Per i docenti e i ricercatori universitari è ancora vigente un meccanismo di progressione automatica nelle classi e negli scatti stipendiali, secondo la nozione emergente dal D.L. 31 maggio 2010, n. 78. Il suo art. 9 è espressamente dedicato al “contenimento delle spese in materia di impiego pubblico”: ciò rileva ai fini dell’individuazione della nozione di “progressione automatica” contenuta nel comma 21 del medesimo articolo. La disposizione, infatti, non va riferita alla posizione del singolo lavoratore interessato, il quale non ha effettivamente certezza del conseguimento di detta progressione, rimesso in concreto ad una valutazione del datore di lavoro. La nozione di “progressione automatica”, richiamata dal comma 21, deve essere correlata alla sfera del bilancio pubblico, atteso che il bilancio è automaticamente intaccato per effetto della maturazione degli scatti stipendiali, dovendosi stanziare appositi fondi a copertura delle spettanze di tutti coloro che sono potenzialmente interessati da tale maturazione.
TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, 8 maggio 2015, n. 1133
Progressione classi e scatti stipendiali docenti e ricercatori universitari – diniego del riconoscimento del triennio 2011-2013 ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio
N. 01133/2015 REG.PROV.COLL.
N. 03290/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3290 del 2011, proposto da:
Donata Cattaneo, [#OMISSIS#] Domeneghini, [#OMISSIS#] Arrighi, [#OMISSIS#] Marjiotti, [#OMISSIS#] Pelfini, [#OMISSIS#] Mennella, Vera Ravelli, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Gaviglio, [#OMISSIS#] Berra, rappresentati e difesi dagli avv. Angelo [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] Turco, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultima in Milano, Via della Moscova, 3;
contro
Universita’ degli Studi di Milano, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura distrettuale di Milano, presso i cui uffici domicilia in Milano, Via Freguglia, 1;
per l’annullamento
del silenzio rifiuto serbato dall’Università degli Studi di Milano rispetto all’istanza presentata dai docenti e ricercatori ricorrenti volta ad escludere l’applicazione nei loro confronti della norma prevista dall’art. 21, comma 9, del d.l. 31 marzo 2010, n. 78, convertito in legge 30 luglio 2010 n. 122;
di ogni atto connesso;
nonché per l’accertamento del diritto a conseguire le classi e gli scatti stipendiali pretesi.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Universita’ degli Studi di Milano;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 22 aprile 2015 il dott. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
I ricorrenti chiedono l’accertamento del diritto a conseguire le classi e gli scatti stipendiali che deriverebbero dalla non applicazione nei loro confronti della norma prevista dall’art. 21, comma 9, del d.l. 31 marzo 2010, n. 78, convertito in legge 30 luglio 2010 n. 122, della quale contestano sia la diretta riferibilità alle loro posizioni lavorative, sia, in via subordinata, la legittimità costituzionale.
Si è costituita in giudizio l’amministrazione resistente, eccependo l’infondatezza delle domande proposte e chiedendone il rigetto.
All’udienza del 22 aprile 2015 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1) I ricorrenti sono docenti universitari, professori o ricercatori, in servizio presso l’Università degli Studi di Milano ed hanno chiesto all’amministrazione di appartenenza di non applicare nei loro confronti la norma dell’art. 9, comma 21 secondo periodo, del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, come convertito in legge 30 luglio 2010, n. 122, ritenendola non riferibile ai docenti e ai ricercatori universitari in ragione delle previsioni contenute tanto nel decreto legge 2008 n. 180, quanto nella successiva legge 2010 n. 140.
L’Università non ha assunto determinazioni rispetto alle istanze avanzate.
Sul punto vale precisare che la controversia, pur formalmente diretta anche contro il c.d. silenzio rifiuto dell’amministrazione, ha ad oggetto l’accertamento della fondatezza della pretesa avanzata dai ricorrenti alla determinazione delle classi e degli scatti stipendiali maturati, senza applicare la previsione dell’art. 9, comma 21, del d.l. 2010 n. 78, controversia relativa a diritti soggettivi e compresa nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
I ricorrenti si dolgono sia dell’avvenuta applicazione della norma appena richiamata, sia delle correlate decurtazioni economiche, dubitando, in via subordinata, della compatibilità costituzionale della disciplina in esame.
In relazione alla richiesta determinazione delle classi e scatti stipendiali senza decurtazioni, i ricorrenti lamentano la violazione dell’art 3 ter del d.l. 2008 n. 180, nonché degli artt. 6 e 8 della legge 2010 n. 240, sostenendo che le decurtazioni previste dall’art. 9, comma 21, del d.l. 31 maggio 2010 n. 78 non sarebbero a loro applicabili, in quanto la norma concerne solo i dipendenti per i quali si configura un meccanismo di progressione automatica degli stipendi, non più ipotizzabile per i docenti e i ricercatori universitari.
In particolare, la previsione legislativa di un meccanismo di automatica progressione economica dei ricercatori e professori, attraverso il sistema degli “scatti” automatici stipendiali disciplinato dal d.p.r. 11 luglio 1980 n. 382, sarebbe stata definitivamente superata dall’art. 3-ter del d.l. 2008 n. 180, confermato dalla legge 2010 n. 240, c.d. “legge [#OMISSIS#]”, poiché il nuovo quadro normativo condiziona la progressione professionale alla verifica delle attività didattiche, di ricerca e gestionali svolte dagli insegnanti, senza alcun automatismo.
Viceversa, l’eccezione di incostituzionalità dell’art. 9, comma 21, del d.l. 2010 n. 78 viene sollevata per diversi profili, quali: la ritenuta violazione 1) dell’art. 3 Cost., in relazione al mancato rispetto del principio di uguaglianza tra categorie di lavoratori e di ragionevolezza con riguardo agli effetti retroattivi della previsione legislativa; 2) dell’art. 36 Cost., in termini di mancata osservanza del principio di proporzionalità tra retribuzione e prestazione lavorativa; 3) dell’art. 77 Cost. per mancanza dei requisiti della necessità ed urgenza; 4) degli artt. 33 e 34 Cost., per violazione del principi della tutela della ricerca scientifica; 5) dell’art. 53 Cost., per inosservanza del criterio di progressività delle forme di prelievo tributario; 6) dell’art. 97 Cost., sub specie di inosservanza del canone di buon andamento dell’azione amministrativa.
2) Le censure proposte non possono essere condivise e la questione di legittimità costituzionale è manifestamente infondata.
Le doglianze sollevate dalle parti devono essere esaminate previa esplicitazione del quadro normativo di riferimento e tenendo presente la decisione della Corte Costituzionale del 17 dicembre 2013, n. 310.
L’art. 9, comma 21, del d.l. 2010 n. 78, recante “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica”, dispone che “i meccanismi di adeguamento retributivo per il personale non contrattualizzato di cui all’articolo 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, così come previsti dall’articolo 24 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, non si applicano per gli anni 2011, 2012 e 2013 ancorché a titolo di acconto, e non danno comunque luogo a successivi recuperi. Per le categorie di personale di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni, che fruiscono di un meccanismo di progressione automatica degli stipendi, gli anni 2011, 2012 e 2013 non sono utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio previsti dai rispettivi ordinamenti. Per il personale di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni le progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici. Per il personale contrattualizzato le progressioni di carriera comunque denominate ed i passaggi tra le aree eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici”.
La contestazione concerne il secondo periodo della norma appena citata, in quanto i ricorrenti, docenti e ricercatori universitari, sostengono di non fruire di un meccanismo di progressione automatica degli stipendi, sicché l’amministrazione avrebbe dovuto valorizzare anche gli anni 2011, 2012 e 2013 ai fini della maturazione in loro favore di ulteriori classi e scatti di stipendio, senza applicare i limiti posti dal d.l. 2010 n. 78.
In ordine alle modalità di progressione stipendiale dei docenti e dei ricercatori universitari, l’art. 3-ter del d.l. 2008 n. 180, inserito dalla legge di conversione 9 gennaio 2009, n. 1, prevede che “1. Gli scatti biennali di cui agli articoli 36 e 38 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382, destinati a maturare a partire dal 1° gennaio 2011, sono disposti previo accertamento da parte della autorità accademica della effettuazione nel biennio precedente di pubblicazioni scientifiche.2. I criteri identificanti il carattere scientifico delle pubblicazioni sono stabiliti con apposito decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, su proposta del Consiglio universitario nazionale e sentito il Comitato di indirizzo per la valutazione della ricerca. … 4. I professori di I e II fascia e i ricercatori che nel precedente triennio non abbiano effettuato pubblicazioni scientifiche individuate secondo i criteri di cui al comma 2 sono esclusi dalla partecipazione alle commissioni di valutazione comparativa per il reclutamento rispettivamente di professori di I e II fascia e di ricercatori”.
La formulazione originaria della norma comprendeva il terzo comma, in base al quale “la mancata effettuazione di pubblicazioni scientifiche nel biennio precedente comporta la diminuzione della metà dello scatto biennale”, ma il comma è stato abrogato dall’art. 8, comma 2, della legge 30 dicembre 2010, n. 240.
Rispetto all’oggetto della valutazione rilevante ai fini della progressione stipendiale, l’art. 6, comma 14, della legge 2010 n. 240 dispone che “I professori e i ricercatori sono tenuti a presentare una relazione triennale sul complesso delle attività didattiche, di ricerca e gestionali svolte, unitamente alla richiesta di attribuzione dello scatto stipendiale di cui agli articoli 36 e 38 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382, fermo restando quanto previsto in materia dal decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122. La valutazione del complessivo impegno didattico, di ricerca e gestionale ai fini dell’attribuzione degli scatti triennali di cui all’articolo 8 è di competenza delle singole università secondo quanto stabilito nei regolamenti di ateneo. In caso di valutazione negativa, la richiesta di attribuzione dello scatto può essere reiterata dopo che sia trascorso almeno un anno accademico. Nell’ipotesi di mancata attribuzione dello scatto, la somma corrispondente è conferita al Fondo di ateneo per la premialità dei professori e dei ricercatori di cui all’articolo 9.
Il successivo art. 8 della legge n. 240/2010 rimette ad un apposito regolamento governativo la revisione della disciplina del trattamento economico dei professori e dei ricercatori universitari già in servizio e di quelli vincitori di concorsi indetti fino alla data di entrata in vigore della legge stessa, nel rispetto dei seguenti criteri: a) trasformazione della progressione biennale per classi e scatti di stipendio in progressione triennale; b) invarianza complessiva della progressione; c) decorrenza della trasformazione dal primo scatto successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della presente legge.
E’ stato così emanato il d.p.r. 15 dicembre 2011, n. 232, recante il regolamento per la disciplina del trattamento economico dei professori e dei ricercatori universitari.
In particolare, l’art. 2 del regolamento citato procede alla revisione del trattamento economico dei professori e ricercatori assunti secondo il regime previgente, disponendo la trasformazione della progressione biennale per classi e scatti di stipendio in progressione triennale articolata per classi, secondo apposite tabelle di corrispondenza allegate al testo normativo. Il comma 3 della norma precisa che “3. L’attribuzione delle classi stipendiali successive è subordinata ad apposita richiesta e all’esito positivo della valutazione, da effettuarsi ai sensi di quanto previsto dall’articolo 6, comma 14, della Legge e decorre dal primo giorno del mese nel quale sorge il relativo diritto”.
Il quadro normativo così delineato conduce a ritenere che per i docenti e i ricercatori universitari sia ancora vigente un meccanismo di progressione automatica nelle classi e negli scatti stipendiali secondo la nozione emergente dal d.l. 2010 n. 78.
Sul punto vanno richiamate le considerazioni già svolte dal Tribunale in relazione alla ratio che sottende la normativa in esame (cfr. in particolare, Tar Lombardia Milano, sez. IV, 8 giugno 2012, n. 1627).
Il d.l. n. 78/2010 reca “misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria” e l’art. 9 è espressamente dedicato al “contenimento delle spese in materia di impiego pubblico” e ciò rileva ai fini dell’individuazione della nozione di “progressione automatica” contenuta nel comma 21.
La disposizione non va riferita alla posizione del singolo lavoratore interessato, il quale non ha effettivamente certezza del suo conseguimento, rimesso in concreto ad una valutazione del datore di lavoro. La nozione di “progressione automatica”, richiamata dal comma 21, deve essere correlata alla sfera del bilancio pubblico, alla cui salvaguardia è preordinato lo stesso d.l. n. 78/2010, atteso che il bilancio è “automaticamente” intaccato per effetto della maturazione degli scatti stipendiali, dovendosi stanziare appositi fondi a copertura delle spettanze di tutti coloro che sono potenzialmente interessati da tale maturazione.
Si tratta di argomenti già sviluppati dalla giurisprudenza (cfr. T.A.R. Calabria- Reggio Calabria ord. n. 311/2012), la quale ritiene che la sospensione degli scatti di cui si tratta non sia volta a correggere la dinamica della loro attribuzione, ma la loro incidenza in termini economici sulle poste passive del bilancio statale, cosicché “l’automatismo della loro attribuzione è requisito meramente descrittivo della fattispecie normativa e non qualificante, essendo indifferente, ai fini economici, la modalità di attribuzione degli incrementi retributivi”.
Anche se, per i singoli interessati, l’attribuzione degli scatti stipendiali è eventuale, dipendendo dalle valutazioni previste dalla legge, dal momento che gli scatti non sono contingentati e la loro attribuzione non è comunque affidata a procedure selettive, tali da ridurre l’importo complessivo dell’incremento degli oneri per il personale, ai fini della previsione della spesa nel bilancio dello Stato, va comunque previsto (e conseguentemente garantito come approvvigionamento a copertura delle relative poste passive) un finanziamento pari agli incrementi stipendiali spettanti a “tutti” coloro che potenzialmente sono in grado di conseguire gli scatti medesimi.
Del resto, su analoga questione il Tribunale ha già espressamente riconosciuto “il carattere dell’automaticità” di un sistema retributivo (quello dei magistrati ordinari), nonostante la previsione di una “valutazione di professionalità”, il cui esito negativo comporta “la perdita del diritto all’aumento periodico di stipendio” (si consideri il comma 12 dell’art. 11 del d.l.vo 5 aprile 2006 n. 160), ritenendosi che, nonostante tale previsione, la caratteristica fondamentale di tale trattamento economico fosse “l’esistenza di un sistema automatico di collegamento dell’andamento delle retribuzioni con quelle del pubblico impiego” (v. ord. Tar Lombardia Milano, sez. IV, n. 59/2012).
La progressione stipendiale nell’ambito della vita professionale dei ricorrenti è prefigurabile ex ante, in relazione al decorso del tempo ed alla conseguente maturazione degli “scatti”, sicché assume carattere di automaticità, in quanto non subordinata ad eventi estranei alla sfera lavorativa degli interessati, quali ad esempio determinazioni assunte in sede di contrattazione collettiva, o superamento di procedure concorsuali tra più aspiranti. Anche se il datore di lavoro può negare gli avanzamenti per coloro che non hanno dimostrato un minimo “impegno didattico, di ricerca e gestionale”, in applicazione della nuova normativa ed in attuazione dei principi di cui all’art. 97 Cost., ciò non toglie che i ricorrenti continuino a fare parte di un sistema in cui gli avanzamenti stipendiali sono appunto “automaticamente” previsti e concretamente ottenibili in conseguenza dell’anzianità di servizio (cfr. in argomento Tar Umbria, sez. I, ord. 13 marzo 2013 n. 156).
Del resto, se il legislatore avesse voluto escludere il personale docente dall’ambito di applicazione dell’art. 9, comma 21, del d.l. n. 78/2010 avrebbe introdotto una disposizione ad hoc, come avvenuto ad esempio con il successivo comma 22 per la categoria dei magistrati.
Anche il dato letterale conforta le considerazioni sinora espresse, in quanto l’art. 2, comma 2, del d.p.r. 15 dicembre 2011, n. 232, prevede che “la trasformazione della progressione biennale in progressione triennale avviene al momento in cui viene maturato il passaggio nella classe o scatto successivi a quella in godimento alla data di entrata in vigore della Legge, fermo restando quanto previsto dall’articolo 9, comma 21, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122. In sede di primo inquadramento nel nuovo regime è attribuito il trattamento stipendiale spettante secondo il regime previgente…”.
Insomma, anche la normativa regolamentare recante la revisione della disciplina del trattamento economico dei professori e dei ricercatori universitari ribadisce espressamente l’applicazione a tali categorie di lavoratori dell’art. 9, comma 21, del d.l. 2010, n. 78.
Ne deriva l’infondatezza della censura in esame.
2.2) I profili di illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, del d.l. 2010, n. 78, denunciati dai ricorrenti sono già stati esaminati con esito negativo dalla Corte Costituzionale, sicché la relativa questione, posta in via subordinata con il ricorso in esame, risulta manifestamente infondata.
In particolare la Corte, con sentenza del 17 dicembre 2013, n. 310, ha ritenuto che:
– non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, primo, secondo e terzo periodo, in riferimento all’art. 77 Cost., per la asserita mancanza dei presupposti di «necessità» e di «urgenza», atteso che l’esigenza di controllo della finanza pubblica non sarebbe di per sé condizione necessaria e sufficiente a concretare tali requisiti.
Sul punto la Corte ha precisato che il d.l. n. 78 del 2010, che reca l’intestazione «Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica», è stato adottato ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di emanare disposizioni per il contenimento della spesa pubblica e per il contrasto all’evasione fiscale ai fini della stabilizzazione finanziaria, nonché per il rilancio della competitività economica, esigenze che non sono concretamente contestate nelle ordinanze di rimessione. E d’altro canto l’art. 9, rubricato: «Contenimento delle spese in materia di impiego pubblico», e che si inserisce nel Capo III «Contenimento delle spese in materia di impiego pubblico, invalidità e previdenza», appare del tutto coerente con tali finalità di contenimento della spesa pubblica. In particolare, la protrazione nel tempo – anche se non senza limiti – delle misure previste non contraddice la sussistenza della necessità ed urgenza, attese le esigenze di programmazione pluriennale delle politiche di bilancio;
– non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, primo, secondo e terzo periodo, del d.l. n. 78 del 2010, in riferimento, nel complesso, agli artt. 3, 97, 36 e 53 Cost.
In particolare, la Corte ha osservato che alle disposizioni in esame non può riconoscersi natura tributaria, atteso che non danno luogo ad una prestazione patrimoniale imposta, realizzata attraverso un atto autoritativo di carattere ablatorio, destinata a reperire risorse per l’erario. La giurisprudenza della Corte (di recente sentenza n. 223 del 2012) ha precisato che gli elementi indefettibili della fattispecie tributaria sono tre: la disciplina legale deve essere diretta in via prevalente a procurare una definitiva decurtazione patrimoniale a carico del soggetto passivo; la decurtazione non deve comportare una modifica di un rapporto sinallagmatico; le risorse derivanti, che devono essere connesse ad un presupposto economicamente rilevante, vanno destinate a «sovvenire» le pubbliche spese. Conseguentemente, non possono trovare ingresso le censure relative al mancato rispetto dei principi di progressività e di capacità contributiva;
– non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, primo, secondo e terzo periodo, sollevate, nel complesso, in riferimento agli artt. 9, 33, 34 e 97 Cost..
La Corte ha ricordato come la giurisprudenza costituzionale non suffraghi la conferenza di tali parametri al trattamento economico dei docenti universitari, atteso che con la sentenza n. 22 del 1996, si è affermato, con specifico riguardo all’art. 33 Cost., la «non pertinenza di tale parametro al problema del trattamento economico dei docenti, posto che l’autonomia oggetto di tale disposizione “non attiene allo stato giuridico dei professori universitari” […], “i quali sono legati da rapporto di impiego con lo Stato e sono di conseguenza soggetti alla disciplina che la legge statale ritiene di adottare”». La successiva sentenza n. 383 del 1998 ha poi affermato che «Gli artt. 33 e 34 della Costituzione pongono i principi fondamentali relativi all’istruzione con riferimento, il primo, all’organizzazione scolastica (della quale le università, per quanto attiene all’attività di insegnamento sono parte: sentenza n. 195 del 1972); con riferimento, il secondo, ai diritti di accedervi e di usufruire delle prestazioni che essa è chiamata a fornire. Organizzazione e diritti sono aspetti speculari della stessa materia, l’una e gli altri implicandosi e condizionandosi reciprocamente. Non c’è organizzazione che, direttamente o almeno indirettamente, non sia finalizzata a diritti, così come non c’è diritto a prestazione che non condizioni l’organizzazione. Questa connessione richiede un’interpretazione complessiva dei due articoli della Costituzione».
– non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, primo, secondo e terzo periodo, del d.l. n. 78 del 2010, sollevate, in riferimento, nel complesso, agli artt. 2 (dignità sociale e solidarietà), 3 (principio di ragionevolezza e di uguaglianza, partecipazione), 36 e 97 (anche in riferimento all’art. 9), Cost., nonché al principio dell’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica, con riguardo al blocco sia dell’adeguamento, che delle classi e degli scatti.
In particolare la Corte ha evidenziato l’irrilevanza in concreto della precedente sentenza n. 223 del 2012 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 22, relativo al blocco dei meccanismi di adeguamento retributivo per il personale di magistratura perché correlata alle specificità dell’ordinamento della magistratura, specificità non sussistenti rispetto ai docenti universitari.
Anche le censure di irragionevolezza lamentate in relazione al blocco dell’adeguamento e al blocco della progressione economica per classi e scatti, sono state respinte alla luce della giurisprudenza costituzionale che ha enunciato le condizioni di legittimità di tali meccanismi di risparmio della spesa pubblica, ravvisandole nel carattere eccezionale, transeunte, non arbitrario, consentaneo allo scopo prefissato, nonché temporalmente limitato, dei sacrifici richiesti, e nella sussistenza di esigenze di contenimento della spesa pubblica, le condizioni per escludere la irragionevolezza delle misure in questione (Corte Costituzionale, sentenze n. 245 del 1997 e n. 299 del 1999, come richiamate anche nella sentenza n. 223 del 2012). Partendo da queste premesse la Corte ha ritenuto razionale il sistema posto dalla disciplina in esame incidente sulle classi e sugli scatti, poiché le disposizioni censurate non modificano il meccanismo di progressione economica che continua a decorrere, sia pure articolato, di fatto, in un arco temporale maggiore, a seguito dell’esclusione del periodo in cui è previsto il blocco. Del resto, la Corte ha riconosciuto la ragionevolezza dello sviluppo temporale delle misure, anche in considerazione dell’evoluzione intervenuta nel complessivo quadro, giuridico-economico, nazionale ed europeo evidenziando come le norme impugnate mirano ad un risparmio di spesa che opera riguardo a tutto il comparto del pubblico impiego, in una dimensione solidaristica – sia pure con le differenziazioni rese necessarie dai diversi statuti professionali delle categorie che vi appartengono – e per un periodo di tempo limitato, che comprende più anni in considerazione della programmazione pluriennale delle politiche di bilancio.
Sul punto si è rilevato come anche la direttiva 8 novembre 2011, n. 2011/85/UE (Direttiva del Consiglio relativa ai requisiti per i quadri di bilancio degli Stati membri), evidenzi come «la maggior parte delle misure finanziarie hanno implicazioni sul bilancio che vanno oltre il ciclo di bilancio annuale» e che «Una prospettiva annuale non costituisce pertanto una base adeguata per politiche di bilancio solide» (20° Considerando), tenuto conto che vi è l’esigenza che misure strutturali di risparmio di spesa non prescindano dalle politiche economiche europee.
Né l’irragionevolezza è stata ritenuta rispetto all’ipotizzata lesione dell’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica, atteso che il legislatore può emanare disposizioni che modifichino in senso sfavorevole la disciplina dei rapporti di durata, anche se l’oggetto di questi sia costituito da diritti soggettivi perfetti, sempre che tali disposizioni «non trasmodino in un regolamento irrazionale, frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle leggi precedenti, l’affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica, da intendersi quale elemento fondamentale dello Stato di diritto» (già Corte Costituzionale sentenze n. 166 del 2012, n. 302 del 2010, n. 236 e n. 206 del 2009), ma quest’ultima situazione è stata ritenuta insussistente nella specie.
– non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, primo, secondo e terzo periodo, sollevate in riferimento all’art. 36 Cost..
In particolare la Corte ha rilevato che secondo i principi affermati dalla giurisprudenza costituzionale (Corte Costituzionale, sentenze n. 120 del 2012 e n. 287 del 2006), allo scopo di verificare la legittimità delle norme in tema di trattamento economico dei dipendenti, occorre fare riferimento, non già alle singole componenti di quel trattamento, ma alla retribuzione nel suo complesso, dovendosi avere riguardo – in sede di giudizio di non conformità della retribuzione ai requisiti costituzionali di proporzionalità e sufficienza – al principio di onnicomprensività della retribuzione medesima. Pertanto tale parametro, ex se ed in relazione agli artt. 3 e 97 Cost., non risulta violato, non incidendo le disposizioni in esame sulla struttura della retribuzione dei docenti universitari nel suo complesso, né emergendo una situazione che leda le tutele socio-assistenziali degli interessati e dunque l’art. 2 Cost.
Né l’illegittimità costituzionale è stata ravvisata in relazione ai differenti effetti del blocco in ragione della diversa anzianità di servizio maturata.
Sul punto la Corte ha rilevato che l’urgenza e l’ampiezza della manovra economica contenuta nel d.l. n. 78 del 2010, in cui si inscrivono le norme censurate, ha interessato l’intero comparto del pubblico impiego: la sua stessa struttura non rendeva, dunque, possibile una frantumazione delle misure previste. D’altro canto, si è considerato che la materia attiene a scelte di politica economica e sociale, non rimesse alle valutazioni della Corte (Corte Costituzionale sentenza n. 119 del 2012) se non nei limiti della evidente irragionevolezza non sussistente in concreto, in quanto il sacrificio imposto al personale docente, se pure particolarmente gravoso per quello più giovane, appare, in quanto temporaneo, congruente con la necessità di risparmi consistenti ed immediati.
Da ciò discende che la Corte, con sentenza del 17 dicembre 2013, n. 310, ha già respinto questioni di legittimità costituzionale sovrapponibili a quelle sollevate dai ricorrenti, che non hanno evidenziato nuovi o diversi profili di contrasto con la Costituzione, sicché la relativa eccezione risulta manifestamente infondata.
3) In definitiva, il ricorso è infondato e deve essere respinto, mentre la complessità delle questioni giuridiche trattate consente di ravvisare giusti motivi per compensare tra le parti le spese della lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Quarta)
definitivamente pronunciando, respinge il ricorso.
Compensa tra le parti le spese della lite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 22 aprile 2015 con l’intervento dei magistrati:
[#OMISSIS#] Giordano, Presidente
[#OMISSIS#] Quadri, Consigliere
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Primo Referendario, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 08/05/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)