irrogazione se non quanto alla misura, con conseguente giurisdizione piena del giudice ordinario ex L. 689/1981 (Tar Toscana, sez. I, 5 ottobre 2017, n. 1158).
Peraltro la sanzione ex art. 10 comma 3 del D.lgs. 68/2012 non consente esercizio di discrezionalità neppure in relazione alla misura, in quanto determinata dalla legge in maniera fissa ovvero nell’importo triplo rispetto alla somma indebitamente percepita.
Per le ragioni che precedono, anche in relazione alle sanzioni pecuniarie comminate nel provvedimento impugnato va declinata la giurisdizione del giudice amministrativo a favore del giudice ordinario, avanti al quale, ai sensi dell’art. 11, comma 2, cpa, è consentito alle parti di proseguire il giudizio entro il termine ivi indicato.
In ragione della pronuncia in [#OMISSIS#] sussistano eccezionali motivi, ai sensi degli artt. 26, comma 1, c.p.a. e 92 c.p.c., per disporre l’integrale compensazione delle spese del presente giudizio tra le parti costituite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile per difetto di giurisdizione, che declina a favore del giudice ordinario.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Milano nelle camere di consiglio dei giorni 12 gennaio 2018 e 20 febbraio 2018, con l’intervento dei magistrati:
[#OMISSIS#] Di Benedetto, Presidente
[#OMISSIS#] Di [#OMISSIS#], Consigliere
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Mameli, Referendario, Estensore
Pubblicato il 30/03/2018