Tar Lombardia, Milano, Sez. IV, 30 gennaio 2014, n. 340

Procedura di valutazione comparativa copertura posto di professore di seconda fascia-Diritto soggettivo all’assunzione

Data Documento: 2014-01-30
Area: Giurisprudenza
Massima

Nel caso in cui il consiglio di facoltà, dopo aver deliberato la chiamata in ruolo del vincitore del concorso pubblico, deliberi di revocare detta chiamata, ai fini del diniego dell’immissione in ruolo del ricorrente non è sufficiente un apodittico richiamo a norme di legge in gran parte già vigenti all’epoca di adozione della chiamata in ruolo del ricorrente che hanno subordinato le assunzioni al rispetto di determinati parametri, senza procedere ad alcun concreto accertamento dovendo invece, dapprima verificare la situazione effettiva, in termini di organici e di risorse assegnate, ed in un secondo momento, dimostrare l’effettiva sussistenza di circostanze ostative all’immissione in servizio del ricorrente.
 

Contenuto sentenza

N. 00340/2014 REG.PROV.COLL.
N. 01225/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1225 del 2011, integrato da motivi aggiunti, proposto da: 
[#OMISSIS#] Massimo Pozzi, rappresentato e difeso dagli avv.ti [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Rossi, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Milano, Viale Elvezia, 12; 
contro
Universita’ degli Studi di Milano, in persona del Rettore pro tempore, Facoltà di Agraria dell’Università degli Studi di Milano, rappresentate e difese per legge dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliata in Milano, Via Freguglia, 1; 
per l’accertamento, ai sensi degli articoli 31 e 117 c.p.a.,
dell’obbligo dell’Università degli Studi di Milano di provvedere sull’istanza di nomina in ruolo a professore associato del ricorrente, per la pronuncia sulla fondatezza del ricorso,
e per la condanna al risarcimento dei danni patiti e patiendi da parte del ricorrente;
nonché, con primi motivi aggiunti:
per l’annullamento
della delibera del Consiglio di Facoltà di Agraria del 11.4.2011, limitatamente alla parte in cui il Consiglio ha deliberato la revoca della delibera del 26.10.2009 di chiamata in ruolo del ricorrente;
ove occorrer possa, del telegramma del 22.4.2011, con cui il ricorrente è stato informato della predetta delibera di revoca;
per la pronuncia sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio
per la condanna dell’Università a concludere il procedimento amministrativo con l’emanazione del decreto rettorale di nomina in ruolo del ricorrente, quale professore associato per il settore AGR/07,
e per la condanna al risarcimento dei danni;
nonché, con secondi motivi aggiunti:
per l’annullamento
della delibera del Consiglio di Facoltà di Agraria del 27.2.2012, con cui il Consiglio di Facoltà ha confermato quanto deliberato in data 11.4.2011, relativamente alla revoca della delibera del 26.10.2009, di chiamata in ruolo del Dott. [#OMISSIS#] Massimo Pozzi;
nonché per la pronuncia sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio
e per la condanna dell’Università a concludere il procedimento amministrativo con l’emanazione del decreto rettorale di nomina in ruolo del ricorrente, quale professore associato per il settore AGR/07.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti ed i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Universita’ degli Studi di Milano;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 31 ottobre 2013 il dott. [#OMISSIS#] Gatti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Il ricorrente ha partecipato al concorso a professore associato, bandito dall’Università di Milano con decreto rettorale n. 2619 del 24.3.2005, classificandosi al secondo ed ultimo posto della graduatoria degli idonei.
Successivamente all’approvazione degli atti del concorso, ad opera del decreto rettorale del 21.4.2006, il Consiglio di Facoltà chiamava in ruolo la Dott.ssa [#OMISSIS#] Consonni, prima classificata, che prendeva regolarmente servizio.
Con successiva delibera del 26.10.2009 il Consiglio di Facoltà ha deliberato la chiamata in ruolo dell’attuale ricorrente.
Non avendo ricevuto ulteriori comunicazioni dopo l’adozione di tale delibera, il ricorrente con nota del 21.3.2011 presentava al Rettore una formale istanza di nomina in ruolo.
Con ricorso notificato in data 21.4.2011 il Prof. Pozzi impugnava poi il silenzio serbato sulla detta istanza, chiedendo l’accertamento dell’obbligo di concludere il procedimento. Con telegramma in data 22 aprile 2011, il Rettore informava l’interessato che il Consiglio di Facoltà aveva deliberato di revocare la precedente delibera del 26.10.2009.
Tale atto, assunto con delibera in data 11.4.2011, veniva impugnato dal ricorrente con motivi aggiunti datati 21 giugno 2011.
La difesa erariale si costituiva in giudizio, insistendo per il rigetto del ricorso.
Con ordinanza n. 1196/11 il Tribunale ha accolto la domanda cautelare, disponendo il riesame del provvedimento impugnato.
Con delibera del 27.2.2012, impugnata con i secondi motivi aggiunti, il Consiglio di Facoltà ha confermato la propria precedente delibera di revoca dell’11.4.2011.
In data 26.6.2013 l’Università ha invitato il ricorrente a sottoscrivere una dichiarazione di accettazione di un accordo transattivo della presente controversia, che non è stato tuttavia successivamente concluso, per volontà della stessa resistente.
All’udienza pubblica del 31.10.2013 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
Preliminarmente, occorre dare atto dell’improcedibilità del ricorso avverso il silenzio, essendo stato emanato dal Consiglio di Facoltà un provvedimento espresso (delibera 11.4.2011), impugnato con i primi motivi aggiunti.
Ancora in via preliminare, va altresì dichiarata l’improcedibilità del detto ricorso proposto con i primi motivi aggiunti, poiché la delibera 11.4.2011 è stata superata, a seguito di riesame, da un ulteriore provvedimento di conferma della stessa (delibera del 27.2.2012), impugnato con i secondi motivi aggiunti. In particolare, il Collegio dà atto che tutti gli argomenti contenuti nella delibera del 11.4.2011 sono ripresi nella successiva delibera del 27.2.2012, ed ivi ulteriormente articolati e sviluppati.
I) L’oggetto del giudizio di annullamento va pertanto limitato allo scrutinio del ricorso proposto con i secondi motivi aggiunti, avverso la delibera del 27.2.2012, che rappresenta la determinazione finale di Consiglio di Facoltà.
L’impugnazione proposta avverso tale atto è fondata.
I.1) Dopo aver richiamato gli atti pregressi, il presente contenzioso, e le osservazioni ex art. 7 L. n. 241/90, il provvedimento impugnato afferma che la precedente delibera del 26.10.2009 subordinava la copertura finanziaria della chiamata in ruolo del ricorrente alla “possibilità di accedere al finanziamento ministeriale di cui all’art. 5 del D.M. 23.9.2009, o di utilizzare una quota del c.d. budget C di ateneo”. Tuttavia, poiché “nessuna delle due forme di finanziamento ipotizzate si è concretizzata”, la chiamata in ruolo del ricorrente non ha potuto avere seguito per mancanza della necessaria copertura finanziaria.
Si assume, infatti, che l’Università “non ha beneficiato degli interventi di cofinanziamento previsti dall’art. 5 D.M. 23.9.2009 per le assunzioni di idonei in precedenti valutazioni comparative non ancora chiamati”, e che non è stato possibile ricorrere alla quota del budget di Ateneo, il c.d. budget C, che rappresenta una quota di fondo patrimoniale dell’Ateneo utilizzabile come strumento di finanziamento “virtuale”, qualora vi siano avanzi di gestione. Sul detto “budget C” avrebbero inciso, in termini negativi, i vincoli economici e finanziari posti dal legislatore alla spesa per il personale e per la razionalizzazione delle risorse finanziarie (L. n. 311/04, D.L. n. 112/08, D.L. n. 180/08, e D.L. n. 78/10). Sempre per quanto concerne l’aspetto finanziario, il provvedimento impugnato aggiunge che “per far fronte alla progressiva riduzione del fondo di finanziamento ordinario (F.F.O.), l’Amministrazione ha dovuto necessariamente ridurre la spesa per il personale, tramite il contenimento delle nuove assunzioni”.
I.2) Per quanto concerne gli aspetti organizzativi, si afferma che, a seguito dell’entrata in vigore delle disposizioni che hanno ulteriormente limitato le possibili assunzioni al 50% del turnover (D.L. n. 78/10), l’Ateneo ha dovuto rivedere il programma avviato anteriormente alla L. n. 1/2009 riconsiderando la programmazione scientifico-didattica e le esigenze funzionali ed organizzative dell’Ateneo. Tale processo ha interessato anche la Facoltà di Agraria, che ha preso atto del significativo mutamento del quadro normativo, rispetto a quanto rilevato in occasione della precedente determinazione del 2009, e ha dovuto ridefinire le proprie priorità ed esigenze didattico-scientifiche, che hanno necessariamente riguardato anche il settore scientifico disciplinare di riferimento. A tal proposito, il Consiglio di Facoltà osserva che la programmazione a quel tempo formulata non risulta più attuale e coerente con le esigenze della stessa Facoltà, che hanno dovuto essere sostanzialmente rifocalizzate, per adattarsi alla criticità della situazione. Ancora, per quanto concerne il profilo organizzativo, si afferma che dal 31.12.2008 al 31.12.2011 sono state perse dalla Facoltà 27 posizioni, di cui tuttavia una sola riguarda il settore in oggetto per posizioni attive.
I.3) Infine, relativamente alle esigenze didattiche, si osserva che utilizzando come parametro la media delle ore svolte complessivamente nell’a.a. 2010/2011, il carico delle ore di attività didattica che dovrebbe mediamente svolgere il personale docente e ricercatore, già in ruolo, del settore AGR/07, è confrontabile con quello di numerosi altri settori presenti in Facoltà, non prevedendosi inoltre cessazioni nei prossimi anni in tale ambito disciplinare.
II.1) Ritiene il Collegio che la delibera in esame sia illegittima in quanto, in primo luogo, è fondata su un presupposto errato, laddove afferma sostanzialmente che la chiamata in ruolo del ricorrente venne sottoposta, con la delibera del 26.10.2009, alla condizione sospensiva del reperimento dei finanziamenti (v. precedente punto I.1)
L’inequivoco tenore letterale della delibera del 2009 smentisce infatti drasticamente il detto presupposto, laddove nella stessa si afferma perentoriamente che la chiamata in ruolo del ricorrente aveva invece copertura finanziaria certa (“utilizzando il budget C o, qualora venisse concesso, il cofinanziamento, 5% del costo iniziale di prof. associato, previsto dall’art. 5 del D.M. 23.9.2009 a favore delle Università che assumano idonei in valutazioni comparative”).
La condizione richiamata nel provvedimento impugnato non riguarda in realtà l’an del finanziamento, ma semplicemente la possibilità di ricorrere, “qualora venisse concesso”, al cofinanziamento ex art. 5 D.M. 23.9.2009, fermo restando, in caso contrario, che la chiamata in ruolo del ricorrente sarebbe stata ugualmente possibile “utilizzando il budget C)”.
Dall’erroneità del detto presupposto deriva inevitabilmente l’illegittimità delle determinazioni che l’Amministrazione ha adottato sulla base del medesimo.
Nel provvedimento impugnato si giustifica infatti l’impossibilità di dare corso alla chiamata in ruolo del ricorrente, in conseguenza del mancato reperimento dei fondi necessari, e pertanto in virtù del fatto che non si sarebbe avverata la condizione sospensiva prefigurata nella detta delibera del 26.10.2009. Come già precisato, tale ultimo provvedimento non subordinava tuttavia la chiamata in ruolo del ricorrente al verificarsi di una circostanza futura ed incerta (la disponibilità di fondi), non potendo pertanto avere alcun rilievo le considerazioni con le quali l’Amministrazione dà atto del mancato avveramento di una condizione in realtà inesistente e non enunciata.
In concreto, l’Amministrazione si è tuttavia limitata, in sede di riesame, a fornire una lettura alterata del contenuto del detto provvedimento, sostenendo che gli effetti del medesimo erano sottoposti all’avveramento di una condizione sospensiva, come detto inesistente.
II.2) Anche le ulteriori motivazioni contenute nel provvedimento impugnato, indicate nel precedente punto I.2), per negare l’immissione in ruolo del ricorrente, non sono fondate, in quanto generiche.
L’Amministrazione si limita infatti a citare il contenuto, generale ed astratto, di previsioni normative che hanno effettivamente limitato, ma non escluso, la possibilità di disporre assunzioni, senza tuttavia minimamente evidenziare i presupposti, in concreto, della loro applicazione al caso di specie.
Analogamente, si afferma che “l’Ateneo ha dovuto rivedere il programma avviato anteriormente alla L. n. 1/2009”, senza tuttavia concretamente indicare le modifiche che si sono rese necessarie, né la loro entità e incidenza sulla situazione in esame.
A fronte di quanto puntualmente disposto nella citata delibera del 26.10.2009, ai fini del diniego dell’immissione in ruolo del ricorrente, l’Università non può tuttavia limitarsi ad un apodittico richiamo a norme di legge in gran parte già vigenti all’epoca di adozione della chiamata in ruolo del ricorrente che hanno subordinato le assunzioni al rispetto di determinati parametri, senza procedere ad alcun concreto accertamento dovendo invece, dapprima verificare la situazione effettiva,, in termini di organici e di risorse assegnate, ed in un secondo momento, dimostrare l’effettiva sussistenza di circostanze ostative all’immissione in servizio del ricorrente.
II.3) Infine, anche l’ulteriore sintetico richiamo alle esigenze didattiche, invocate nel provvedimento impugnato, non può valere per giustificare la revoca della delibera del 26.10.2009.
L’Università si limita infatti genericamente ad affermare che “il carico delle ore di attività didattica che dovrebbe mediamente svolgere il personale docente e ricercatore, già in ruolo, del settore AGR/07, è confrontabile con quello di numerosi altri settori presenti in Facoltà”, senza tuttavia fornire alcun dato numerico, e soprattutto, senza indicare, anche in questo caso, i mutamenti della situazione di fatto sopravvenuti rispetto all’adozione della delibera del 26.10.2009, richiesti dal citato art. 21 quinquies L. n. 241/90.
III.1) Il ricorrente formula altresì una domanda di condanna dell’Università a concludere il procedimento amministrativo, con l’emanazione del decreto rettorale di nomina in ruolo quale professore associato per il settore AGR/07.
Il Collegio osserva preliminarmente che, a fronte della citata delibera del 26.10.2009, che disponeva l’immissione in ruolo del ricorrente, l’Amministrazione è rimasta inerte per quasi 18 mesi, e precisamente fino al 11.4.2011, quando ha revocato la stessa. A seguito dell’ordine di riesame imposto dal Tribunale, l’Università ha nuovamente riconsiderato la vicenda, confermando, in data 27.2.2012, il predetto provvedimento di revoca, che è stato tuttavia annullato, con efficacia ex tunc, dalla presente sentenza.
Incidentalmente, anche ai fini dell’art. 34, terzo comma, c.p.a., il Collegio dà atto dell’illegittimità anche della prima delibera di revoca 11.4.2011, la quale, come detto, è emanata sulla base delle medesime ragioni di fatto e di diritto più dettagliatamente precisate nella successiva delibera del 27.2.2012, che a seguito di riesame ha sostituito la stessa, e che con la presente sentenza il Collegio ha annullato.
Una volta rimossi gli atti illegittimamente adottati dall’Università, il Collegio deve pertanto muovere dalla delibera adottata dal Consiglio di Facoltà, in data 26.10.2009, nella quale si è accertata la sussistenza delle esigenze didattiche, e della necessaria copertura finanziaria, disponendo pertanto la chiamata in ruolo del ricorrente, ed interrogarsi se la detta domanda di condanna all’emanazione del decreto rettorale di nomina in ruolo del ricorrente quale professore associato sia, in primo luogo, ammissibile, ed in secondo luogo, fondata.
III.2) Quanto al primo profilo, il codice del processo amministrativo, dando attuazione armonica ai principi costituzionali e comunitari in materia di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale, oltre che ai criteri di delega fissati dall’art. 44, L. 18.6.2009 n. 69, ha superato la tradizionale limitazione della tutela dell’interesse legittimo al solo modello impugnatorio, ammettendo l’esperibilità di azioni tese al conseguimento di pronunce dichiarative, costitutive e di condanna idonee a soddisfare la pretesa della parte vittoriosa, ed in particolare dell’azione di condanna volta ad ottenere l’adozione dell’atto amministrativo richiesto, in presenza di un provvedimento espresso di rigetto, e sempre che non vi osti la sussistenza di profili di discrezionalità amministrativa o tecnica (C.S. Ad. Plen., 29.7.2011 n. 15).
In particolare, l’ammissibilità, anche in assenza di una disciplina legale, dell’azione di esatto adempimento trova conforto, sul versante positivo, nelle modifiche apportate con il D.Lgs. 14.9.2012 n. 160 al disposto dell’art. 34 c. 1 lett. c) c.p.a., mediante l’aggiunta di un ultimo periodo, alla stregua del quale “l’azione di condanna al rilascio di un provvedimento richiesto è esercitata, nei limiti di cui all’art. 31 c. 3, contestualmente all’azione di annullamento del provvedimento di diniego o all’azione avverso il silenzio”, venendo in tal guisa codificata la domanda di condanna a un facere specifico, avente ad oggetto l’emanazione del provvedimento doveroso omesso (C.S., Sez. V, 27.11.2012 n. 6002).
III.3) Una volta chiarita l’astratta ammissibilità della domanda, il Collegio deve valutarne la fondatezza.
La giurisprudenza del Tribunale ha già avuto modo di interrogarsi su quale sia la portata dei vincoli conformativi per la pubblica amministrazione nei casi in cui, come quello di specie, la stessa abbia emanato due successivi dinieghi, ed entrambi siano stati annullati, ritenendo che, in presenza di attività amministrativa vincolata, dopo l’accertamento giurisdizionale dell’illegittimità di un diniego, l’amministrazione non possa negare nuovamente il bene della vita a cui il ricorrente aspira, in base ad accertamenti o valutazioni che sarebbero potuti essere già compiuti nell’originario procedimento amministrativo, e ciò ancor prima della menzionata novella al c.p.a., (T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, 8.6.2011 n. 1428).
Nella fattispecie per cui è causa, non vi è alcun dubbio che l’adozione del provvedimento richiesto dal ricorrente non comporti l’esercizio di alcun potere discrezionale, e che pertanto la presente domanda vada accolta.
In base a quanto disposto dall’art. 5 c. 5 del D.P.R. n. 117/2000, infatti, “la nomina del candidato prescelto dal Consiglio di Facoltà è disposta con decreto rettorale”, senza che tale norma attribuisca, implicitamente od esplicitamente, a tale organo alcun potere discrezionale, ormai integralmente consumato nella fase di selezione e in quella deliberativa consiliare di chiamata.
Peraltro, ad abundantiam, il Collegio evidenzia, come già statuito dalla citata sentenza n. 1428/2011 del Tribunale, che ha deciso una fattispecie pressoché identica a quella per cui è causa, che anche un’attività connotata da discrezionalità possa, a seguito della progressiva concentrazione in giudizio delle questioni rilevanti, mediante il combinato operare di un’ordinanza cautelare propulsiva e della successiva proposizione di motivi aggiunti, “ritenersi vincolata”, successivamente al secondo annullamento.
Nel caso di specie, l’Amministrazione, dopo essere rimasta inerte per un lunghissimo periodo, in una prima occasione ha negato al ricorrente l’immissione in ruolo, con la delibera 11.4.2011. Come detto, a seguito dell’ordinanza cautelare di remand, l’Amministrazione ha successivamente avviato un nuovo procedimento, che a seguito di riesame, si è tuttavia concluso con il provvedimento sostitutivo del primo diniego, che è stato annullato con la presente sentenza. Conseguentemente, deve ritenersi che, successivamente all’accertamento incidentale dell’illegittimità del provvedimento di revoca della delibera del 26.10.2009, e dell’annullamento di quella del 27.2.2012, non residuino in capo all’Amministrazione margini di discrezionalità nell’adozione del decreto di immissione in nomina, che deve pertanto essere emanato.
IV) Il ricorrente formula altresì una domanda di risarcimento per i danni subiti in conseguenza degli atti e dei comportamenti illegittimamente adottati dall’Amministrazione nel corso della vicenda per cui è causa.
IV.1) In primo luogo, si evidenzia che, con la chiamata in ruolo disposta dal Consiglio di Facoltà nel corso dell’anno 2009, il medesimo sarebbe stato costretto alla cessazione del rapporto di lavoro con la società Philip Morris, avente sede in Svizzera. Quanto precede, oltre a compromettere irrimediabilmente gli avanzamenti di carriera presso la detta società, avrebbe altresì obbligato il ricorrente ad abbandonare la Svizzera, ed a sopportare le spese relative al trasloco della propria famiglia.
Il Collegio ritiene che tali richieste non siano accoglibili, per difetto di prova dell’esistenza di un nesso causale tra l’adozione della delibera del 26.10.2009 del Consiglio di Facoltà, e la vista interruzione del rapporto con la società Philip Morris.
Sul punto, il ricorrente sostiene di aver “avvertito il proprio datore di lavoro dell’epoca, riducendo il proprio impegno e le proprie prospettive di carriera”, senza peraltro neppure affermare che tali circostanze abbiano comportato la cessazione del rapporto di lavoro.
Le produzioni documentali effettuate dallo stesso ricorrente indeboliscono peraltro i suoi argomenti, desumendosi dalle stesse che il trasferimento dalla Svizzera ha avuto luogo in data 31.7.2011, pertanto quasi due anni dopo l’adozione della delibera del 26.10.2009, la quale, in difetto di ulteriori elementi, non può pertanto ritenersi determinante ai fini della cessazione del visto rapporto di lavoro.
IV.2) Il ricorrente riferisce di avere successivamente accettato un incarico di ricercatore a tempo determinato presso un istituto di ricerca di Trento, trasferendosi con la propria famiglia in tale città, e che nel corso del 2013 l’Università ha avviato un procedimento volto a concludere transattivamente la presente controversia, tuttavia imprevedibilmente interrottosi poco prima della sua conclusione.
Il ricorrente avrebbe conseguentemente comunicato al datore di lavoro l’imminente abbandono del proprio incarico, in vista dell’assunzione presso l’Università, ciò che avrebbe pregiudicato la rinegoziazione del rapporto in essere.
Anche in questo caso gli argomenti del ricorrente non meritano accoglimento, essendo generici e sforniti di alcun supporto probatorio.
In primo luogo, il ricorrente non dimostra il presupposto preliminare delle proprie richieste, e cioè di aver reso edotto il proprio datore di lavoro dell’imminente suo trasferimento presso l’Università resistente. Secondariamente, non viene fornita alcuna prova della paventata impossibilità di rinnovo del contratto di lavoro, attualmente invece vigente, ed in scadenza al 31.7.2014.
IV.3) Con un ulteriore ordine di argomenti, il ricorrente chiede il risarcimento del “danno curriculare”, derivante dal non aver svolto le funzioni oggetto dei provvedimenti impugnati, cioè le ordinarie attività di ricerca, che avrebbero dato luogo a pubblicazioni, docenze, ed altri titoli.
Il motivo è fondato in parte qua, dovendo essere risarcito il c.d. danno curriculare, che dia luogo ad una deminutio di peso professionale, sfumato a causa del comportamento illegittimo dell’amministrazione, in quanto valutabile in sede di partecipazione ad altre selezioni future (T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. II, 5.6.2011 n. 1005).
Quanto al nesso di causalità, osserva il Collegio che il mancato svolgimento delle dette funzioni da parte del ricorrente è conseguenza immediata e diretta dell’adozione dei provvedimenti impugnati, i quali hanno impedito al ricorrente di prendere servizio.
Le predette delibere sono inoltre certamente state adottate in violazione dei canoni di ordinaria diligenza, essendo fondate, come detto, sul travisamento del contenuto letterale della vista delibera del 26.10.2009 (v. punto II.1), dovendosi pertanto ritenersi integrato anche l’elemento soggettivo della colpa.
Quanto alla prova del danno, essa è in re ipsa, atteso che gli avanzamenti di carriera nell’Università sono legati quasi esclusivamente alla valutazione di elementi acquisibili mediante l’esercizio delle funzioni (pubblicazioni, attività didattica, ecc.), che il ricorrente non ha potuto concretamente svolgere, a causa dei provvedimenti impugnati con il presente ricorso.
In ordine al quantum di tale danno, che non può evidentemente essere dettagliatamente indicato dal ricorrente, occorre darsi atto che nei casi in cui, come quello di specie, sulla base della proiezione di situazioni già esistenti, può ritenersi che il danno si produrrà in futuro, secondo una ragionevole e fondata previsione, ai fini della sua liquidazione, il giudice ha la facoltà di applicare il criterio equitativo (Cass. Civ., Sez. II, 1.4.2008 n. 8448).
Alla luce di tutto quanto precede, il Collegio condanna l’Amministrazione al risarcimento del danno curriculare in favore del ricorrente, equitativamente liquidato nel 10% delle spettanze a cui avrebbe avuto diritto qualora immesso in servizio, come sarebbero state percepite dal 1.1.2010 alla data di pubblicazione della presente sentenza. La predetta somma sarà soggetta a rivalutazione monetaria, e sulla stessa andranno corrisposti gli interessi legali fino alla data di effettivo pagamento.
V) Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:
dichiara improcedibili per sopravvenuta carenza di interesse il ricorso avverso il silenzio e i primi motivi aggiunti proposti avverso il provvedimento con essi impugnato,
accoglie, e per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato con i secondi motivi aggiunti (v. punto II),
condanna l’Amministrazione resistente ad emanare il decreto di nomina in ruolo del ricorrente quale professore associato (v. punto III),
condanna l’Amministrazione resistente al risarcimento dei danni, nei sensi di cui in motivazione (v. punto IV.3).
Condanna l’Amministrazione resistente al pagamento delle spese processuali in favore del ricorrente, equitativamente liquidate in Euro 5.000,00, oltre rimborso del contributo unificato e accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 31 ottobre 2013 con l’intervento dei magistrati:
[#OMISSIS#] Giordano, Presidente
[#OMISSIS#] Quadri, Consigliere
[#OMISSIS#] Gatti, Primo Referendario, Estensore
L’ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 30/01/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)