N. 00944/2016 REG.PROV.COLL.
N. 01187/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1187 del 2014, proposto da:
JILA (SHEILA) JAMBOR [#OMISSIS#], rappresentata e difesa dagli avv. [#OMISSIS#] Ugoccioni, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Mingrino, [#OMISSIS#] Fontanazza, con domicilio eletto presso quest’ultimo in Torino, Via [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] II, 13;
contro
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO, rappresentata e difesa dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliata in Torino, corso Stati Uniti, 45;
MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITÀ E DELLA RICERCA;
per l’annullamento
– del decreto direttoriale n. 3624 del 15.7.2014 dell’Università degli Studi di Torino con il quale si è provveduto alla ricostruzione della carriera della ricorrente (già nominata ricercatore universitario per il settore scientifico BIO/10 presso la Facoltà di Scienze MM.FF.NN. con provvedimento 16.8.2006 n. 54392), nella parte in cui ha escluso il riconoscimento, ai fini della carriera medesima, del periodo di lavoro svolto dalla ricorrente presso l’Imperial College London dal dicembre 1996 al marzo 2000 in qualità di Research Associate;
– del parere del Consiglio Universitario Nazionale espresso nell’adunanza del 9.10.2013, con il quale l’organo ha espresso parere non favorevole al riconoscimento del periodo suddetto perchè “i ruoli ricoperti nel Regno Unito non sono riconducibili ai profili previsti dalla normativa”;
– di ogni altro atto precedente, presupposto e consequenziale
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Università degli Studi di Torino;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 11 maggio 2016 il dott. [#OMISSIS#] Masaracchia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. La prof.ssa Jila Jambor [#OMISSIS#], all’epoca dei fatti ricercatrice universitaria confermata per il settore scientifico-disciplinare BIO/10 (Biochimica) presso la Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali dell’Università di Torino, ai fini della ricostruzione di carriera aveva avanzato domanda per il riconoscimento, nonché per l’equiparazione al servizio svolto presso atenei italiani, di alcuni periodi di attività trascorsi all’estero, antecedentemente alla propria nomina in ruolo.
Con decreto direttoriale n. 3624, del 15 luglio 2014, tuttavia, l’Università degli Studi di Torino ha riconosciuto soltanto in parte detti periodi di attività: in particolare, non le sono stati riconosciuti i periodi dal 17 giugno al 30 novembre 1996 e dal 1° dicembre 1996 al 31 marzo 2000, durante i quali la prof.ssa [#OMISSIS#] aveva svolto attività – rispettivamente – di Research Assistant e di Research Associate presso l’Imperial College of London.
La motivazione del diniego ha richiamato “il parere non favorevole espresso dal CUN nell’adunanza del 09/10/2013”, secondo il quale “i ruoli ricoperti nel Regno Unito non sono riconducibili ai profili previsti dalla normativa”.
Con il ricorso in decisione, quindi, la prof.ssa [#OMISSIS#] ha impugnato detto decreto (insieme al citato parere del CUN) nella parte in cui non ha riconosciuto i citati periodi di attività all’estero, domandandone l’annullamento ed avanzando altresì domanda di accertamento del proprio diritto al suddetto riconoscimento, con condanna dell’Università al “pagamento delle somme di risulta per le eventuali maggiorazioni retributive, oltre a rivalutazione monetaria ed interessi legali anche a titolo risarcitorio sulle stesse”.
Questi, in diritto, i motivi a sostegno del ricorso:
– eccesso di potere per manifesta illogicità, contraddittorietà e carenza di istruttoria; violazione ed inosservanza dell’art. 103 del d.P.R. n. 382 del 1980, nonché dei principi stabiliti dal Parere generale n. 11, del 24 marzo 2011, del Consiglio Universitario Nazionale: ciò in quanto, nel caso di specie, in violazione dei citati parametri, l’amministrazione si sarebbe limitata ad “una verifica di carattere esclusivamente formale” sulla base di categorie nazionali (il “ruolo”) non adattabili alla realtà britannica, senza alcun approfondimento interpretativo calibrato sul caso di specie;
– eccesso di potere per disparità di trattamento: ciò in quanto, con diverso decreto direttoriale (il n. 4047, del 5 settembre 2006), la medesima Università, con riguardo alla ricostruzione di carriera di un altro ricercatore appartenente allo stesso settore scientifico-disciplinare, aveva riconosciuto l’attività svolta come Research Associatepresso l’Imperial College of London negli anni 1997 e 1998, quindi per un’attività scientifica e per un periodo temporale del tutto sovrapponibili a quelli oggetto della domanda della ricorrente;
– violazione dell’art. 18, comma 1, lett. b, della legge n. 240 del 2010 per mancato aggiornamento della tabella di corrispondenza: ciò in quanto, al momento dell’adozione dell’impugnato decreto, erano già scaduti i tre anni di validità dell’apposita “tabella di corrispondenza” ministeriale.
2. Si è costituita in giudizio l’Università degli Studi di Torino, in persona del Rettore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, depositando documenti ed argomentando, con successiva memoria depositata nell’imminenza della pubblica discussione, l’infondatezza del gravame.
Con memoria depositata l’8 aprile 2016 la ricorrente ha replicato alle difese dell’amministrazione.
Alla pubblica udienza dell’11 maggio 2016, quindi, la causa è stata trattenuta in decisione.
3. Il ricorso è fondato.
Portata assorbente ha la censura incentrata sulla violazione dell’art. 103, comma 9, del d.P.R. n. 382 del 1980, a norma del quale “I periodi trascorsi all’estero per incarichi di insegnamento universitario o per ricerche presso qualificati centri di ricerca sono equiparati, alle condizioni e nei limiti in cui il presente articolo prevede i riconoscimenti dei servizi, al servizio prestato in qualità di professore incaricato, ovvero, rispettivamente, per le attività di ricerca, in qualità di ricercatore universitario”. Sulla base di questa disposizione, l’amministrazione che sia chiamata a valutare, ai fini della ricostruzione di carriera dei professori o dei ricercatori universitari, i periodi di attività compiuta all’estero deve quindi compiere una valutazione sostanziale dei servizi svolti, prendendo in considerazione, essenzialmente, due elementi: l’avvenuto svolgimento, all’estero, di “incarichi di insegnamento universitario o per ricerche”, ovviamente sulla base della documentazione offerta dall’interessato che offra contezza dell’attività effettivamente svolta; e la natura “qualificata” del centro di ricerca estero dove detti incarichi sono stati svolti. La relativa valutazione, in particolare, dovrà essere compiuta seguendo il procedimento descritto nel successivo comma 12 dell’art. 103 cit.
Nel caso di specie, dagli atti versati in giudizio risulta (in specie, dai docc. nn. 4 ss. della difesa erariale) che, per tramite dell’istruttoria condotta dal Consiglio Universitario Nazionale (CUN), l’amministrazione abbia bensì accertato l’avvenuto svolgimento degli incarichi compiuti all’estero dalla ricorrente, per i periodi oggetto della presente causa, ma ciò abbia fatto in modo del tutto formalistico, senza considerare la particolare e notoria qualificazione del centro estero (l’Imperial College di Londra) e trincerandosi dietro alla sostenuta non corrispondenza tra i ruoli accademici italiani ed i profili tipici del sistema universitario britannico.
Così operando, tuttavia, l’amministrazione ha compiuto una non corretta sovrapposizione tra la normativa che sovraintende al riconoscimento delle attività svolte all’estero, ai fini della ricostruzione di carriera dei professori e dei ricercatori universitari (di cui al già citato art. 103 del d.P.R. n. 382 del 1980) e la normativa che regola un aspetto del tutto diverso, ossia la chiamata diretta, come professori, presso le Università italiane, di studiosi stabilmente impegnati all’estero in attività di ricerca o insegnamento a livello universitario. In quest’ultimo caso, trova applicazione l’art. 18, comma 1, lett. b, della legge n. 240 del 2010, secondo il quale detti studiosi possono essere chiamati come professori nelle università italiane purché dimostrino di essere stati impegnati, all’estero, in attività di ricerca o di insegnamento che corrispondano a posizioni accademiche di livello pari a quelle oggetto di chiamata, “sulla base di tabelle di corrispondenza, aggiornate ogni tre anni, definite dal Ministro, sentito il CUN”. Solo con riferimento a quest’ultima fattispecie (ossia, la chiamata diretta di studiosi impegnati all’estero), pertanto, trovano applicazione, per espressa disposizione di legge, le citate tabelle di corrispondenza, e dunque solo per tale fattispecie sarebbe astrattamente possibile, per l’amministrazione, effettuare una valutazione di natura formale che – beninteso, in rigorosa applicazione delle tabelle medesime – prediliga la corrispondenza tra i ruoli od i profili accademici (nazionali ed esteri) rispetto al dato sostanziale del servizio prestato. Con riguardo alla diversa fattispecie della ricostruzione di carriera, invece, quel dato formalistico non ha ragion d’essere perché non è richiamato dalla norma di riferimento.
Del resto, è proprio la difesa dell’Università che, nel presente giudizio, ha giustamente insistito nel rimarcare la differenza tra i due procedimenti: da un lato, vi è quello preordinato al riconoscimento dei servizi prestati all’estero, ai fini della ricostruzione di carriera, che è disciplinato unicamente dall’art. 103 del d.P.R. n. 382 del 1980, senza che possa trovare spazio il richiamo alle tabelle ministeriali di corrispondenza; dall’altro lato, vi è il procedimento di chiamata di studiosi dall’estero, disciplinato dall’art. 18, comma 1, lett. b, della legge n. 240 del 2010 e che si appoggia necessariamente a quelle tabelle.
4. Deve pertanto disporsi l’annullamento degli atti impugnati in quanto, come detto, l’amministrazione – pur avendo astrattamente seguito il procedimento descritto dall’art. 103, comma 12, del d.P.R. n. 382 del 1980 – ha motivato il diniego riferendosi ad un concetto di corrispondenza (o di “riconducibilità”) tra i ruoli (o i profili) accademici nazionali e stranieri del tutto estraneo alla norma di riferimento (che è, unicamente, l’art. 103, comma 9, del d.P.R. n. 382 del 1980), omettendo di compiere la valutazione sostanziale sottesa alla ratio di quest’ultima.
Di conseguenza, l’amministrazione dovrà compiere la valutazione necessaria, alla luce della motivazione della presente sentenza, fornendo in tempi ragionevoli una risposta all’originaria istanza della ricorrente.
In considerazione del fatto che il procedimento dovrà essere rinnovato, non avendo – per quanto detto – l’amministrazione ancora esercitato il proprio potere valutativo (cfr. art. 34, comma 2, cod. proc. amm.), non possono quindi trovare accoglimento le ulteriori domande giudiziali avanzate dalla ricorrente relative all’accertamento del proprio diritto al riconoscimento, ai fini della ricostruzione di carriera, dei periodi de quibus, ed alla conseguente corresponsione delle somme di risulta per eventuali maggiorazioni retributive.
5. In considerazione della complessità del quadro normativo di riferimento, anche alla luce di come sono state formulate le censure di cui al ricorso, il Collegio stima equo disporre la compensazione delle spese del giudizio. A norma dell’art. 13, comma 6-bis.1, del d.P.R. n. 115 del 2002, comunque, l’amministrazione soccombente dovrà restituire alla ricorrente l’importo del contributo unificato da questa versato per la presente causa.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, Sezione prima, definitivamente pronunciando,
Accoglie il ricorso in epigrafe, nei sensi di cui in motivazione, e, per l’effetto, annulla gli atti impugnati.
Spese compensate, salva la restituzione del contributo unificato, così come precisato in motivazione.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 11 maggio 2016 con l’intervento dei magistrati:
[#OMISSIS#] Giordano, Presidente
[#OMISSIS#] Masaracchia, Primo Referendario, Estensore
Giovanni Pescatore, Primo Referendario
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 30/06/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)