TAR Umbria, Perugia, Sez. I, 24 giugno 2016, n. 522

Riconoscimento servizi pre-ruolo assegnista di ricerca

Data Documento: 2016-06-24
Area: Giurisprudenza
Massima

La figura dell’assegnista di ricerca di cui all’art. 51, comma 6, l. 27 dicembre 1997, n. 449 non può rientrare tra i servizi pre-ruolo riconoscibili, tenuto conto sia del carattere tassativo della disposizione di cui all’art. 103 d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, sia della oggettiva non assimilabilità tra le borse e gli assegni di cui all’art. 7, lett. e), l. 21 febbraio 1980, n. 28, per i quali è testualmente ammesso il riconoscimento, e gli assegni ex l. n. 449/997.

La tassatività dell’art. 103 d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382 risulta evidente anche solo considerando l’eterogeneità e specificità delle ipotesi espressamente contemplate, indice di scelte compiute dal legislatore caso per caso, sia per il fatto che trattasi di previsione comportante rilevanti oneri per le finanze pubbliche. Del resto, l’inconfigurabilità dell’analogia legis e la necessità di stretta interpretazione deriva dalla stessa portata derogatoria al generale principio dell’irrilevanza, ai fini della carriera dei docenti universitari, dei servizi pre-ruolo prestati, come statuito dalla Corte costituzionale, 7 luglio 1995, n. 305.

Gli assegni di ricerca di cui all’art. 51, comma 6, l. 27 dicembre 1997, n. 449 sono inequivocabilmente conferiti, quanto meno nella previsione astratta della norma, per la collaborazione ad attività di ricerca, e non anche alla didattica, e senza alcuna attività di formazione e di addestramento. Al contrario, le borse e gli assegni di cui all’art. 7, lett. e), l. 21 febbraio 1980, n. 28 prevedono lo svolgimento di attività, oltre che di didattica, di formazione ed addestramento scientifico in vista del futuro svolgimento di tali attività. La differenza funzionale tra le due fattispecie giustifica, anche sul piano della ragionevolezza, la diversità di trattamento, non apparendo irragionevole la scelta di escludere dai benefici in questione le figure professionali caratterizzate dallo svolgimento di attività esclusivamente o quasi esclusivamente di ricerca.

Contenuto sentenza

N. 00522/2016 REG.PROV.COLL.
N. 00340/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’ Umbria
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 340 del 2013, proposto da: 
[#OMISSIS#] Polinori, rappresentato e difeso dall’avv. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], presso il cui studio in Perugia, piazza IV Novembre n. 36, è elettivamente domiciliato; 
contro
Università degli Studi di Perugia, rappresentata e difesa per legge dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliata in Perugia, Via degli Offici n. 14; Ministero dell’Istruzione, non costituito.
per l’annullamento
del decreto del rettore dell’Università degli Studi di Perugia n. 2606 del 28 dicembre 2012 recante diniego riconoscimento servizi pre-ruolo. 
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Università degli Studi di Perugia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 9 marzo 2016 il dott. Massimo [#OMISSIS#] e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. 
FATTO e DIRITTO
Il ricorrente, Professore associato confermato presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Perugia, espone di avere presentato, ai fini della ricostruzione della carriera, in applicazione dell’art. 103 del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, domanda di riconoscimento di cinque anni di attività prestata nella qualifica di assegnista di ricerca (in particolare: dall’1 dicembre 2000 al 30 novembre 2002 e dall’1 gennaio 2003 al 31 dicembre 2005).
Rappresenta come con il gravato provvedimento in data 28 dicembre 2012 l’Ateneo abbia rigettato l’istanza, nella considerazione che i predetti servizi non siano riconoscibili.
Avverso detto diniego deduce il seguente, articolato, motivo di diritto: violazione dell’art. 103 del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, in relazione all’art. 7 della legge n. 28 del 1980 ed in relazione all’art. 51, comma 6, della legge n. 449 del 1997; erronea interpretazione; illogicità manifesta; difetto di motivazione; disparità di trattamento. In particolare, nella prospettiva di parte ricorrente l’art. 103, comma 3, del d.P.R. n. 382 del 1980, ai fini del risconoscimento ed equiparazione dei servizi, fa espresso rinvio al servizio prestato in una delle forme di cui all’art. 7 della legge n. 28 del 1980; in particolare, detta norma, sub lett. e), richiama i titolari di borse od assegni di formazione od addestramento scientifico o didattico, comunque denominati, fattispecie che presenterebbero forti analogie con la categoria dei titolari di assegni di ricerca, la quale, in quanto tale, non può essere contemplata nella legge del 1980, essendo stata istituita solamente con l’art. 51, comma 6, della legge n. 449 del 1997.
Sempre nella prospettiva di parte ricorrente gli assegnisti di ricerca, al pari della categoria di cui all’art. 7, lett. e), della legge n. 28 del 1980, svolgerebbero attività di ricerca in favore della propria Università in relazione al programma predisposto dal Responsabile della ricerca e sarebbero reclutati all’esito di una procedura di evidenza pubblica; talune Università, anche in forza di un parere reso dal Dipartimento della Funzione Pubblica in data 26 novembre 2008, avrebbero già riconosciuto l’analogia del servizio, ed in particolare la valutabilità del titolo di assegnista di ricerca ai fini della ricostruzione della carriera dei ricercatori confermati.
Parte ricorrente chiede pertanto l’accertamento del proprio diritto al riconoscimento, ai fini della carriera, dei servizi prestati in qualità di assegnista di ricerca, nei periodi già in precedenza evidenziati.
Si è costituita in giudizio l’Università degli Studi di Perugia puntualmente controdeducendo al ricorso avversario, e chiedendone la reiezione.
Parte ricorrente produceva memoria (asseritamente in replica) in data 15 febbraio 2016. In essa venivano elencati una serie di incarichi di docenza (circa dieci) che il ricorrente avrebbe svolto nel periodo in considerazione (2001/2005). L’avvocatura eccepiva in ogni caso la tardività di siffatta produzione.
All’udienza del 9 marzo 2016 la causa è stata infine trattenuta in decisione.
Tutto ciò premesso va innanzitutto affrontata la questione circa l’ammissibilità della memoria di parte ricorrente in data 15 febbraio, memoria questa ritenuta dal difensore in asserita replica rispetto all’atto difensivo depositato in data 4 febbraio 2016 dalla Avvocatura erariale.
Ebbene da una attenta lettura di quest’ultimo atto della Avvocatura dello Stato è ben evincibile come ci si limiti a contestare la interpretazione delle varie norme fornita dalla parte ricorrente, indicando al riguardo una serie di precedenti di questo medesimo Tribunale amministrativo: il tutto senza in alcun modo mettere in discussione il mancato svolgimento, in concreto, di qualsivoglia attività di docenza da parte del ricorrente stesso.
La memoria di parte ricorrente in data 15 febbraio 2016, contenente una nutrita elencazione di incarichi di docenza svolti tra il 2001 e il 2006 dal ricorrente stesso, pertanto: a) non è qualificabile alla stregua di memoria di replica ai sensi e per gli effetti dell’art. 73, comma 1, c.p.a., atteso che parte ricorrente non si limita ad eccepire quanto affermato dalla Avvocatura erariale e soprattutto a contestarlo sul medesimo piano (di diritto), avendo al riguardo allegato una serie di elementi di fatto (docenze svolte nel periodo in contestazione) sino a qual momento mai introdotte nel presente giudizio. Di qui un primo profilo di inammissibilità, atteso che non sarebbe comunque stato rispettato il termine di trenta giorni liberi fissato per tutte le altre memorie difensive (diverse da quelle “in replica”) di cui allo stesso comma 1; b) pone comunque un problema di irricevibilità in ragione della tardiva formulazione di un ulteriore motivo di gravame in quanto la ritenuta omessa considerazione, ad opera dell’amministrazione universitaria, delle indicate docenze/collaborazioni nella didattica, inevitabilmente finirebbe per qualificarsi alla stregua di una possibile erronea e falsa applicazione della disposizione in discussione (art. 103 del DPR n. 382 del 1980), nonché travisamento dei fatti e correlato difetto di istruttoria, di cui non v’è tuttavia traccia alcuna nel ricorso introduttivo (ricorso nel quale, è bene sottolinearlo, la difesa di parte ricorrente si è limitata ad una esclusiva contestazione in punto di diritto della posizione assunta in merito dalla amministrazione universitaria intimata). Di qui la idoneità della memoria in contestazione a determinare una inammissibile estensione del thema decidendum e dunque la sua irricevibilità per tardiva allegazione e connessa deduzione di parte (provvedimento impugnato comunicato in data 7 gennaio 2013, memoria contenente motivo ulteriore di gravame del 15 febbraio 2016).
Nel merito, il thema decidendum cui ci si deve concentrare in questa sede è dunque unicamente costituito dalla includibilità, ai fini del riconoscimento per il trattamento di quiescenza e di previdenza e della carriera, ai sensi dell’art. 103, comma 3, del d.P.R. n. 382 del 1980, dei servizi prestati dal ricorrente quale titolare di assegno di ricerca.
Si richiama al riguardo la sentenza di questo T.A.R. (sez. I, 1° luglio 2013, n. 347) dalla quale il collegio ritiene di non doversi discostare.
L’assunto di parte ricorrente muove dal presupposto che il predetto art. 103 prende in considerazione l’attività effettivamente prestata nelle Università in una delle figure previste dall’art. 7 della legge n. 28 del 1980, tra cui, sub lett. e), sono ricompresi i “titolari di borse o assegni, di formazione o addestramento scientifico e didattico o comunque denominati, purché finalizzati agli scopi predetti, costituiti sui fondi destinati dai consigli di amministrazione sui bilanci universitari, anche se provenienti da donazioni o da contratti o da convenzioni con enti o con privati, ed assegnati con decreto rettorale a seguito di pubblico concorso”. Sempre ad avviso del ricorrente, a tale categoria sono equiparabili gli assegni per la collaborazione ad attività di ricerca previsti dall'(ormai abrogato) art. 51, comma 6, della legge n. 449 del 1997, non direttamente contemplati dall’art. 103 del d.P.R. n. 382 del 1980 solo perché successivi a tale corpus normativo.
La questione giuridica dedotta in giudizio presenta margini di opinabilità sotto il profilo dell’interpretazione logico-funzionale, ma ritiene il Collegio di dover confermare la soluzione, contraria all’equiparazione tra diverse categorie di assegni, seguita recentemente con la propria sentenza 12 aprile 2013, n. 241.
Questo Tribunale Amministrativo ha ritenuto, con la predetta sentenza, che la figura dell’assegnista di ricerca di cui all’art. 51, comma 6, della legge n. 449 del 1997 non possa rientrare tra i servizi pre-ruolo riconoscibili, tenuto conto sia del carattere tassativo della disposizione di cui all’art. 103 del d.P.R. n. 382 del 1980, sia della oggettiva non assimilabilità tra le borse e gli assegni di cui alla lett. e) dell’art. 7 della legge n. 28 del 1980, per i quali è testualmente ammesso il riconoscimento, e gli assegni ex lege n. 449 del 1997.
Sotto il primo profilo, la tassatività dell’art. 103 risulta evidente anche solo considerando l’eterogeneità e specificità delle ipotesi espressamente contemplate, indice di scelte compiute dal legislatore caso per caso, sia per il fatto che trattasi di previsione comportante rilevanti oneri per le finanze pubbliche.
Del resto, l’inconfigurabilità dell’analogia legis e la necessità di stretta interpretazione deriva dalla stessa portata derogatoria al generale principio dell’irrilevanza, ai fini della carriera dei docenti universitari, dei servizi pre-ruolo prestati, come statuito da Corte cost. 7 luglio 1995, n. 305.
Sotto il secondo profilo, gli assegni di ricerca di cui all’art. 51, comma 6, della legge n. 449 del 1997 sono inequivocabilmente conferiti, quanto meno nella previsione astratta della norma, per la collaborazione ad attività di ricerca, e non anche alla didattica, e senza alcuna attività di formazione e di addestramento. Al contrario, le borse e gli assegni di cui alla lett. e) dell’art. 7 della legge n. 28 del 1980 prevedono lo svolgimento di attività, oltre che di didattica, di formazione ed addestramento scientifico in vista del futuro svolgimento di tali attività.
La differenza funzionale tra le due fattispecie giustifica, anche sul piano della ragionevolezza, la diversità di trattamento derivante dalla proposta interpretazione dell’art. 103, non apparendo irragionevole la scelta di escludere dai benefici in questione le figure professionali caratterizzate dallo svolgimento di attività esclusivamente o quasi esclusivamente di ricerca.
In conclusione, alla stregua di quanto precede, il ricorso deve essere respinto.
Sussistono peraltro giusti motivi, in relazione anche alla non univocità dell’interpretazione giurisprudenziale in materia, per compensare tra le parti le spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Umbria (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Perugia nelle camere di consiglio del giorno 9 marzo 2016 e del giorno 8 giugno 2016 con l’intervento dei magistrati:
[#OMISSIS#] Potenza, Presidente
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere
Massimo [#OMISSIS#], Consigliere, Estensore 
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 24/06/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)