TAR Toscana, Firenze, Sez. I, 16 novembre 2017, n. 1393

Procedura concorsuale professore Associato-Giudizio tecnico-discrezionale

Data Documento: 2017-11-16
Area: Giurisprudenza
Massima

Le valutazioni espresse dalle commissioni giudicatrici nominate in seno alle procedure per la chiamata di professori universitari hanno carattere tecnico-discrezionale e sono pertanto sindacabili in sede giurisdizionale, sul piano della verifica circa la loro rispondenza alle regole del sapere scientifico del quale occorre fare applicazione nel caso concreto. Il giudice non può, tuttavia, oltrepassare il limite della relatività delle valutazioni tecnico-discrezionali: vale a dire, una volta acclaratane l’attendibilità tecnica, egli non può censurare l’operato della commissione per il solo fatto di presentare aspetti opinabili, che in misura maggiore o minore, dipendente dalla natura delle regole applicate, sono connaturati alle valutazioni scientifiche. Le sole valutazioni censurabili sono, in altre parole, quelle che, apparendo inattendibili per superficialità, incompletezza, incongruenza, manifesta disparità, si pongono al di fuori della sfera dell’opinabile, giacché diversamente il giudice finirebbe per sostituire al giudizio dell’amministrazione un proprio diverso giudizio, altrettanto opinabile (per tutte, cfr. da ultimo Cons. Stato, sez. VI, 29 agosto 2017, n. 4105).

Contenuto sentenza

N. 01393/2017 REG.PROV.COLL.
N. 01765/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1765 del 2016, proposto da: 
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Veronese, rappresentata e difesa dall’avvocato [#OMISSIS#] Toscano, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato [#OMISSIS#] Gesess in Firenze, lungarno A. Vespucci 20; 
contro
Università degli Studi di Pisa, in persona del Rettore pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] ed [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], domiciliata ex art. 25 c.p.a. presso la Segreteria del T.A.R. Toscana in Firenze, via Ricasoli 40; 
nei confronti di
Alma Poloni, rappresentata e difesa dall’avvocato [#OMISSIS#] Bindi, domiciliata ex art. 25 c.p.a. presso la Segreteria del T.A.R. Toscana in Firenze, via Ricasoli 40; 
Giovanni [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Cortese, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], non costituiti in giudizio; 
per l’annullamento
– del decreto del Rettore n. 1341/2016 del 27.10.2016, pubblicato sul profilo internet dell’Università il 28.10.2016, di approvazione degli atti della procedura per la copertura di un posto di professore associato per il settore concorsuale 11/A1 “Storia Medievale” – settore scientifico disciplinare M-STO/01 presso il Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere dell’Università di Pisa;
– della delibera del Consiglio di Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere dell’Università di Pisa n. 268 del 24.11.2016, di chiamata della controinteressata per il posto di professore associato per il settore concorsuale 11/A1 “Storia Medievale” – settore scientifico disciplinare M-STO/01;
– dell’art. 4 del Bando n. 862, approvato con decreto rettorale del 19.07.2016 e della parte del medesimo riferita alla copertura di un posto di professore associato per il settore concorsuale 11/A1 “Storia Medievale” – settore scientifico disciplinare M-STO/01, secondo quanto specificato nel ricorso;
– di ogni altro atto connesso, conseguente e/o presupposto, ivi compresi espressamente l’art. 4 del Regolamento di Ateneo per la chiamata dei professori di prima e seconda fascia, i verbali della Commissione di concorso nella parte indicata nel ricorso e nota del Rettore prot. n. 61721 del 14.12.2016, con cui è stata respinta la richiesta di autotutela presentata dalla ricorrente;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Università degli Studi di Pisa e della controinteressata Alma Poloni;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 20 settembre 2017 il dott. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. La dottoressa [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Veronese è, dall’anno 2000, ricercatrice confermata di Storia medievale presso il Dipartimento di Civiltà del Sapere dell’Università degli Studi di Pisa, e nel 2013 ha conseguito l’abilitazione di seconda fascia nel corrispondente settore disciplinare M/STO 01.
Ella impugna gli esiti della procedura indetta dall’ateneo di appartenenza per la copertura di un posto di professore associato di Storia medievale e conclusasi con la chiamata della dottoressa Alma Poloni, per atto del competente Consiglio di Dipartimento del 24 novembre 2016 (la vincitrice, successivamente, ha anche assunto l’incarico). In particolare, la ricorrente critica l’operato della commissione giudicatrice, lamentando che la chiamata della dottoressa Poloni sarebbe il frutto di valutazioni del tutto errate dei titoli, dei curricula e delle attività presentate dai candidati; ed insiste per l’annullamento di tutti gli atti e provvedimenti meglio indicati in epigrafe.
1.1. Resistono al gravame l’amministrazione procedente e la controinteressata.
1.2. Nella camera di consiglio del 25 gennaio 2017, la domanda cautelare formulata con l’atto introduttivo del giudizio è stata accolta dal collegio ai fini di cui all’art. 55 co. 10 c.p.a..
1.3. Nel merito, la causa è stata discussa e trattenuta per la decisione nella pubblica udienza del 20 settembre 2017, preceduta dal deposito di memorie difensive e repliche.
2. In via pregiudiziale, l’Università di Pisa eccepisce l’inammissibilità del ricorso per difetto di interesse, assumendo che la ricorrente non avrebbe provato in modo specifico che l’annullamento della procedura le garantirebbe la probabilità di essere chiamata come professore associato.
In contrario, è sufficiente rilevare che la commissione giudicatrice ha valutato tutti i candidati idonei a ricoprire il posto di professore di seconda fascia, sia pure riservando alla controinteressata il giudizio più lusinghiero; e che, in Consiglio di Dipartimento, il dibattito da cui è scaturita la chiamata ha riguardato solo la dottoressa Poloni e la ricorrente, gli altri candidati non venendo neppure presi in considerazione. I motivi di ricorso, come si è accennato, sono diretti a inficiare i giudizi espressi dalla commissione, e il loro eventuale accoglimento obbligherebbe l’Università – in forza dei noti effetti conformativi della sentenza – a rinnovare la procedura selettiva con il vincolo di non poter reiterare le medesime valutazioni già censurate dal giudice, ove penalizzanti per la ricorrente: è in questo che consiste l’effetto utile e l’interesse alla decisione, la quale in nessun caso potrebbe condurre ad accertare la spettanza del bene della vita sostanziale in capo all’interessata, come sempre accade laddove si controverta dell’esercizio di poteri discrezionali non esauriti (ma è palese che, al contrario di quanto sostenuto dalla difesa dell’ateneo pisano, l’accoglimento della domanda ripristinerebbe, rafforzandole, le probabilità della ricorrente di essere chiamata come associato).
3. Con il primo motivo di ricorso, la dottoressa Veronese sostiene che la commissione giudicatrice, nello stabilire i criteri per la valutazione dell’attività didattica svolta dai candidati, avrebbe disatteso gli standard prescritti dal d.m. n. 344 del 4 agosto 2011, pur richiamato dall’art. 4 del bando di indizione della procedura. Sarebbero stati tralasciati, infatti, i parametri inerenti la valutazione da parte degli studenti, la partecipazione alle commissioni per gli esami di profitto, la quantità e qualità dell’attività seminariale e di quella mirata alle esercitazioni e al tutoraggio degli studenti.
Al di là dei criteri, a essere viziati sarebbero anche i giudizi espressi dalla commissione, che dell’attività didattica non avrebbero tenuto alcun conto, risultandone pregiudicata la ricorrente, unica fra i candidati a poter vantare quindici anni di continuative attività didattiche e seminariali e di partecipazione alle commissioni d’esame, con indiscusso apprezzamento degli studenti.
Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta che, nel valutare l’attività scientifica e di ricerca da lei condotta, la commissione ne avrebbe travisato il reale valore, erroneamente confinandola nel settore della storia degli ebrei e dell’ebraismo: settore che, peraltro, rappresenterebbe a livello internazionale un campo di ricerca ampio e tutt’altro che settoriale (Jewish Studies), comprensivo di profili di storia economica, sociale, politica e delle istituzioni, mentre la commissione, ancora una volta errando, l’avrebbe considerato “tematicamente molto definito” (oltretutto, nessuno dei membri della commissione sarebbe uno specialista dei temi di ricerca della ricorrente).
Con il terzo motivo, è dedotta l’illegittimità del bando di indizione della procedura selettiva per non aver richiesto la conoscenza, da parte dei candidati, dell’inglese, ovvero di altra lingua straniera, trattandosi di requisito oramai imprescindibile anche ai fini dell’attività accademica.
In ogni caso, la commissione avrebbe potuto e dovuto ugualmente attribuire un peso alla conoscenza delle lingue, quantomeno come elemento valutativo della capacità dei candidati di partecipare a congressi, convegni e attività di gruppi di ricerca internazionali. La dottoressa Veronese avrebbe comprovato, appunto, la conoscenza dell’inglese e la sua partecipazione a un elevatissimo numero di attività internazionali, mentre nessun cenno alla conoscenza di lingue straniere si rinverrebbe nelle valutazioni riguardanti la controinteressata.
3.1. I motivi, da esaminarsi congiuntamente, sono infondati.
3.1.1. L’art. 4 del bando di indizione della procedura selettiva per cui è causa prevede che la valutazione dei candidati avvenga sulla base dei criteri predeterminati dalla commissione giudicatrice “in conformità agli standard qualitativi previsti dal D.M. 4 agosto 2011, n. 344”.
Per comprendere la portata del rinvio alla superiore fonte normativa, occorre in primo luogo chiarire che il d.m. n. 344/2011, a ben vedere, non individua alcuno standard, ma detta i criteri nell’ambito dei quali i regolamenti universitari sono chiamati a individuare i modelli qualitativi di valutazione, in ossequio a quanto stabilito dall’art. 24 co. 5 della legge n. 240/2010. Il regolamento approvato dall’Università di Pisa per la chiamata dei professori di prima e seconda fascia, all’art. 9, rinvia a sua volta agli standard del d.m. n. 344/2011.
Tanto premesso, la tesi della ricorrente, secondo cui la commissione avrebbe dovuto fare uso di tutti i criteri valutativi indicati dall’art. 3 del citato d.m. n. 433/2011, non appare univocamente sostenibile alla stregua del tenore letterale della disposizione invocata, la quale si presta ad essere letta nel senso di precludere il ricorso a criteri differenti, ma non anche di imporre l’impiego contestuale di tutti i criteri ivi indicati. Ne discende che, nella specie, la “conformità” dei criteri stabiliti dalla commissione agli standard qualitativi (rectius: criteri) di cui al decreto ministeriale, richiesta dal bando, non può dirsi violata dall’utilizzazione del solo criterio della continuità e regolarità dell’attività didattica, arricchito dalla valutazione della capacità dei candidati di svolgere l’insegnamento nei corsi di laurea sull’età medievale, nelle sue più diverse dimensioni, coerentemente con la specifica tipologia di impegno didattico di cui al bando.
Si aggiunga, con riferimento ai criteri valutativi asseritamente pretermessi, che la qualità e quantità dell’attività seminariale risulta comunque valutata dalla commissione, mentre, quanto al gradimento degli studenti e alla partecipazione alle commissioni d’esame, la ricorrente non ha allegato alcun dato oggettivo idoneo, almeno potenzialmente, a dimostrare che il complessivo giudizio della commissione avrebbe potuto essere diverso. Per questo aspetto, le censure peccano dunque di indeterminatezza.
Rimanendo ai pretesi vizi degli atti del procedimento a monte delle valutazioni della commissione, la mancata prescrizione, nel bando, di accertamenti relativi alla conoscenza delle lingue straniere da parte dei candidati è conforme all’art. 3 del menzionato regolamento di ateneo per la chiamata dei professori, che prevede tali accertamenti come eventuali, ovvero rimessi a una valutazione discrezionale da effettuare caso per caso, al momento della pubblicazione del bando (una previsione rispettosa, a sua volta, dell’art. 18 co. 1 lett. d) della legge n. 240/2010, che rimette agli atenei di stabilire con il bando se richiedere o meno ai candidati di comprovare “anche le competenze linguistiche necessarie… ”).
Né valgono a dimostrare l’irragionevolezza del bando impugnato, nella parte in cui non richiede il requisito della conoscenza di una lingua straniera, le generiche considerazioni della ricorrente circa l’importanza della conoscenza delle lingue in tempi di globalizzazione. Del resto, la capacità dei candidati di condurre la propria attività di studio e ricerca anche in contesti internazionali, i quali presuppongono in qualche misura la conoscenza delle lingue, è stata indirettamente valutata dalla commissione nell’ambito del criterio inerente la partecipazione a congressi, convegni e gruppi di ricerca internazionali.
3.1.2. Superate le contestazioni di stampo formale, nella sostanza la dottoressa Veronese assume che la commissione avrebbe sottovalutato il suo profilo, e, così facendo, avrebbe indebitamente premiato la controinteressata.
Per contestualizzare le doglianze, si ricorda che il giudizio di idoneità espresso dalla commissione giudicatrice nei confronti di tutti i candidati è accompagnato, per la ricorrente, da una valutazione di parziale adeguatezza alle funzioni previste, in considerazione di un profilo “tematicamente molto definito… piuttosto limitato quanto allo sviluppo e al compiuto sfruttamento dei filoni di ricerca individuati”. Il profilo della controinteressata è invece giudicato “eccellente e pienamente adeguato alle funzioni previste dal bando” per “intensità, qualità, varietà e originalità di lavoro, svolto in un itinerario di ricerca sempre al centro del più avanzato dibattito storiografico”.
È, dunque, nella elevata qualità dell’attività di ricerca che si fonda il giudizio di eccellenza e di piena adeguatezza alle funzioni pronunciato dalla commissione nei confronti della controinteressata, così come il giudizio di parziale adeguatezza reso nei confronti della ricorrente dipende da un’attività di ricerca ritenuta tematicamente definita e, soprattutto limitata nei possibili sviluppi.
Ora, è noto che le valutazioni espresse dalle commissioni giudicatrici nominate in seno alle procedure per la chiamata di professori universitari hanno carattere tecnico-discrezionale e sono pertanto sindacabili in sede giurisdizionale, sul piano della verifica circa la loro rispondenza alle regole del sapere scientifico del quale occorre fare applicazione nel caso concreto. Il giudice non può, tuttavia, oltrepassare il limite della relatività delle valutazioni tecnico-discrezionali: vale a dire, una volta acclaratane l’attendibilità tecnica, egli non può censurare l’operato della commissione per il solo fatto di presentare aspetti opinabili, che in misura maggiore o minore, dipendente dalla natura delle regole applicate, sono connaturati alle valutazioni scientifiche. Le sole valutazioni censurabili sono, in altre parole, quelle che, apparendo inattendibili per superficialità, incompletezza, incongruenza, manifesta disparità, si pongono al di fuori della sfera dell’opinabile, giacché diversamente il giudice finirebbe per sostituire al giudizio dell’amministrazione un proprio diverso giudizio, altrettanto opinabile (per tutte, cfr. da ultimo Cons. Stato, sez. VI, 29 agosto 2017, n. 4105).
Nel caso in esame, la ricorrente nulla osserva circa il giudizio espresso dalla commissione sull’attività scientifica e di ricerca della controinteressata, ma rivendica per sé un profilo di storico medievale completo, che la commissione avrebbe arbitrariamente e frettolosamente misconosciuto.
Le pubblicazioni presentate dalla dottoressa Veronese riguardano tutte – fatta eccezione per due contributi del 1987 e del 2000, oramai risalenti – la storia degli ebrei. I giudizi individuali espressi dai commissari evidenziano “una certa ripetitività di temi” (prof. Ronzani), un “andamento un po’ statico nel tempo” (prof. Artifoni), un profilo “tematicamente molto definito” (prof. Petralia, il cui giudizio è stato poi trasferito nella valutazione collegiale); e si compendiano nel giudizio conclusivo circa la limitatezza del profilo “quanto allo sviluppo e al compiuto sfruttamento dei filoni di ricerca individuati”.
Le contrarie argomentazioni della ricorrente, fondate sull’asserito contenuto non settoriale dei suoi studi e sulla mancanza di conoscenza specialistica della materia da parte dei commissari, non sono supportate da obiettivi elementi di riscontro.
Perché possa dubitarsi della competenza dei commissari, non basta affermare l’esistenza di un dibattito internazionale sul tema dei Jewish Studies, ma occorrerebbe almeno allegare quali siano i termini effettivi del dibattito e in quale misura i commissari ne abbiano ignorato le implicazioni, giungendo a conclusioni (non soltanto opinabili, ma) obiettivamente inattendibili. Senza dimenticare che la competenza dei commissari va parametrata alla declaratoria del settore scientifico-disciplinare cui la procedura si riferisce, al pari della pertinenza dei lavori presentati dai candidati: se i lavori della ricorrente sono riferibili al SSD “Storia medievale”, la competenza dei commissari, tutti ordinari della materia, non può che essere presunta sino alla prova del contrario, che qui non è stata fornita.
La ricorrente neppure spiega per quali aspetti – sulla base dei contenuti concreti della produzione scientifica presentata per la valutazione – i commissari avrebbero errato nel qualificare il suo profilo come “tematicamente molto definito”, anziché apprezzarne la reale profondità.
La verità è che la commissione, come si ricava dai giudizi individuali e collegiale, ha ben colto le diverse implicazioni di tipo storico, economico, sociologico, delle ricerche sviluppate dalla dottoressa Veronese (per tutte, basti ricordare la citazione dello scritto “Interazioni economiche e sociali tra ebrei e cristiani…” del 2013, nella parte conclusiva del giudizio collegiale). Nondimeno, essa ha ravvisato in quegli studi una certa incompiutezza e mancanza di sviluppo, legate alla riproposizione nel tempo dei medesimi temi e alla stesura, a partire dai primi anni 2000, di lavori di sintesi piuttosto brevi (ancorché dalla collocazione editoriale in genere prestigiosa: così il giudizio individuale del professor Ronzani, il quale significativamente rimarca come in uno scritto del 2010 la ricorrente non abbia molto aggiunto a quanto già scriveva in un primo saggio del 1998).
D’altronde, stando ai giudizi della commissione, la produzione scientifica della dottoressa Veronese appare inferiore per intensità e regolarità ad alto livello anche nei confronti di quella di altri candidati (si vedano i giudizi individuali e collegiale resi nei confronti della dottoressa [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Cortese, il cui profilo è stato valutato “adeguato” alle funzioni richieste).
I rilievi della commissione non sono oggetto di specifica critica da parte della ricorrente, la quale enfatizza l’ampiezza delle tematiche astrattamente riconducibili alla storia degli ebrei, ma, in ordine all’oggetto specifico dei suoi studi, non offre argomenti per confutare in concreto il giudizio ricevuto, che investe non soltanto i temi trattati, ma anche la qualità della trattazione.
Con questo, non vuol dirsi che la dottoressa Veronese non sia in grado di tenere insegnamenti anche su argomenti diversi dalla storia ebraica, nell’ambito della medievistica, ovvero di distinguersi fra gli studiosi a livello internazionale, di organizzare la ricerca e di conseguire finanziamenti (per utilizzare gli argomenti adoperati dal prof. Borbone a sostegno della Veronese nel corso della discussione in Consiglio di Dipartimento, come riportati in ricorso). Ma tali attitudini non tolgono che la sua produzione scientifica non presenti la stessa varietà, originalità di temi e profondità riconosciute a quella della controinteressata.
3.1.3. La coerenza intrinseca dei giudizi formulati dalla commissione non è smentita dal peso recessivo attribuito, ai fini della valutazione, all’attività didattica.
È vero che l’attività didattica svolta dalla ricorrente prevale quantitativamente su quella della dottoressa Poloni, se non altro in ragione dei diversi tempi di inizio delle rispettive carriere accademiche. L’attività di docenza della ricorrente appare caratterizzata anche dal punto di vista qualitativo, e di questo non ha dubitato neppure la commissione giudicatrice, che ha valutato la dottoressa Veronese idonea a ricoprire il posto messo a concorso.
Che il maggior “peso” dell’attività didattica non sia stato determinante a orientare i giudizi conclusivi in senso (più) favorevole alla ricorrente costituisce, tuttavia, il risultato di una valutazione non manifestamente irragionevole. La preferenza accordata a uno studioso considerato eccellente, ancorché con minore esperienza di insegnamento, rispetto a un docente esperto e capace, ma legato a temi di ricerca molto definiti e in prospettiva poco promettenti, risponde a un bilanciamento non arbitrario e non irrazionale: posto che per definizione l’attività del professore universitario vede affiancarsi la didattica allo studio e alla ricerca, si tratta evidentemente di una scelta – quella della commissione prima, e del Consiglio di Dipartimento poi – che punta a valorizzare il profilo scientifico, senza pregiudizio di quello didattico, che la controinteressata garantisce in virtù di un’esperienza non prolungata, ma adeguata (la scelta contraria, alla luce dei giudizi espressi dalla commissione, avrebbe forse maggiormente valorizzato il profilo didattico, facendo conto sulla maggiore esperienza e sulle riconosciute capacità della ricorrente, ma certamente penalizzato quello scientifico, comportando la rinuncia al profilo eccellente della controinteressata).
Nessun elemento di irragionevolezza si trae, infine, dalla conoscenza delle lingue, che –in disparte quanto dichiarato nel curriculum, ove non è attestato il possesso di diplomi, certificati o altri titoli – la dottoressa Veronese comprova, al pari della dottoressa Poloni, attraverso la partecipazione ad attività internazionali (fermo restando che, come detto in precedenza, la conoscenza di lingue straniere legittimamente è rimasta estranea ai criteri di valutazione).
3.2. Il quarto motivo investe la composizione della commissione giudicatrice.
La ricorrente sostiene che esisterebbe una relazione “maestro-allieva” tra i commissari prof. Ronzani e prof. Petralia e la controinteressata. Il primo sarebbe stato relatore della tesi di laurea della dottoressa Poloni e, insieme al prof. Petralia, l’avrebbe poi seguita nella tesi di dottorato.
Ancora, i due docenti sarebbero autori di una prefazione encomiastica alla pubblicazione della Poloni su “Lucca nel Duecento” e l’avrebbero in seguito coinvolta in tutti i progetti di ricerca di loro interesse, oltre ad averla nominata rappresentante pisana nel Centro Studi San [#OMISSIS#]. A fronte di un legame accademico e professionale così solido, tale da rendere inevitabile la propensione per la loro allieva, i due commissari non avrebbero potuto e dovuto essere nominati, o avrebbero dovuto astenersi, anziché addirittura contribuire anche alla scelta del terzo commissario prof. Artifoni (il prof. Petralia, in quanto componente del consiglio di amministrazione dell’Università, avrebbe anche ratificato la propria nomina quale commissario).
In sede cautelare, la censura è stata delibata favorevolmente dal collegio, che ha inteso in tal modo indicare un tema di indagine meritevole di particolare riflessione. Quella delibazione non può tuttavia essere confermata, alla luce dell’approfondimento che le parti, con le memorie ex art. 73 c.p.a., hanno dedicato al problema della composizione della commissione.
Dalla documentazione in atti, risulta che la commissione è stata nominata dal Rettore dell’Università di Pisa con il decreto dell’8 settembre 2016, contenente la nomina delle commissioni per ciascuna delle procedure selettive indette con il bando del 19 luglio precedente. La proposta era stata formulata, all’unanimità, dal Consiglio del Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere, cui non aveva partecipato – giustificando la propria assenza – la professoressa [#OMISSIS#] Salvatori. Ne risultano perciò smentite le doglianze della ricorrente circa le supposte anomalie del procedimento di nomina, ivi compresa la difettosa convocazione della predetta professoressa Salvatori.
Con riferimento al più complesso aspetto della presunta mancanza di terzietà dei commissari Ronzani e Petralia, va ricordato che, secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, non costituisce ragione di incompatibilità la sussistenza di rapporti di mera collaborazione scientifica fra i componenti della commissione e alcuno dei candidati, salvo che si sia in presenza di una comunanza di interessi anche economici, di intensità tale da porre in dubbio l’imparzialità del giudizio. In ambito universitario l’esistenza di rapporti di collaborazione didattica o scientifica costituisce invero ipotesi ricorrente e non è tale da inficiare di per sé l’imparzialità dei commissari, se non eccedente il livello meramente intellettuale.
La Sezione ha già aderito a tale orientamento che, nei suoi approdi più recenti, esige peraltro non un’applicazione meccanica, ma una valutazione caso per caso, volta a stabilire se rapporti di collaborazione, pur di natura puramente intellettuale e privi di contenuto patrimoniale, non raggiungano comunque un grado di intensità tale da eccedere l’ordinario livello delle relazioni accademiche e da compromettere l’indipendenza di giudizio del commissario verso il candidato (in questo senso, da ultimo cfr. Cons. Stato, sez. VI, n. 4105/2017, cit.; id., 30 giugno 2017, n. 3206; T.A.R. Toscana, sez. I, 19 settembre 2017, n. 1060).
È dunque in questa prospettiva che saranno ricostruiti i rapporti fra la controinteressata ed i professori Ronzani e Petralia, che hanno inizio – la circostanza è pacifica – nel 1999, quando il prof. Ronzani fu relatore della tesi di laurea della dottoressa Poloni. È stato invece smentito che lo stesso prof. Ronzani, insieme al prof. Petralia, nel 2002/2003 abbia seguito la Poloni per la tesi di dottorato, il cui relatore è stato altro docente (il prof. [#OMISSIS#] Tangheroni: si veda il frontespizio della tesi, in atti).
Nella prefazione al volume della Poloni “Lucca nel Duecento”, del 2009, il professor Ronzani attesta peraltro di aver letto a suo tempo, con il professor Petralia, la tesi di dottorato della controinteressata e di aver in quell’occasione pensato di aver “finalmente trovato la ricercatrice che sarebbe stata in grado di colmare una delle lacune più vistose degli studi sul Medioevo toscano: la storia di Lucca nel Duecento e nel primo Trecento…”.
Nel 2010, il professor Ronzani è stato componente della commissione del concorso da ricercatore vinto dalla Poloni, e in quella sede autore di un giudizio assai lusinghiero nei suoi confronti. Nel 2012, quindi, la controinteressata è stata inserita in un progetto di ricerca di rilevante interesse nazionale (PRIN) coordinato, con altri, dal professor Petralia, e nel quale era coinvolto come docente anche il professor Ronzani.
Successivamente, nell’anno accademico 2015/2016 la dottoressa Poloni ha partecipato all’interpello interno indetto dal Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere per il conferimento dell’insegnamento di Storia Medievale I, e conseguito il relativo incarico, consistente in una codocenza con il professor Ronzani, responsabile del corso.
Infine, è del 2015 l’ingresso della dottoressa Poloni e del professor Ronzani nel rinnovato comitato scientifico della Fondazione Centro Studi sulla Civiltà dell’Alto Medioevo, del quale faceva già parte il professor Petralia (la nomina proviene dal consiglio di amministrazione della fondazione, su proposta dello stesso comitato scientifico uscente). Si tratta di un incarico non remunerato, per l’organizzazione e lo svolgimento di attività culturali e di studio.
Le circostanze così elencate denotano certamente l’esistenza di costanti rapporti di collaborazione didattica e scientifica fra i due commissari e la candidata, ma non possono considerarsi rivelatrici di una vicinanza tanto assidua e stabile da determinare in capo ai primi una situazione di incompatibilità, ovvero una causa di astensione.
La occasionale codocenza di un corso costituisce un evento fisiologico e di per sé scarsamente significativo, specie se si considera che l’insegnamento di Storia Medievale I era già stato tenuto dalla dottoressa Poloni negli anni accademici precedenti e in piena autonomia, il che svilisce il ruolo di “coordinatore” rivestito dal professor Ronzani nell’ambito della codocenza del 2015/2016 e la stesso contenuto fiduciario di quella specifica collaborazione, pur sempre frutto dell’adesione della Poloni a un interpello interno (che la codocenza costituisca una prassi organizzativa della quale in altre occasioni, e con altri docenti, si è giovato il professor Ronzani è dimostrato dalle produzioni dell’Università resistente, non contestate).
Lo stesso vale per la partecipazione al medesimo progetto di ricerca del 2012, nel quale il coinvolgimento della controinteressata appare oltretutto oggettivamente giustificato dal tema di studio affrontato, quello della mobilità sociale nell’Italia del basso medioevo, del quale la Poloni si era occupata. Non si dimentichi poi che la controinteressata ha autonomamente partecipato ad altri tre PRIN, nel decennio dal 2005 al 2016, e che, dei quattro PRIN cui ha preso parte la ricorrente, uno era coordinato proprio dal prof. Petralia.
Si atteggia come semplice collaborazione anche la compresenza della controinteressata e dei professori Petralia e Ronzani nel comitato scientifico della fondazione Centro Studi sulla Civiltà dell’Alto Medioevo. Essa origina, peraltro, dalla volontà della stessa fondazione di instaurare un più stretto legame con i tre atenei toscani, in vista dell’auspicato rilancio dell’attività del Centro Studi (si veda la nota del Presidente del comitato scientifico della fondazione, in atti), di modo che la Poloni, nella sua veste di studiosa della storia tardo-medievale, appare pienamente titolata a rappresentare l’Università di Pisa, al punto da essere stata scelta non “dal” professor Ronzani, ma “con” il professor Ronzani, in posizione equiordinata.
Non muta i termini della questione il fatto che l’indicazione di Poloni e Ronzani sia verosimilmente stata effettuata dal professor Petralia, a ciò sollecitato dal Presidente del comitato scientifico uscente (v. la nota cit.), atteso che la nomina compete al consiglio di amministrazione della fondazione e che, in ogni caso, essa non comporta alcun beneficio patrimoniale alla controinteressata, né suggella una comunanza di interessi economici o di altra natura, della quale non vi è alcuna prova.
In altri termini, dagli elementi disponibili circa le relazioni professionali fra la dottoressa Poloni e i professori Ronzani e Petralia non si ricava la dimostrazione univoca che la prima abbia intrattenuto con l’uno o con l’altro rapporti di collaborazione connotati da continuità, intensità e reciproca convenienza idonei, anche solo in astratto, a condizionare il giudizio della commissione.
A ben vedere, le stesse valutazioni espresse dai due commissari rispetto alle prime ricerche della dottoressa Poloni, e dal solo professor Ronzani nell’ambito della commissione del concorso da ricercatore, che pur denotano positivo apprezzamento per la candidata, sono troppo risalenti nel tempo per costituire una sorte di pregiudizio favorevole nell’ambito di una procedura, quella per la nomina a professore associato, nella quale la commissione è stata chiamata non a rinnovare valutazioni del passato e sul passato, ma a esprimersi sugli sviluppi della carriera della candidata, tenuto conto di tutta l’attività didattica e scientifica frattanto svolta dalla dottoressa Poloni: un giudizio, cioè, sulla maturazione della studiosa e sulle sue attitudini attuali a ricoprire il posto, che non può, anche secondo una prognosi ex ante, ritenersi influenzato dai pregressi giudizi favorevoli, perché ricadente su un oggetto consistentemente diverso.
Conferma ne è che la ricorrente non contesta il merito del giudizio espresso dalla commissione sull’attività scientifica della controinteressata, alla quale è riconosciuto di aver condotto i propri itinerari di ricerca (non soltanto gli studi iniziali, ma anche quelli del periodo successivo al conseguimento del titolo di ricercatrice) sempre al centro del più avanzato dibattito storiografico. Conclusione certo non scontata a priori, nonostante la dottoressa Poloni fosse stata giudicata in passato una studiosa promettente, e appunto argomentata dalla commissione su