TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, 18 luglio 2013, n. 1904

Dottorato di ricerca-Accesso ai documenti

Data Documento: 2013-07-18
Area: Giurisprudenza
Massima

Le disposizioni in materia di diritto di accesso mirano a coniugare la ratio dell’istituto, quale fattore di trasparenza e garanzia dell’imparzialità dell’Amministrazione, ai sensi dell’art. 22 della legge  7 agosto 1990, n. 241, con il bilanciamento da effettuare rispetto ad interessi contrapposti, fra i quali anche quello all’efficiente funzionamento degli uffici pubblici. Correlativamente all’esercizio del diritto alla conoscenza degli atti, sussiste la legittima pretesa dell’amministrazione a non subire intralci alla propria attività istituzionale, possibili in ragione della presentazione di istanze tali da produrre un appesantimento dell’azione amministrativa, in contrasto con il canone fondamentale dell’efficienza ed efficacia dell’azione stessa di cui all’art. 97 Cost. (cfr., in proposito e fra le tante, TAR Lazio, Roma, Sez. II, 13 dicembre 2011, n. 9709).

Contenuto sentenza

N. 01904/2013 REG.PROV.COLL.
N. 00998/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 998 del 2013, proposto da: 
Salvatore Lagana’, rappresentato e difeso in proprio, con domicilio eletto presso la segreteria del Tribunale in Milano, via Corridoni n. 39; 
contro
Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, rappresentata e difesa dall’avv. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], con domicilio eletto presso il suo studio in Milano, via Visconti di Modrone, 12; 
Franco Anelli, in qualità di Rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano;
[#OMISSIS#] Gatti in qualità di Direttore di sede presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano; 
nei confronti di
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#];
per l’annullamento
del diniego di accesso a documenti pubblici e per la condanna dell’amministrazione intimata al risarcimento del danno in via di equità.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Universita’ Cattolica del Sacro Cuore di Milano;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 20 giugno 2013 la dott.ssa [#OMISSIS#] Quadri e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con il presente ricorso l’istante ha chiesto l’Annullamento della nota emessa dall’amministrazione intimata il 5 marzo 2013, con la quale gli è stato negato l’accesso a “tutti gli atti delle procedure di valutazione di tutti i dottorandi di ricerca di tutti i dottorati di ricerca il cui relativo titolo di dottore di ricerca è stato o non è stato rilasciato dal Rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano da giorno 1 gennaio 2005 ad oggi”, come da istanza di accesso notificata all’amministrazione il 14 febbraio 2013, atteso che sarebbe “da considerarsi non ammissibile in quanto appare preordinata al controllo generalizzato dell’operato della scrivente amministrazione”.
A sostegno del proprio ricorso, l’interessato ha dedotto molteplici motivi di diritto incentrati, sostanzialmente, sulla natura “pubblica” della documentazione alla quale ha richiesto l’accesso, ai sensi del d.M. 30 aprile 1999, n. 224 e del Regolamento dei corsi di dottorato di ricercadell’Università Cattolica del Sacro Cuore approvato con decreto rettorale n. 6164/2009, con istanza, dunque, sottratta persino alla sussistenza dei presupposti richiesti per l’esercizio del diritto di accesso ai sensi del d.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, nonché, in ogni caso, supportata dall’interesse concreto ed attuale del ricorrente ad acquisire documenti essenziali per sostenere la propria difesa in giudizio in una controversia dallo stesso instaurata in precedenza ai fini di ottenere il titolo di dottore di ricerca in Diritto Commerciale interno ed internazionale, procedura che sarebbe stata sospesa.
In particolare, tale interesse consisterebbe nel reperire alcuni casi di procedure di valutazione che hanno comportato un risultato positivo per il candidato in cui, come per il ricorrente, i Commissari non avrebbero espresso alcun voto, né positivo né negativo, per giustificare la proposta di rilascio del titolo di dottore di ricerca.
A parere dell’istante, infatti, la residua parte di valutazione espressamente non effettuata ed a motivo della quale il titolo di dottore di ricerca non gli sarebbe stato rilasciato, quella, cioè, basata sul giudizio del Collegio dei Docenti sulla tesi presentata, sarebbe una valutazione del tutto inutile e non richiesta dal regolamento per il completamento della procedura, atteso che, sia alla luce delle vigenti disposizioni normative che della documentazione già a disposizione del ricorrente, l’unica valutazione della tesi di dottorato richiesta sarebbe quella operata dalla Commissione.
Il ricorrente ha richiesto, altresì, l’accertamento e la declaratoria del diritto a consultare la documentazione pubblica dallo stesso richiesta e di estrarne copia, nonché la condanna dell’amministrazione intimata al risarcimento del danno non patrimoniale provocato dall’illegittimo operato della stessa, da liquidarsi in via equitativa.
Si è costituita l’amministrazione intimata, eccependo in via preliminare l’irricevibilità del ricorso, notificato l’8 aprile 2013 e depositato il 24 aprile successivo, per deposito tardivo, trattandosi di ricorso in materia di accesso il cui deposito sarebbe soggetto al termine dimezzato di giorni 15 dal perfezionamento dell’ultima notifica ai sensi dell’art. 87 c.p.a., termine, dunque, che sarebbe decorso il 23 aprile 2013.
L’Università, inoltre, ha eccepito il difetto di legittimazione processuale autonoma dei singoli dipendenti citati in giudizio dall’istante, atteso che i medesimi, per il rapporto di immedesimazione organica che li lega all’Ente, non potrebbero essere considerati soggetti distinti ed autonomi rispetto all’Università in cui sono incardinati, con la conseguenza che gli atti dagli stessi compiuti sarebbero immediatamente riferibili all’Ente.
Nel merito, l’amministrazione intimata ha controdedotto alle specifiche doglianze assumendo, essenzialmente, l’assenza di uno specifico interesse sostanziale all’accesso a tutti gli atti richiesti in capo al ricorrente, presupposto essenziale indipendentemente dalla natura pubblica del documento del quale si richiede l’accesso, anche in considerazione del fatto che l’interessato, a seguito di plurime istanze di accesso già presentate e soddisfatte dall’amministrazione, sarebbe già in possesso di tutta la documentazione concernente la procedura di valutazione alla quale ha partecipato.
Di conseguenza, l’ulteriore istanza di cui si discute in questa sede espliciterebbe un interesse privo della necessaria concretezza e attualità e rivolto piuttosto ad un controllo generalizzato circa il corretto svolgimento dei compiti da parte degli uffici preposti; ne potrebbe conseguire un effetto di probabile paralisi e compromissione dell’azione amministrativa, in contrasto con l’efficiente funzionamento della stessa, ai sensi dell’art. 97 della Costituzione.
Le parti hanno successivamente proceduto al deposito di ulteriori memorie, a sostegno delle rispettive conclusioni.
All’esito della discussione in camera di consiglio del 20 aprile 2013, il ricorso è stato trattenuto in decisione.
Devono in via preliminare scrutinarsi le eccezioni sollevate dall’amministrazione intimata in relazione all’assunta irricevibilità del ricorso per deposito tardivo e alla carenza di legittimazione passiva dei singoli dipendenti dell’Università intimata coinvolti nel giudizio (il Rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e il Direttore della sede).
La prima eccezione deve essere disattesa, atteso che il ricorrente ha depositato in giudizio documentazione con traduzione giurata idonea a fornire almeno la prova della sua permanenza e dimora abituale in [#OMISSIS#] dal primo settembre 2010 e fino all’11 giugno 2013, dunque al momento della notifica e del deposito del ricorso (certificato di residenza nella città di Mannheim dal primo settembre 2010 al primo aprile 2012 e nella città di Heidelberg nel periodo compreso tra il primo aprile 2012 e l’11 giugno 2013, nonché Visiting scholar card allo stesso intestata che lo abilita all’accesso all’Università di Heidelberg dal primo agosto 2012 al 31 dicembre 2013).
Né, a confutazione di tali circostanze, può rilevare il certificato di formale residenza del ricorrente nel comune di Palazzo Pignano in data 18 giugno 2013 prodotto in sede di discussione dalla difesa dell’amministrazione intimata. Ai sensi dell’art. 45, comma 2, c.c., infatti, “La residenza è nel luogo in cui la persona ha la dimora abituale”.
Inoltre, pare applicabile alla fattispecie in questione in via analogica quella giurisprudenza civilistica in base alla quale “In tema di notificazioni, ai fini della determinazione del luogo di residenza occorre fare riferimento a quella effettiva del destinatario dell’atto, tenuto conto che le risultanze anagrafiche, rivestendo mero valore presuntivo, possono essere superate dalla prova contraria, che può essere desunta da qualsiasi fonte di convincimento” (Cass. Civ., sez. II, 16 novembre 2006, n. 24422).
Nella fattispecie in questione, nonostante il [#OMISSIS#] per l’accesso sia sottoposto a termini dimezzati, riceve, dunque, applicazione il combinato disposto degli artt. 45, comma 1, e 41, comma 5, c.p.a., per il quale il termine per la notificazione e per il deposito del ricorso è aumentato di trenta giorni, se le parti o alcune di esse risiedono in altro Stato d’Europa.
Il ricorso deve, quindi, ritenersi depositato nei termini di decadenza previsti dalla legge.
Deve, invece, aderirsi alla seconda eccezione, concernente la carenza di legittimazione passiva dei singoli dipendenti dell’Università intimata coinvolti nel giudizio.
A tal fine, si richiama il [#OMISSIS#] orientamento giurisprudenziale in base al quale i dipendenti di Enti pubblici non sono muniti di autonoma legittimazione processuale rispetto all’Ente, atteso che, per il rapporto di immedesimazione organica che li lega con lo stesso, non possono essere considerati soggetti distinti ed autonomi rispetto all’organismo in cui sono incardinati, con la conseguenza che gli atti dagli stessi compiuti sono immediatamente riferibili all’Ente.
Nel merito, deve premettersi che già l’esame della giurisprudenza in materia di accesso conferma un’evoluzione sempre più a favore della trasparenza, pur con contemperamenti costituiti da accorgimenti tali da proteggere il più possibile la divulgazione dei dati personali.
Tali orientamenti costituiscono, comunque, una delle manifestazioni del cambiamento epocale in atto nel nostro ordinamento, che sta segnando il passaggio dal diritto d’accesso, inteso come diritto individuale di accedere a singoli documenti amministrativi per un interesse giuridico sottostante agli stessi connesso, alla trasparenza amministrativa, cioè alla conoscibilità e pubblicità nei confronti della generalità degli individui degli atti e delle informazioni che le amministrazioni hanno l’obbligo di pubblicare.
La trasparenza amministrativa, intesa come pubblicità dell’attività della pubblica amministrazione, è stata, infatti, contemplata dal legislatore italiano fra i principali strumenti nell’ambito dell’azione di prevenzione della corruzione, costituendo uno dei fondamentali mezzi di coinvolgimento e di controllo sociale sui comportamenti e sulle attività poste in essere dai pubblici amministratori.
La legge 6 novembre 2012, n. 190, cosiddetta legge anticorruzione, in attuazione dell’articolo 6 della Convenzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite contro la corruzione, adottata dalla Assemblea generale dell’ONU il 31 ottobre 2003 e ratificata ai sensi della legge 3 agosto 2009, n. 116, e degli articoli 20 e 21 della Convenzione penale sulla corruzione, fatta a Strasburgo il 27 gennaio 1999 e ratificata ai sensi della legge 28 giugno 2012, n. 110, ha, in particolare, previsto numerose norme sulla trasparenza dell’attività amministrativa, che, come disposto dall’art. 1, commi 15 e 16, della legge, costituisce livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti sociali e civili ai sensi dell’articolo 117, comma 2, lettera m), della Costituzione, secondo quanto previsto all’articolo 11 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150 e dall’art. 1 della legge n. 241/1990, con particolare riferimento ai concorsi e alle prove selettive per l’assunzione di personale e progressioni di carriera, ed è assicurata mediante la pubblicazione, nei siti web istituzionali delle pubbliche amministrazioni, delle informazioni relative ai procedimenti amministrativi, secondo criteri di facile accessibilità, completezza e semplicità di consultazione, nel rispetto delle disposizioni in materia di segreto di Stato, di segreto d’ufficio e di protezione dei dati personali.
Il comma 35 conferisce la delega al Governo ad adottare, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge, un decreto legislativo per il riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni, mediante la modifica o l’integrazione delle disposizioni vigenti, ovvero mediante la previsione di nuove forme di pubblicità, nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi:
a) ricognizione e coordinamento delle disposizioni che prevedono obblighi di pubblicità a carico delle amministrazioni pubbliche;
b) previsione di forme di pubblicità sia in ordine all’uso delle risorse pubbliche sia in ordine allo svolgimento e ai risultati delle funzioni amministrative;
c) precisazione degli obblighi di pubblicità di dati relativi ai titolari di incarichi politici, di carattere elettivo o comunque di esercizio di poteri di indirizzo politico, di livello statale, regionale e locale. Le dichiarazioni oggetto di pubblicazione obbligatoria di cui alla lettera a) devono concernere almeno la situazione patrimoniale complessiva del titolare al momento dell’assunzione della carica, la titolarità di imprese, le partecipazioni azionarie proprie, del coniuge e dei parenti entro il secondo grado di parentela, nonché tutti i compensi cui dà diritto l’assunzione della carica;
d) ampliamento delle ipotesi di pubblicità, mediante pubblicazione nei siti web istituzionali, di informazioni relative ai titolari degli incarichi dirigenziali nelle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, sia con riferimento a quelli che comportano funzioni di amministrazione e gestione, sia con riferimento agli incarichi di responsabilità degli uffici di diretta collaborazione;
e) definizione di categorie di informazioni che le amministrazioni devono pubblicare e delle modalità di elaborazione dei relativi formati;
f) obbligo di pubblicare tutti gli atti, i documenti e le informazioni di cui al presente comma anche in formato elettronico elaborabile e in formati di dati aperti. Per formati di dati aperti si devono intendere almeno i dati resi disponibili e fruibili on line in formati non proprietari, a condizioni tali da permetterne il più ampio riutilizzo anche a fini statistici e la ridistribuzione senza ulteriori restrizioni d’uso, di riuso o di diffusione diverse dall’obbligo di citare la fonte e di rispettarne l’integrità;
g) individuazione, anche mediante integrazione e coordinamento della disciplina vigente, della durata e dei termini di aggiornamento per ciascuna pubblicazione obbligatoria;
h) individuazione, anche mediante revisione e integrazione della disciplina vigente, delle responsabilità e delle sanzioni per il mancato, ritardato o inesatto adempimento degli obblighi di pubblicazione.
In attuazione di tale ultima previsione, è stato approvato il d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33, pubblicato in G.U. n. 80 del 5 aprile 2013 ed in vigore dal 20 aprile 2013, recante il riordino in un corpus unitario della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni, che riveste, innanzitutto, la funzione di effettuare il coordinamento, la modifica o l’integrazione delle numerose disposizioni presenti nell’ordinamento in tema di trasparenza amministrativa, ed in particolare delle prescrizioni contenute nella legge n. 69/2009, nel d.lgs. n. 150/2009 e nei decreti legge n. 83/2012 e n. 179/2012, convertiti, rispettivamente, nella legge n. 134/2012 e n. 221/2012, la cui frammentarietà e complessità costituisce spesso il motivo della difficile applicazione della normativa in tema di trasparenza da parte dei pubblici funzionari e dei dirigenti.
Il provvedimento normativo si ispira, come chiaramente indicato nella relazione illustrativa, al modello del Freedom of information Act statunitense, introducendo il principio della accessibilità totale delle informazioni concernenti l’organizzazione e l’attività delle pubbliche amministrazioni, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche, pur nel rispetto delle disposizioni in materia di segreto di Stato, di segreto d’ufficio, di segreto statistico e di protezione dei dati personali, in attuazione dei principi stabiliti nella legge delega (cfr. art. 1, comma 35, legge n. 190/2012).
Le disposizioni in tema di trasparenza integrano, infatti, come già detto, l’individuazione del livello essenziale delle prestazioni erogate dalle amministrazioni pubbliche ai fini di trasparenza, prevenzione, contrasto alla corruzione e alla cattiva amministrazione, a norma dell’art. 117, comma 2, lett. m), della Costituzione e costituiscono altresì esercizio della funzione di coordinamento informativo statistico ed informatico dei dati dell’amministrazione statale, regionale, locale, di cui all’art. 117, comma 2, lett. r), della Costituzione.
Una delle novità più rilevanti introdotte dal decreto è costituita dal diritto di accesso civico, che concerne il diritto da parte di chiunque di accedere ai documenti, informazioni o dati che l’amministrazione aveva l’obbligo di pubblicare, nel caso in cui sia stata omessa la pubblicazione.
Tale istituto, mai introdotto prima nel nostro ordinamento, si caratterizza per la totale assenza di limitazioni per il suo esercizio, al quale sono legittimati tutti i soggetti, indipendentemente da un interesse giuridico da tutelare, la cui istanza, gratuita e senza alcun obbligo di motivazione, va presentata al responsabile della trasparenza dell’amministrazione, che si pronuncia sulla stessa.
L’unico presupposto di tale istanza, che si traduce, dunque, in un controllo democratico sull’attività amministrativa, consiste, quindi, nell’inadempimento degli obblighi di pubblicità da parte dell’amministrazione.
Alla luce della vigente legislazione in tema di trasparenza ed in particolare della disposizione normativa sull’accesso civico, sussiste di certo il diritto dell’odierno ricorrente ad effettuare l’accesso ai documenti pubblici di cui ha richiesto l’ostensione, senza che rilevi alcun interesse qualificato in relazione alla sua posizione.
Peraltro, come descritto in fatto, tale interesse sussiste nella fattispecie in questione, come ben messo in evidenza dal ricorrente medesimo, essendo strettamente connesso alle esigenze di efficace difesa nel giudizio dallo stesso instaurato in precedenza.
Alla luce delle suesposte considerazioni, il ricorso va accolto, e, per l’effetto, va annullato il diniego di accesso impugnato.
Circa il conseguente obbligo di ostensione dei documenti pubblici richiesti da parte dell’amministrazione, pare, peraltro, opportuno richiamare quel [#OMISSIS#] orientamento della giurisprudenza, contenuto anche nelle tesi difensive dell’Università, che richiede la comparazione degli interessi al fine di evitare usi distorti del diritto di accesso che possano paralizzare l’attività della p.a. Le disposizioni in materia di diritto di accesso mirano a coniugare la ratio dell’istituto, quale fattore di trasparenza e garanzia dell’imparzialità dell’Amministrazione, ai sensi dell’art. 22 della legge n. 241 del 1990, con il bilanciamento da effettuare rispetto ad interessi contrapposti, fra i quali anche quello all’efficiente funzionamento degli uffici pubblici. Correlativamente all’esercizio del diritto alla conoscenza degli atti, sussiste la legittima pretesa dell’Amministrazione a non subire intralci alla propria attività istituzionale, possibili in ragione della presentazione di istanze tali da produrre un appesantimento dell’azione amministrativa, in contrasto con il canone fondamentale dell’efficienza ed efficacia dell’azione stessa di cui all’art. 97 Cost. (cfr., in proposito e fra le tante, TAR Lazio, sez. II, 13 dicembre 2011, n. 9709).
Applicando tale orientamento giurisprudenziale anche alla trasparenza, così come disciplinata in seguito all’approvazione dei recentissimi provvedimenti normativi succitati, il collegio reputa opportuna l’effettuazione di una comparazione fra i contrapposti interessi in gioco, al fine di evitare conseguenze patologiche dall’attuazione della trasparenza.
Di conseguenza, in considerazione sia di quanto enunciato dal ricorrente circa lo scopo della sua istanza di accesso che della notevole mole di documentazione richiesta dall’interessato, con i rilevanti oneri per la parte avversa dalla stessa ben evidenziati, pare opportuno disporre che l’Università intimata sia obbligata all’ostensione nei confronti del ricorrente nei limiti della documentazione concernente i dottorati di ricerca nelle materie giuridiche che si sono svolti dall’anno 2009, annualità che coincide, tra l’altro, con quella di approvazione del Regolamento dei corsi di dottorato di ricerca dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, avvenuta con decreto rettorale n. 6164/2009.
Riguardo, infine, all’istanza di risarcimento del danno non patrimoniale da liquidarsi in via equitativa avanzata dal ricorrente, deve richiamarsi il pacifico orientamento della giurisprudenza civile in base al quale la normativa vigente in tema di liquidazione in via equitativa del danno trova applicazione nel caso in cui il danno sia dimostrato nel suo verificarsi, ma non possa essere provato nel suo preciso ammontare.
La liquidazione equitativa presuppone, infatti, un danno risarcibile, attenendo solo alla sua quantificazione e gli ordinari principi del codice civile impongono che colui che avanza una pretesa provi rigorosamente il fondamento del suo diritto (cfr., per tutte, Cass. Civ., 19 dicembre 2008, n. 29832), prova che non è stata fornita nella fattispecie in questione.
L’istanza non può, dunque, meritare accoglimento.
La novità delle questioni trattate giustifica l’integrale compensazione fra le parti delle spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, dichiara il difetto di legittimazione passiva del Rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e del Direttore di sede dott. [#OMISSIS#] Gatti ed accoglie il ricorso, nei limiti di cui in motivazione.
Respinge l’istanza risarcitoria.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 20 giugno 2013 con l’intervento dei magistrati:
[#OMISSIS#] Giordano, Presidente
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere
[#OMISSIS#] Quadri, Consigliere, Estensore 
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 18/07/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)