TAR Umbria, Perugia, Sez. I, 23 febbraio 2016, n. 140

Equiparazione tecnico laureato e funzionario tecnico/collaboratore tecnico-Recupero somme corrisposte

Data Documento: 2016-02-23
Area: Giurisprudenza
Massima

Benché parte della giurisprudenza opini nel senso della illegittimità degli atti gestionali a firma congiunta (nel caso di specie, del Direttore generale, de facto competente, e anche del Rettore) la sottoscrizione contestuale da parte del dirigente, nell’ottica del principio oramai fondamentale di “strumentalità delle forme” e di “utile per inutile non vitiatur”, garantisce appieno il rispetto delle attribuzioni dirigenziali, specie laddove non risulti alcun elemento in base al quale si possa anche solo ipotizzare contraddittorietà di valutazioni o di posizioni.

L’omogeneità dei compiti di ricerca costituisce la ratio della continuità tra i servizi del funzionario tecnico e del ricercatore: è con ciò confermata la sostanziale non equiparabilità tra le figure del collaboratore, anche laureato, e del funzionario, pur accomunate dall’appartenenza al ruolo tecnico, rimanendo distinte le caratteristiche dei compiti propri di ciascuna di esse, con specifico riguardo al campo della ricerca.

È tuttora valido l’orientamento giurisprudenziale che, in materia di annullamento d’ufficio di provvedimenti che comportano illegittimo esborso di denaro pubblico, individua l’interesse pubblico “in re ipsa” senza dunque rilievo al decorso del tempo e alla comparazione con il contrapposto interesse privato, rilevando la buona fede del percipiente solo al fine delle modalità con cui il recupero deve essere effettuato, in modo cioè da non incidere in maniera eccessivamente onerosa sulle esigenze di vita del dipendente. Non di meno, si registra da ultimo la decisa volontà da parte del legislatore di apporre un rigido sbarramento temporale all’esercizio del potere di autotutela, fissato in diciotto mesi “dal momento dell’adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici”. Pertanto, l’ampiezza del tempo trascorso (nel caso di specie, oltre cinque anni) e la rilevanza dell’affidamento incolpevole del privato, legittimano la non recuperabilità delle somme corrisposte in seguito all’illegittimo riconoscimento dei servizi pre-ruolo prestati dal privato quale collaboratore tecnico.

Quantomeno in seno all’ordinamento comunitario non è precluso all’amministrazione di modulare gli effetti del provvedimento di autotutela, laddove la delimitazione della decorrenza ex nunc costituisca il mezzo indispensabile per coniugare il ripristino della legalità con il principio di derivazione comunitaria del legittimo affidamento. La giurisprudenza nazionale, in fattispecie analoghe, non ha mancato di evidenziare come a seguito dell’annullamento del provvedimento il recupero delle somme erroneamente corrisposte non ne costituisca conseguenza automatica, essendo anzi detto recupero illegittimo laddove l’amministrazione abbia ingenerato nei propri dipendenti la ragionevole convinzione di avere diritto a determinati emolumenti e questi siano stati percepiti e consumati in buona fede per le normali esigenze di vita.

La regola della necessaria retroattività degli effetti vizianti risulta oggi rimeditata quanto all’annullamento giurisdizionale da parte del g.a., laddove anche sulla scia del diritto comunitario si è affermata la possibilità per il giudice di modularne gli effetti a seconda delle circostanze e comunque “dell’interesse posto a base dell’impugnazione”.

Contenuto sentenza

N. 00140/2016 REG.PROV.COLL.
N. 00819/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’ Umbria
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 819 del 2014, proposto da: 
Tiziano Gardi, rappresentato e difeso dagli avv. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] De Matteis, con domicilio eletto presso [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] De Matteis in Perugia, via Bonazzi, 9; 
contro
Università degli Studi di Perugia, rappresentata e difesa per legge dall’ Avvocatura Distrettuale dello Stato di Perugia, domiciliataria in Perugia, via degli Offici, 14; 
per l’annullamento
– del decreto n. 1800 del 9.10.2014 col quale il Rettore dell’Università degli Studi di Perugia a ciò autorizzato con delibera del Consiglio di Amministrazione in data 25.6.2014, ha annullato d’ufficio il decreto dirigenziale n. 134 del 2.3.2009 con cui il ricorrente, Ricercatore universitario confermato, aveva ottenuto il riconoscimento ai sensi dell’art. 103, comma 3, d. P.R. 11.7.1980 n. 382, dei servizi pre ruolo “….prestati quale Collaboratore Tecnico dal 1.1.1991 al 8.8.2000 e quale dipendente di categoria D dell’area tecnica, tecnico – scientifica ed elaborazione dati dal 9.8.2000 al 21.11.2001 per complessivi anni 7 e mesi 3 e giorni 4…..” così rideterminando (“…..in mesi 10 e giorni 9…..”) il periodo valutabile agli stessi fini, la progressione giuridico economica di carriera (per il passato e de futuro) ed il trattamento economico in godimento;
– nonché di ogni altro atto presupposto, conseguente o collegato ancorché non conosciuto, incluse – in parte qua e ove occorra – la predetta delibera in data 25.6.2014 (allo stato ignota) e la nota rettorale prot. n. 20306 in data 8.7.2014, recante la comunicazione di avvio del procedimento esitato nell’adozione del decreto n. 1800/2014;
e comunque per l’accertamento del diritto del ricorrente – a seguito occorrendo dell’accertamento, ora per allora, del diritto all’inquadramento nella VIII q.f. col profilo di Funzionario Tecnico, ai sensi dell’art. 9, comma 2, D.L. 24.11.1990 n. 344 (convertito con modifiche dalla L. 23.1.1991 n. 21) – al riconoscimento ai sensi dell’art. 103 comma 3, cit., del servizio pre ruolo nei medesimi termini risultanti dal decreto dirigenziale n. 571/2009, con ogni conseguente statuizione di legge;
e con conseguente condanna dell’Università degli Studi di Perugia, in persona del rettore pro tempore a restituire gli importi sottratti al ricorrente in applicazione dell’impugnato decreto n. 1800/2014, maggiorati di rivalutazione monetaria ed interessi dal dovuto al soddisfo;
il tutto occorrendo all’esito della sospensione del giudizio e della rimessione agli atti alla Corte Costituzionale affinché ai sensi e per gli effetti degli artt. 23 ss. L. 11.3.1953 n. 87 dichiari l’illegittimità costituzionale dell’art. 103 comma 3, d. P.R. n. 382/1980 e se del caso, dell’art. 7 comma 6, L. 21.2.1980 n. 28, nei limiti e per i motivi specificati infra.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’ Università degli Studi di Perugia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 24 giugno 2015 il dott. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Espone l’odierno ricorrente di esser stato assunto dal 1 gennaio 1991 dall’ Università degli Studi di Perugia in qualità di Collaboratore Tecnico (VII q.f.) presso l’Istituto di Ecologia Agraria della Facoltà di Agraria.
In applicazione del C.C.N.L. di Comparto 1998/2011 veniva inquadrato nella categoria “D”, posizione economica “D1”.
Con decreto rettorale n. 4164/R del 20 novembre 2011 veniva nominato, quale vincitore di concorso riservato ex art. 1, co. 10, L. n. 4/1999, Ricercatore universitario confermato, con decorrenza 21 novembre 2001.
Con sentenza della Corte costituzionale n. 191 del 6 giugno 2008 è stato dichiarato illegittimo l’art. 103, co. 3, d.P.R. n. 382/1980 nella parte in cui non riconosceva ai ricercatori universitari, all’atto della loro immissione nella fascia di ricercatori confermati, per intero ai fini del trattamento di quiescenza e previdenza e per due terzi ai fini della carriera, l’attività effettivamente prestata nelle università in qualità di tecnici laureati con almeno tre anni di ricerca.
Con nota n. 35522 del 22/7/2008, il Rettore dell’Università di Perugia invitava il personale docente interessato, nominato ricercatore confermato ai sensi della L. n. 4/1999, seppure inquadrato in altre qualifiche, a produrre richiesta di riconoscimento ai fini della progressione di carriera nel ruolo di ricercatore confermato del servizio prestato nelle figure che hanno dato il titolo alla partecipazione ai concorsi riservati di cui alla L. n. 4/1999.
Il dott. Gardi depositava presso l’Università l’apposito modulo per il riconoscimento del servizio di collaboratore tecnico.
Con decreto dirigenziale n. 134 del 2 marzo 2009, l’Università riconosceva al ricorrente (così come invero ad altri ricercatori nella medesima posizione) ai fini della progressione di carriera ex art. 103, d.P.R. n. 382/1980, i servizi prestati quali collaboratore tecnico dall’1/1/1991 al 8/8/2000 e quale dipendente di categoria “D” dell’area tecnica, tecnico scientifica ed elaborazione dati dal 9/8/2000 al 21 novembre 2001 per complessivi anni 7, mesi 3, giorni 4.
I provvedimenti sono stati annullati con il decreto rettorale n. 1800 del 9 ottobre 2014, comunicato con nota in pari data che, in forza dell’annullamento del riconoscimento del servizio di collaboratore tecnico, richiedeva la restituzione dell’indebito.
L’odierno istante ha impugnato il suddetto decreto, deducendo in via principale censure così riassumibili:
I. Violazione ed errata applicazione dell’art. 4 del D.lgs. 165 del 2001, nonché degli artt. 10 e 50 dello Statuto, violazione del principio del “contrarius actus”, incompetenza: il Rettore non avrebbe potuto adottare un provvedimento che riguardando il personale e la gestione finanziaria dell’Università risulterebbe ascrivibile alle attribuzioni dirigenziali, violando al contempo la regola pacificamente valevole in seno ai procedimenti di riesame del “contrarius actus”;
II. Violazione ed errata applicazione dell’art. 21-nonies comma 1, legge 241 del 1990, nonché dei principi in tema di annullamento d’ufficio, eccesso di potere per carenza dei motivi, difetto o errata valutazione dei presupposti: anche volendo per ipotesi ritenere l’atto oggetto di annullamento illegittimo, sarebbe del tutto carente la ponderazione da parte dell’Università dell’interesse del ricorrente a mantenere i benefici ottenuti, specie in considerazione del lungo lasso di tempo trascorso e del consolidamento della posizione del dott. Gardi; in considerazione di quanto esposto, il potere di riesame avrebbe potuto limitare gli effetti caducatori e le conseguenze economiche della ritenuta non spettanza del beneficio, escludendo il recupero delle somme già erogate percepite dal ricorrente in buona fede e destinate a soddisfare bisogni essenziali;
III. Violazione e/o elusione dei principi di buona fede e di tutela dell’affidamento, eccesso di potere per carenza dei motivi, omessa valutazione di rilevanti presupposti, ingiustizia manifesta: l’Amministrazione pretenderebbe di far ricadere solo sul ricorrente le conseguenze di una situazione creata proprio dalla stessa Amministrazione, la quale aveva sollecitato il personale interessato a presentare la domanda di riconoscimento del servizio pre ruolo;
IV. Violazione od errata applicazione dell’art. 2909 c.c. e dei principi in tema di estensione del giudicato amministrativo, eccesso di potere per difetto dei presupposti, arbitrarietà ed ingiustizia manifesta: il divieto di estensione degli effetti del giudicato di cui all’art. 1 comma 132, della legge 311 del 2004 opererebbe anche in “malam partem”; quanto al recupero delle somme erogate nella fattispecie non scatterebbe la prescrizione ordinaria di cui all’art. 2946 bensì quella breve di cui all’art. 2948 n. 4 c.c.;
V. Errata applicazione dell’art. 21-nonies della legge 241 del 1990 anche in relazione all’art. 9 comma 2 del D.L. 344 del 1990, violazione dei principi in tema di convalida, eccesso di potere per infondatezza o insufficienza dei motivi, omessa valutazione di rilevanti presupposti, arbitrarietà ed ingiustizia manifesta: prima di esercitare lo “ius poenitendi” l’Amministrazione avrebbe dovuto considerare l’ipotesi di convalidare l’atto che si è provveduto ad annullare, mediante il riconoscimento ora per allora che il ricorrente aveva pieno titolo per essere inquadrato nella qualifica e nel profilo idonei ai fini dell’accesso al riconoscimento dei servizi pre ruolo;
VI. Errata applicazione dell’art. 21-nonies della legge 241 del 1990, errata interpretazione dell’art. 103, comma 3, del d. P.R. 382 del 1980, eccesso di potere per infondatezza ed erroneità dei motivi: ai sensi dell’art. 103, c. 3, d.P.R. n. 382/1980, al ricorrente doveva essere riconosciuto l’intero periodo di lavoro nel quale ha di fatto svolto in modo prevalente la mansione autonoma di ricercatore, pur essendo formalmente inquadrato nella qualifica di collaboratore tecnico di VII livello; l’amministrazione deve valutare il diritto dei ricercatori confermati a vedersi riconosciuto ai fini della ricostruzione della carriera le mansioni di fatto svolte nel grado di collaboratore tecnico e non equiparare le funzioni formali attribuite ai collaboratori tecnici a quelle previste per i tecnici laureati; con la legge n. 4/1999 è stata riconosciuta la situazione di fatto costituita dall’utilizzo della figura del tecnico laureato come canale di accesso alla carriera universitaria e dallo svolgimento dell’attività di ricerca da parte dei tecnici laureati; l’espletamento in maniera continuativa e prevalente dell’attività di ricerca ha consentito al ricorrente di partecipare alla procedura concorsuale e di essere nominato nella qualifica di ricercatore confermato secondo il criterio previsto dall’art. 7, L. n. 28/1980.
Cumula il ricorrente alla domanda di annullamento quella del tutto connessa di accertamento del proprio diritto al riconoscimento ai sensi dell’art. 103 comma 3, cit., del servizio pre ruolo nei medesimi termini risultanti dal decreto dirigenziale n. 571/2009, con ogni conseguente statuizione di legge e conseguente condanna dell’Università intimata a restituire gli importi sottratti, maggiorati di rivalutazione monetaria ed interessi dal dovuto al soddisfo.
In subordine la difesa del ricorrente solleva questione di illegittimità costituzionale dell’art. 103, comma 3, del d. P.R. 382 del 1980 ed occorrendo, dell’art. 7 comma 6, della legge n. 281 del 1980 per contrasto con gli artt. 3, 97, 76, 36 comma primo e 33 Cost.: la norma non riconosce ai ricercatori universitari, all’atto della loro immissione nella fascia di ricercatori confermati, per intero ai fini del trattamento di quiescenza e previdenza e per i due terzi ai fini della carriera l’attività effettivamente prestata nelle università in qualità di collaboratori tecnici con almeno tre anni di attività di ricerca.
Si è costituita in giudizio l’Università di Perugia che ha riportato i provvedimenti emanati alla conferma da parte del Consiglio di Stato delle sentenze reiettive della riconoscimento, ai fini della carriera di ricercatore e di professore associato, del servizio svolto nella qualità di collaboratore tecnico ancorché integrato dai tre anni di attività di ricerca.
L’Avvocatura ha chiarito come, per evidenti esigenze di parità di trattamento e per evitare il possibile danno erariale, il consiglio di amministrazione dell’Ateneo, con delibera n. 5 del 25 giugno 2014 aveva disposto il riesame dei provvedimenti di tutti i docenti che, dopo essere stati immessi nel ruolo dei ricercatori confermati attraverso le procedure di cui alla L. n. 4/1999, avevano conseguito ai fini della relativa carriera il riconoscimento del servizio di collaboratore tecnico.
Instaurato il contraddittorio con tutti gli interessati, l’Ateneo aveva annullato i decreti dirigenziali di riconoscimento del servizio del ruolo ai fini della carriera di ricercatore originariamente adottati, ricostruendo in termini conseguenziali la relativa progressione giuridico economica e adeguando i relativi trattamenti stipendiali con recupero delle somme in precedenza erogate.
All’udienza pubblica del 24 giugno 2015, sentiti i difensori, la causa è stata trattenuta in decisione
DIRITTO
2. Con il decreto in epigrafe n. 1800 del 9 ottobre 2014 il Rettore dell’Università di Perugia:
– ha annullato il provvedimento n. 134 del 2009 con cui sono stati riconosciuti, ai fini della progressione di carriera ex art. 103, d.P.R. n. 382/1980, i servizi prestati dal ricorrente quale collaboratore tecnico dal 1 gennaio 1991 al 8 agosto 2000 e quale dipendente di categoria “D” dell’area tecnica, tecnico scientifica ed elaborazione dati dal 9 agosto 2000 al 21 novembre 2001, per complessivi anni 7 mesi 3 e giorni 4;
– ha riconosciuto al dott. Gardi per il servizio prestato anteriormente all’immissione nel ruolo ai sensi dell’art. 103, d.P.R. n. 382/1980 ai fini della progressione di carriera e con effetto dalla data di nomina a ricercatore universitario confermato, unicamente mesi 10 e giorni 9;
– ha rideterminato lo stipendio, l’assegno aggiuntivo nonché l’indennità integrativa speciale secondo la progressione giuridico-economica risultante dalla nuova gradazione delle classi e scatti;
– ha demandato all’Ufficio Stipendi l’adeguamento del trattamento economico futuro e all’Ufficio Recupero Crediti la restituzione delle somme indebitamente erogate per il passato, oltre interessi dal giorno della notifica.
3. Nel provvedimento è dato atto della delibera di cui al verbale n. 10 del 25 giugno 2014 con la quale il Consiglio di Amministrazione dell’Ateneo ha preso atto della sentenza del Consiglio di Stato n. 1776/2014 e ha, conseguentemente, autorizzato il Rettore ad avviare il riesame dei provvedimenti di riconoscimento ai sensi dell’art. 103, D.P.R. n. 382/1980 del servizio pre-ruolo prestato in qualità di “collaboratore tecnico” per la ricostruzione della carriera in favore dei dipendenti con la qualifica di ricercatore universitario confermato.
3.1. Preliminarmente, va affrontata la censura di incompetenza del Rettore stante il carattere prioritario ed assorbente di tal doglianza (Consiglio di Stato Adunanza Plenaria 27 aprile 2015, n. 5).
E’ indubbio come l’atto impugnato, quale esercizio di autotutela con funzione di riesame (ai sensi dell’art. 21-nonies della legge 241 del 90) nei confronti di atti dirigenziali in materia di trattamento economico del personale, rientri nel novero delle competenze dirigenziali, ai sensi sia del D.lgs. n. 165 del 2001 che dello stesso Statuto dell’Ateneo (artt. 10 e 50).
In aggiunta alla sottoscrizione da parte del Rettore del 9 ottobre 2014 l’atto risulta altresì firmato in pari data dal Direttore Generale, dal Responsabile d’Area e dal Responsabile dell’Ufficio.
Trattasi, ad avviso del Collegio, di circostanza determinante ai fini dell’escludere la violazione del principio – di rilievo costituzionale (Corte Costituzionale sent. 3 maggio 2013 n. 81) – di separazione tra attività gestionale e di indirizzo politico.
Infatti benché invero parte della giurisprudenza opini nel senso della illegittimità (per violazione del principio di tipicità) degli atti gestionali a firma congiunta (T.A.R. Liguria sez. I, 9 febbraio 2007, n. 225; T.A.R. Lazio Latina 29 luglio 2014, n. 667; T.A.R. Puglia Bari sez. II, 10 maggio 2001, n. 1577) ritiene il Collegio che la sottoscrizione contestuale da parte del dirigente nell’ottica del principio oramai fondamentale di “strumentalità delle forme” (ex multis T.A.R. Sardegna sez. I, 19 settembre 2014, n. 725) e di “utile per inutile non vitiatur” (T.A.R. Campania Napoli sez. III, 4 novembre 2015, n. 5107) garantisca appieno il rispetto delle attribuzioni dirigenziali.
Per altro, anche a voler opinare diversamente – come si dirà più avanti – l’Università resistente ha dato prova, ai sensi dell’art. 21-octies comma secondo della legge 241 del 1990, della impossibilità di adottare una decisione diversa ovvero della non incidenza del vizio di incompetenza sul contenuto dispositivo del provvedimento, vizio che secondo una tesi pur non pacifica avrebbe natura “formale” ai sensi e per gli effetti di cui al citato art. 21-octies (T.A.R. Campania Salerno sez. II, 21 maggio 2013, n. 1132; T.A.R. Toscana sez. III, 17 settembre 2013, n. 1263 contra T.A.R. Lombardia Milano sez. IV, 6 aprile 2012, n. 1035; T.A.R. Veneto sez. II, 9 febbraio 2010, n. 340).
3.2. La censura di incompetenza del Rettore va dunque respinta.
3.3. Anche la doglianza di violazione della pur generale regola del “contrarius actus” non può ritenersi dotata di capacità invalidante, dal momento che per le considerazioni di cui infra l’attività di secondo grado qui impugnata si è posta per l’Ateneo con modalità del tutto vincolata in relazione all’illegittimo esborso di denaro pubblico.
4. Quanto alle doglianze più propriamente attinenti alla fondatezza della pretesa azionata osserva il Collegio quanto segue.
4.1. Con la citata sentenza n. 1776/2014 del Consiglio di Stato ha trovato conferma la decisione n. 340/2012 di questo Tribunale amministrativo che aveva riconosciuto a fini giuridici e di carriera l’anzianità pari a due terzi del periodo di ricercatore universitario con esclusione dell’attività prestata in qualità di collaboratore tecnico.
4.2. Avendo il ricorrente svolto soltanto attività di ricercatore e/o di funzionario tecnico di VIII livello assimilabile a quella di tecnico laureato ai fini del riconoscimento per due terzi ai fini della carriera, all’amministrazione era preclusa la valutazione del servizio effettivamente prestato con la qualifica di collaboratore tecnico di VII livello.
4.3. E’ stato perciò ritenuta corretta l’autotutela nei confronti del riconoscimento al ricorrente dell’anzianità di servizio maturata nel periodo anteriore all’immissione nel ruolo di ricercatore universitario confermato, in applicazione dell’art. 103, co. 3, d.P.R. n. 382/1980, come interpretato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 191/2008.
4.4. Al proposito, la decisione d’appello n. 1776/2014 ha precisato come la stessa Corte Costituzionale – pur ammettendo la sostanziale omogeneità, riconosciuta dalla legge n. 4 del 1999, dei compiti di ricerca affidati ai tecnici laureati (con tre anni di ricerca) rispetto a quelli propri del ricercatore, tale da rendere costituzionalmente non giustificato il diverso trattamento riservato ai tecnici laureati diventati ricercatori, rispetto a quello di cui godevano i tecnici laureati diventati professori – ha però avvertito, nella medesima sentenza, che le funzioni dei tecnici laureati (di ausilio ai docenti e di gestione dei laboratori) sono diverse da quelle dei ricercatori e ha più volte affermato, anche in epoca recente, che, nonostante una certa assimilazione dei rispettivi compiti, rimane l’essenziale differenziazione tra le due categorie (ordinanze n. 160 del 2003 e nn. 262 e 94 del 2002), e che la previsione di un meccanismo di transito agevolato da un ruolo all’altro, come il concorso riservato, non è di per sé sufficiente a colmare queste differenze.
5. Il coacervo delle suesposte argomentazioni, riportate nella parte motiva del provvedimento in esame è sufficiente, ad avviso del Collegio, a respingere il VI motivo di violazione dell’art. 1, co. 10, L. n. 4/1999 e dell’art. 103, co. 3, D.P.R. n 382/1980, laddove affermano l’obbligo dell’Università di valutare in favore dei ricercatori confermati le mansioni di fatto svolte nel grado di collaboratore tecnico ai fini della ricostruzione della carriera, essendo stata riconosciuta con l’art. 1, co. 10 della legge n. 4/1999 la situazione di fatto costituita dall’utilizzo della figura del tecnico laureato e dallo svolgimento dell’attività di ricerca da parte dei tecnici laureati come canale di accesso alla carriera universitaria.
5.1. Secondo la sentenza n. 1776/2014 del Consiglio di Stato, l’omogeneità dei compiti di ricerca costituisce la ratio della continuità tra i servizi (e la conseguente parità di trattamento economico) del funzionario tecnico e del ricercatore: è con ciò confermata la sostanziale non equiparabilità tra le figure del collaboratore, anche laureato, e del funzionario, pur accomunate dall’appartenenza al ruolo tecnico, rimanendo distinte le caratteristiche dei compiti propri di ciascuna di esse, con specifico riguardo al campo della ricerca.
5.2. Anche se, la figura del funzionario tecnico ha sostituito quella del tecnico laureato nell’ordinamento previgente alla legge n. 312 del 1980 e, anche se il riconoscimento dei relativi servizi deriva dal diritto attribuito ai tecnici laureati dall’art. 103 d.P.R. n. 382 del 1980 nel testo risultante dalla nota sentenza della Corte Costituzionale, non altrettanto può dirsi per la figura professionale del collaboratore tecnico, per la quale il DPCM 24 settembre 1981 prevede la settima qualifica.
5.3. Dalle mansioni e compiti propri dei diversi profili enucleati nel DPCM è dato riscontrare la differenza di contenuto e di professionalità delle mansioni proprie, rispettivamente, del tecnico laureato (ora funzionario tecnico) e del collaboratore tecnico: al primo profilo, accessibile solo con laurea specifica, appartengono, tra l’altro, astronomi, tecnici laureati, conservatori di musei, curatori di orti botanici, agronomi, ricercatori degli osservatori e tecnici che siano addetti a programmi di ricerca di base o finalizzata in grado di utilizzare con autonomia strumenti, tecniche e procedure, compiti di addetto a programmi di ricerca di base o finalizzata, nonché compiti organizzativi in rapporto a programmi sperimentali o a programmi di produzioni con responsabilità su operatori di qualifiche inferiori, mentre è proprio del secondo profilo lo svolgimento di funzioni tecniche di collaborazione, in particolare nei programmi di didattica e di ricerca.
5.4. Per la relativa qualifica – la VII funzionale – era sufficiente, in luogo della laurea universitaria, il “diploma di istituto di istruzione secondaria di secondo grado più esperienza lavorativa corrispondente per almeno quattro anni”.
5.5. Nell’ambito del personale dipendente già inquadrato nella ex VII qualifica funzionale assunto a seguito di concorso pubblico con la qualifica di collaboratore tecnico per la partecipazione al quale era richiesto il diploma di laurea, il possesso della laurea ne consentì l’inquadramento nella nuova categoria D ai sensi dell’art. 74, co. 4, del C.C.N.L. comparto Università (per il biennio 1998/2001), trovando detta soluzione conferma negli accordi di interpretazione autentica, intervenuti in esito alla procedura prevista dall’art. 64 del d.lgs. n. 165/2001 che hanno riconosciuto solo l’anzidetto personale come beneficiario di una progressione verticale (Cass. civile, sez. lav., 10 marzo 2009, n. 5726).
5.6. Il possesso del titolo di studio non è però valso a tracciare una linea di demarcazione netta fra il personale inquadrato nella VII qualifica con il profilo professionale di collaboratore tecnico laureato e quello inquadrato nell’VIII con il profilo professionale di funzionario tecnico laureato, entrambe scaturite dalla unica figura professionale del tecnico laureato prevista in origine dall’art. 35, d.P.R. n. 382/1980 e fra loro differenziate in ragione della specificità del titolo di studio e della maggiore autonomia di gestione proprie della qualifica superiore.
6. La diversità di funzioni e di compiti caratterizzanti la figura del ricercatore rispetto a quelli propri del collaboratore tecnico anche laureato, e, viceversa, la sostanziale omogeneità delle funzioni inerenti i compiti di ricerca, che costituisce la ratio della continuità tra i servizi svolti dal funzionario tecnico e dal ricercatore evidenziata da questo Tribunale amministrativo nella sentenza n. 340/2012 e confermata dal Consiglio di Stato nella sentenza n. 1776/2014, giustifica oltre al rigetto del VI motivo di gravame, la manifesta infondatezza dell’eccezione di incostituzionalità sollevata, sotto tutti i profili evidenziati.
6.1. Analogamente al Giudice d’appello, si osserva come le mansioni effettivamente svolte dal ricorrente nella veste di collaboratore tecnico, attinenti, in tesi, a compiti propri della figura professionale del funzionario tecnico laureato, da un lato confermano l’autonomia delle due figure professionali, dall’altro sono ininfluenti ad una diversa conclusione, configurando una ipotesi di svolgimento di mansioni superiori che, nel settore del pubblico impiego, non può condurre a conseguenze contrarie al formale inquadramento.
7. Dall’insieme delle suesposte considerazioni, il decreto rettorale in esame risulta immune da censure nella parte relativa al riconoscimento, ai fini della progressione di carriera ex art. 103, d.P.R. n. 382/1980, dei servizi prestati dal ricorrente quali collaboratore tecnico.
Analogamente, priva di pregio è la doglianza di cui al V motivo, di mancata convalida dell’atto oggetto dell’annullamento d’ufficio, poiché a tacer d’altro non sussistevano i presupposti per il riconoscimento ora per allora all’inquadramento nella qualifica idonea ai fini del riconoscimento del servizio pre ruolo.
7.1. Se è perciò legittima la rideterminazione della progressione giuridico-economica in base alla nuova gradazione delle classi stipendiali in relazione al trattamento economico con una diversa (e minore) anzianità di servizio, diverse conclusioni devono essere raggiunte con riferimento al recupero delle somme sino ad allora spontaneamente erogate benché indebite.
7.2. Come già evidenziato, con la nota prot. n. 35522 del 22 settembre 2008 a firma del Rettore, il personale docente nominato ricercatore confermato ai sensi della L. 4/1999, seppure attualmente inquadrato in diversa qualifica, è stato invitato a produrre richiesta di riconoscimento, ai fini della progressione di carriera nel ruolo di ricercatore confermato, del servizio prestato nelle figure che hanno dato titolo alla partecipazione ai concorsi riservati di cui alla citata L 4/1999 (tecnico laureato, funzionario tecnico, collaboratore tecnico EP).
7.3. Successivamente alla suddetta nota, ove era tra l’altro precisato che “detto riconoscimento verrà operato nella misura e nei limiti di cui all’art. 103 del d.P.R. 382/1980 vale a dire rispettivamente per due terzi e per un massimo di otto anni” l’Amministrazione ha avviato una complessa procedura partecipata con gli interessati culminata nell’adeguamento stipendiale oltre che contributivo, dal quale il ricorrente ha tratto una legittima aspettativa consistente nel mantenimento di un corrispondente tenore di vita durante l’occupazione lavorativa.
7.4. Non ignora certo il Collegio l’orientamento giurisprudenziale che in materia di annullamento d’ufficio di provvedimenti che comportano illegittimo esborso di denaro pubblico, individua l’interesse pubblico “in re ipsa” senza dunque rilievo al decorso del tempo e alla comparazione con il contrapposto interesse privato (ex multis T.A.R. Lazio – Roma sez. III, 8 gennaio 2015, n. 140; T.A.R. Basilicata 10 luglio 2015, n. 426; Consiglio di Stato sez. III, 11 novembre 2014, n. 5539) rilevando la buona fede del percipiente solo al fine del decorso degli interessi legali (T.A.R. Lazio – Roma sez. III, 10 marzo 2015, n. 3934).
Non di meno, posto che l’art. 21-nonies della legge 241 del 1990, sin dal testo originario introdotto con legge 11 febbraio 2005 n. 15, non fa alcun cenno ad un potere di riesame scisso dal decorso del tempo e dalla comparazione con gli interessi antagonistici al ripristino della legalità, giova altresì da ultimo evidenziare la decisa volontà da parte del legislatore (vedi D.L. 12 settembre 2014 n. 133 convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014 n. 104 applicabile rationetemporis) di apporre un puntuale e rigido sbarramento temporale all’esercizio del potere di autotutela, fissato perentoriamente in diciotto mesi “dal momento dell’adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici” (Consiglio di Stato sez. VI, 10 dicembre 2015, n. 5625)
Mette conto rilevare nel particolare caso di specie, oltre l’ampiezza del tempo trascorso (oltre cinque anni) – di per sé ben superiore sia al suddetto parametro di diciotto mesi sia alla stessa “ragionevolezza” nel termine per l’esercizio del potere di annullamento in riferimento ad atti non riconducibili alle “autorizzazioni o attribuzione di vantaggi economici” – la rilevanza dell’affidamento, del tutto incolpevole, del ricorrente, ingenerato proprio dal comportamento serbato da parte della stessa Università, sollecitando unilateralmente il personale interessato alla presentazione dell’istanza per il riconoscimento del servizio pre ruolo.
In tal contesto ritiene il Collegio che l’Università, nella veste di parte datoriale, non possa esimersi dall’”indennizzare” il ricorrente nella misura pari agli arretrati maturati in iure ma pagati e percepiti legittimamente.
7.5. D’altra parte, nella sentenza n. 340/2012, questo stesso Collegio aveva ammesso come “a fronte del riconoscimento da parte della stessa Corte costituzionale del fenomeno del cosiddetto “mansionismo” che ha caratterizzato il pubblico impiego dagli anni ’80 (…) alla metà degli anni ’90 di emanazione del d.lgs. n. 29/1993 (…), non appare del tutto coerente che la qualifica di collaboratore tecnico laureato non possa essere ritenuta “sostanzialmente corrispondente” a quella del tecnico laureato e che detta corrispondenza sia riservata soltanto a quella del funzionario tecnico laureato, come ritenuto dalla giurisprudenza amministrativa d’appello …”.
7.6. Ne risulta rafforzata, sotto l’aspetto della violazione dell’affidamento, il II e III motivo di gravame in ragione del convincimento del ricorrente sulla legittimità della propria posizione, scaturito non solo dalla condotta dell’Amministrazione ma dalla riconducibilità del diniego del diritto del ricorrente a una tesi giurisprudenziale solo in parte avallata dalla Corte costituzionale.
8. Tanto premesso, ritiene il Collegio che l’Università di Perugia, fermo restando la legittimità del disposto annullamento, avrebbe dovuto escluderne l’effetto retroattivo, escludendo il preannunciato recupero delle somme già erogate, percepite in buona fede e destinate a soddisfare bisogni essenziali.
Va d’altronde evidenziato come quantomeno in seno all’ordinamento comunitario non sia preclusa all’Amministrazione modulare gli effetti del provvedimento di ritiro, laddove la delimitazione della decorrenza ex nunc costituisca il mezzo indispensabile per coniugare il ripristino della legalità con il principio di derivazione comunitaria del legittimo affidamento.
La giurisprudenza, in fattispecie analoghe, non ha mancato di evidenziare come a seguito dell’annullamento del provvedimento, il recupero delle somme erroneamente corrisposte non ne costituisca conseguenza automatica, essendo anzi detto recupero illegittimo laddove l’Amministrazione abbia ingenerato nei propri dipendenti la ragionevole convinzione di aver diritto a determinati emolumenti e questi siano stati percepiti e consumati in buona fede per le normali esigenze di vita (Consiglio di Stato sez. V, 13 luglio 2006, n. 4413).
Diversamente opinando ovvero ritenendo il potere di riesame per ragioni di ripristino della legalità inderogabilmente retroattivo, potrebbe porsi un problema di costituzionalità dello stesso art. 21-nonies della legge 241/90, sotto il profilo della ragionevolezza e della disparità di trattamento (art. 3 Cost.) dal momento che in altre fattispecie di annullamento d’ufficio (art. 1 comma 136, legge 311 del 2004) di atti incidenti su rapporti contrattuali finalizzati a conseguire minori spe